Autari e i tentativi di alleanza tra Imperiali e Franchi (584-590)

AUTARI E L’ALLEANZA TRA FRANCHI E IMPERO
Fin dal 574 i Longobardi erano rimasti divisi in 35 ducati indipendenti e senza re. Una nuova minaccia però fece loro considerare la possibilità di unirsi di nuovo sotto l’autorità di un nuovo re. L’Imperatore d’Oriente Maurizio, infatti, non potendo intervenire direttamente in Italia perché impegnato contro Persiani e Avari, decise di pagare il re dei Franchi Childeberto II affinché scacciasse per conto dell’Impero i Longobardi dall’Italia: nel 583 dunque funzionari imperiali si incontrarono con il re franco, convincendolo a invadere il regno longobardo l’anno successivo (cfr. Jarnut, Storia dei Longobardi, p. 35). Ma i Bizantini non avevano fatto i conti con il vil denaro: infatti i Longobardi, vistosi invadere la frontiera occidentale del loro regno dalle armate del re franco, decisero di ricorrere alla stessa carta con cui i Bizantini si erano guadagnati l’alleanza con il re franco. Infatti bastò pagare una cifra superiore a quella con cui Maurizio aveva pagato Childeberto (50.000 solidi) per spingere il re franco a venir meno ai suoi propositi bellicosi e indurlo al ritiro (cfr. Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 86).

Il pericolo corso aveva comunque fatto realizzare ai Longobardi della necessità di tornare uniti sotto l’autorità di un re, e fu così nel 584 che Autari, figlio di Clefi, ascese al trono (cfr. Jarnut, ibidem, p. 36). Autari riuscì a respingere immediatamente (nel 585) una seconda invasione dei Franchi, ancora una volta spinti dall’Imperatore Maurizio a invadere il territorio longobardo, costringendo i Bizantini a firmare una tregua di tre anni (cfr. Jarnut, ibidem, p. 37). Nel 587 respinse un incursione franca, mentre nel 588 conquistò l’isola Comacina (l’ultimo territorio imperiale in Lombardia). I confini del regno si erano estesi ulteriormente.

LE GESTA DI DROCTULFO

Ma nel frattempo si verificò anche il tradimento di alcuni duchi. Droctulfo, longobardo di origine sveva, passò dalla parte imperiale, difendendo con coraggio Brescello, che nonostante i suoi sforzi cadde in mano longobarda. Ma Droctulfo non si arrese e si guadagnò ben presto la stima e l’ammirazione degli imperiali. Recuperò Classe, il porto di Ravenna, che ritornò di nuovo bizantino, e combatté con valore gli Avari nei Balcani. Un epitaffio a Ravenna ricorda ancora le sue gloriose imprese (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, pp. 86-87):

Clauditur hoc tumulo, tantum sed corpore, Drocton; Nam meritis toto vivit in orbe suis. Cum Bardis fuit ipse quidam, nam gente Suavus; Omnibus et populis inde suavis erat. Terribilis visu facies, sed mente benignus, Longaque robusto pectore barba fuit. Hic et amans semper Romana ac publica signa, Vastator genti adfuit ipse suae.Contempsit caros, dum nos amat ille, parentes, Hanc patriam reputans esse, Ravenna, suam. Huius prima fuit Brexilli gloria capti;Quo residens cunctis hostibus horror erat. Quo Romana potens valuit post signa iubare, Vexillum primum Christus habere dedit.Inde etiam, retinet dum Classem fraude Faroaldus, Vindicet ut Classem, classibus arma parat.Puppibus exiguis decertans amne Badrino, Bardorum innumeras vicit et ipse manus. Rursus et in terris Avarem superavit eois, Conquirens dominis maxima lucra suis. Martyris auxilio Vitalis fultus, ad istos Pervenit victor saepe triumphos ovans; Cuius et in templis petiit sua membra iacere, Haec loca post mortem bustis habere iubat. Ipse sacerdotem moriens petit ista Iohannem, His rediit terris cuius amore pio. In questo tumulo è chiuso, ma solo con il corpo, Droctulfo perché, grazie ai suoi meriti, egli vive in tutta la città. Egli fu con i Bardi, ma era Svevo di stirpe: e perciò era soave a tutte le genti. Il volto era tremendo all’aspetto, ma l’animo buono, la sua barba fu lunga sul petto robusto. Amò sempre le insegne del popolo romano, sterminò la sua stessa gente. Per amor nostro, sprezzò gli amati genitori, reputando che qui, Ravenna, fosse sua patria Prima gloria fu occupare Brescello. E in quel luogo restando, terrifico fu pei nemici. Poi sostenne con forza le sorti delle insegne romane, Cristo gli diè da tenere il primo vessillo. E, mentre Faroaldo con frode trattiene ancora Classe, egli prepara le armi e la flotta per liberarla. Battendosi su poche tolde sul fiume Badrino, ne vinse infinite dei Bardi, e poi superò l’Avaro nelle terre orientali,conquistando la massima palma per i suoi sovrani. Con l’aiuto del martire Vitale, giunse da loro: spesso vincitore, acclamato, trionfa. Per le membra egli chiese riposo nel tempio del martire: qui è giusto che, morto, egli resti. Egli stesso lo chiese, morendo, al Sacerdote Giovanni, per il cui pio amore venne a queste terre.

(Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 19)

 

LA SPEDIZIONE BIZANTINO-FRANCA DEL 590
Nel 590 Imperiali e Franchi ripresero di nuovo l’offensiva. Maurizio giurò che avrebbe punito un affronto che i Franchi avevano subito a Cartagine e in cambio ottenne l’appoggio per una nuova spedizione. Venti duchi franchi invasero dunque l’Italia settentrionale, divisi in tre colonne:

E quibus ducibus Audoaldus et Olo et Cedinus eminentiores fuerunt. Sed Olo cum inportune ad Bilitionis castrum accessisset, iaculo sub mamilla sauciatus cecidit et mortuus est. Reliqui vero Franci cum egressi fuissent ad praedandum, a Langobardis inruentibus passim per loca singula prostemebantur. At vero Audoaldus et sex duces Francorum ad Mediolanensium urbem advenientes, ibi eminus in campestribus castra posuerunt. Quo loco ad eos imperatoris legati venerunt, nuntiantes adesse exercitum in solatio eorum dicentesque quia: «Post triduum cum eisdem veniemus et hoc vobis erit signum: cum videritis villae huius, quae in monte sita est, domus incendio concremari et fumum incendii ad caelos usque sustolli, noveritis nos cum exercitu, quem pollicemur, adventare». Sed expectantes Francorum duces diebus sex iuxta placitum, nullum ex his [de] quibus legati imperatoris promiserant, venisse, contemplati sunt. Cedinus autem cum tredecim ducibus laevam Italiae ingressus, quinque castella cepit, a quibus etiam sacramenta exegit. Pervenit etiam exercitus Francorum usque Veronam, et deposuerunt castra plurima per pacem post sacramenta data, quae se eis crediderant nullum ab eis dolum existimantes. Nomina autem castrorum quae diruerunt in territorio Tridentino ista sunt: Tesana, Maletum, Sermiana, Appianum, Fagitana, Cimbra, Vitianum, Bremtonicum, Volaenes, Ennemase, et duo in Alsuca et unum in Verona. Haec omnia castra cum diruta essent a Francis, cives universi ab eis ducti sunt captivi. Pro Ferruge vero castro, intercedentibus episcopis Ingenuino de Savione et Agnello de Tridento, data est redempio, per caput uniuscuiusque viri solidus unus usque ad solidos sexcentos. Interea Francorum exercitum, cum esset tempus aestivum, propter inconsueti aeris incommoditatem, desenteriae morbus graviter exagitare coepit, quo morbo plures ex eis interierunt. Quid plura? Cum per tres menses Prancorum exercitusItaliam pervagaret nihilque proficeret neque se de inimicis ulcisci posset, eo quod se in locis firmissimis contulissent, neque regem attingere valeret, de quo ultio fieret, qui se intra Ticinensem munierat urbem, ut diximus, infirmatus aeris intemperantia ac fame constrictus exercitus redire ad propria destinavit. Qui revertentes ad patriam, in tantum famis penuriam perpessi sunt, ut prius vestimenta propria, insuper etiam et arma ad coemendum victum praeberent, quam ad genitale solum pertingerent. Di questi duchi Audualdo, Olone e Cedino si erano ben distinti. Ma quando Olone attaccò avventatamente la fortezza di Bilitio (Bellinzona), venne colpito da un dardo e perì. Mentre il resto dei Franchi che erano entrati erano dediti al saccheggio, furono distrutti dai Longobardi che li attaccarono mentre erano divisi in vari luoghi. Ma Audualdo e sei duchi franchi giunsero fino a Mediolanum (Milano) e posero il loro accampamento a poca distanza da lì sulle pianure. In questo posto giunsero gli inviati dell’Imperatore per annunciare loro che il suo esercito stava per arrivare per dare loro man forte e dicendo: “Dopo tre giorni arriveremo con loro, e vi faremo un segnale; quando vedrete la fattoria sopra la montagna bruciare, e il fumo della conflagrazione ascendere al cielo, voi saprete del nostro arrivo imminente con l’esercito che abbiamo promesso.” Ma i duchi dei Franchi attesero per sei giorni, secondo l’accordo, e non videro nulla di quanto gli inviati dell’Imperatore avevano promesso. Cedino intanto con tredici duchi aveva invaso il lato sinistro dell’Italia, prese cinque fortezze da cui pretese giuramenti (di fedeltà). Inoltre l’esercito dei Franchi avanzò fino a Verona e demolì senza incontrare resistenza molti luoghi fortificati che si erano fidati di loro senza sospettare un tradimento da parte loro. I nomi dei luoghi fortificati da essi distrutti nel territorio di Tridentum (Trento) sono i seguenti: Tesana (Tiseno), Maletum (Male), Sermiana (Sirmian), Appianum (Hoch Eppan), Fagitana (Faedo), Cimbra (Cembra), Vitianum (Vezzano), Bremtonicum (Brentonico), Volaenes (Volano), Ennemase (Neumarkt) [3] e due in Alsuca (Val Sugana) e uno a Verona. Quando tutti questi luoghi vennero distrutti dai Franchi, tutti i cittadini vennero condotti via con loro come prigionieri. Ma il luogo fortificato di Ferrugis (Verruca), [4] per intercessione dei Vescovi Ingenuino di Savio (Seben) [5] e Agnello di Tridentum (Trento), ottenne il riscatto di ogni prigioniero per la somma di 600 solidi a testa. [6] Nel frattempo, poiché era estate, la malattia chiamata dissenteria colpì l’esercito dei Franchi, non abituati al clima, uccidendo molti di essi. Che dire di più? Mentre l’esercito dei Franchi stava vagando per l’Italia per tre mesi senza ottenere alcun vantaggio – non poteva nemmeno vendicarsi sui suoi nemici, per il motivo che essi si erano confinati in luoghi molto resistenti, o non poteva raggiungere il re da cui avrebbe potuto avere profitto, poiché si era fortificato dentro la città di Ticinum (Pavia) – l’esercito, come abbiamo detto, essendosi ammalato per l’insalubrità del clima e oppresso dal fardello della fame, si risolse a ritornare in patria. E mentre stavano ritornando nella loro patria tanta era la fame che avevano che prima di raggiungere il loro suolo natio offrirono i loro vestiti e successivamente persino le loro armi per comperare del cibo. [7] (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 32)

Secondo Paolo Diacono, insomma, grazie a un epidemia di dissenteria, i Franchi furono costretti a tornare in Patria senza aver ottenuto nulla. Ma da lettere al re Childeberto inviate dall’esarca Romano, sappiamo che l’attacco mise in forti difficoltà i Longobardi e, con una maggiore coordinazione e senza il ritiro dei Franchi, i Longobardi avrebbero potuto essere annientati: infatti l’esercito dell’esarca Romano aveva riconquistato Modena, Altino e Mantova, ottenendo la sottomissione persino dei Duchi di Parma, Reggio e Piacenza; la mossa successiva sarebbe stata assediare Pavia con l’aiuto dei Franchi, ma i Franchi si accordarono invece con i Longobardi, ritirandosi (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 90). Romano allora inviò due lettere a Childeberto per spingerlo a ritornare sul campo di battaglia abbandonato e dare il colpo di grazia ai Longobardi:

 

“Abbiamo saputo dal vostro messaggero, il vir magnificus Andreas, quanto sinceramente Gloria vostra desiderasse porre un freno all’effusione di sangue cristiano e liberare l’Italia intera dagli indicibili Longobardi. Abbiamo udito e riportato all’Imperatore clementissimo e alla sua Augusta (la vostra serenissima sorella) che fu per questo scopo che avevate ordinato al fiorentissimo esercito dei Franchi di calare in Italia.
Anche prima del vostro arrivo, Dio ci consegnò, in risposta alle vostre preghiere, le città di Modena, Altino e Mantova, che vincemmo in combattimento e radendo al suolo le loro mura, in modo da impedire agli indicibili dall’attaccare i Franchi prima del nostro arrivo.
Quando abbiamo udito che il vir magnificus Chedin era accampato con 20.000 uomini presso la città di Verona, e aveva inviato un ambasciatore ad Autari per discutere sulle condizioni di pace. Questo re si era rinserrato egli stesso a Pavia; gli altri duchi e tutti i loro eserciti si erano rifugiati in diverse fortezze; stavamo dunque sul punto di ricongiungere l’esercito romano ai 20.000 di Chedin, sostenendoli con i nostri dromoni sul fiume, assediando Pavia e facendo prigioniero Re Autari, la cui cattura sarebbe stata il più grande premio per la vittoria. Mentre stavamo cercando di accordarci con Chedin e stavamo consultando con ansia i vostri duchi sulle successive mosse da attuare contro i nemici di Dio e nostri, fu con nostra grande meraviglia che scoprimmo che essi, senza consultarsi con noi, avevano stretto una tregua di dieci mesi con i Longobardi, abbandonarono le opportunità di fare bottino, e con celerità si ritirarono dal paese. Se solo avessero avuto un altro po’ di pazienza, oggi l’Italia sarebbe stata liberata da quest’odiosa razza, e tutte le ricchezze dell’indicibile Autari sarebbero finite nel vostro tesoro; perché le campagne erano giunte al punto che i Longobardi non si sentivano al sicuro dai Franchi nemmeno dentro le mura delle loro stesse città.
Per nostro merito, Parma, Reggio e Piacenza furono prontamente consegnate dai loro duchi alla Santa Repubblica Romana, quando marciammo contro le suddette città. Ricevemmo i loro figli come ostaggio, ritornammo a Ravenna, e marciammo nella provincia d’Istria contro il nostro nemico Grasulfo. Suo figlio, il magnifico duca Gisulfo, desiderando mostrarsi un uomo migliore del padre, ci venne incontro con i nobili e l’intero esercito, e si sottomise egli stesso alla Santa Repubblica. Il glorioso patrizio, Nordulfo, essendo giunto per il favore dei Nostri Padroni in Italia, radunò i suoi uomini di nuovo e, in concerto con il glorioso Ossone, il suo esercito romano recuperò diverse città.
Ora poiché noi sappiamo della vostra rabbia dovuta al ritorno dei vostri duchi senza aver completato la missione, vi preghiamo di inviare celermente altri generali, più degni della vostra fiducia, in modo da tener fede alle promesse fatteci da voi e dai vostri pii predecessori. Fate inoltre che vengano prima del tempo delle messi, dite loro di informarci per quali vie e date noi li attenderemo. E, soprattutto, speriamo che quando l’esercito dei Franchi, per buona sorte, calerà di nuovo in Italia, i Romani, per cui chiediamo il vostro aiuto, non siano sottoposti a saccheggio e a prigionia; che voi libererete quelli già fatti prigionieri in passato; e che voi dirigerete i vostri generali non per dare fuoco alle nostre chiese, così che si veda che è una nazione cristiana quella venuta in difesa dell’Italia!”
Lettere di Romano al Re Childeberto. Anno 590.

Ma il re franco non rispose agli appelli degli imperiali, decretando dunque il fallimento sostanziale della spedizione. Le conquiste di Romano furono infatti effimere e andarono perdute negli anni successivi.