Chiesa e stato nel V secolo

L’INTOLLERANZA NEI CONFRONTI DEI PAGANI E DEGLI ERETICI

L’ascesa del Cristianesimo, divenuta con il tempo religione di stato, comportò un brusco cambiamento della politica religiosa imperiale in un senso intollerante. Il culto cristiano, un tempo perseguitato, una volta divenuto la religione di stato, divenne a sua volta intollerante e i ruoli si capovolsero: i perseguitati divennero persecutori, e viceversa. Templi pagani, tra cui anche capolavori dell’architettura classica (come il Serapeo di Alessandria), vennero distrutti, e influenti figure pagane come Ipazia trucidate da fanatici in nome della religione cristiana. Leggi discriminatorie e persecutorie contro i pagani vennero emanate. Gli imperatori e il clero cristiano, tuttavia, non se la presero esclusivamente contro i pagani ma anche contro coloro che facevano parte della loro stessa religione, ma erano considerati eretici, spesso per divergenze dogmatiche (basate su sottigliezze arzigogolate) nell’interpretazione dei testi sacri. Infatti garantire l’unità della Chiesa era considerato essenziale per garantire stabilità.

Un’altra conseguenza della cristianizzazione dello stato fu l’ascesa del monachesimo, che non era influente solo economicamente e socialmente, ma anche dal punto di vista politico. Le controversie teologiche, la persecuzione religiosa, e l’ascesa del monachesimo nel V secolo saranno argomento di questo articolo.

Nota: Nel condannare la persecuzione delle eresie e dei pagani non voglio assumere posizioni anticlericali, voglio solo esprimere il concetto che per fortuna il tempo dell’inquisizione e dell’intolleranza religiosa da parte dei Cristiani è passata e ormai ognuno può professare liberamente la propria religione. La religione cristiana mi va bene, come approvo anche i suoi precetti, a patto che vengano rispettate tutte le altre religioni. Dato che bisognerebbe sempre porgere l’altra guancia (vedasi discorso sulla montagna), il fatto di essere stati perseguitati prima non giustifica il perseguitare dopo l’ex persecutore.

LE CONTROVERSIE DOGMATICHE SULL’INCARNAZIONE

Nel 380 Teodosio I fu battezzato a Tessalonica e immediatamente dopo emanò un editto con cui obbligava i suoi sudditi ad accettare la fede ortodossa del Concilio di Nicea del 325, nel quale era stato condannato l’arianesimo. Teodosio procedette poi a perseguitare gli ariani, confiscando loro tutte le chiese ariane di Costantinopoli, e proibendo agli eretici di venerare pubblicamente la propria religione nella capitale. Nel 381 Teodosio convocò inoltre un concilio a Costantinopoli, presieduto dal patriarca di Antiochia, il quale ratificò la dottrina del Concilio di Nicea, dichiarando che il Figlio è della stessa sostanza del Padre. Di fronte alla reticenza degli Ariani ad abbandonare la loro eresia e di convertirsi con le buone al Cristianesimo niceno, Teodosio cominciò ad adottare misure persecutorie ai loro danni, e di conseguenza l’arianesimo declinò gradualmente.

Ben presto, tuttavia, apparvero all’orizzonte nuove eresie di natura cristologica, eresie che avrebbero provocato con il passare del tempo nuove e durature divisioni all’interno della Chiesa. Una volta che la piena divinità del Cristo era stata universalmente accettata, sorse la questione di come si potesse concepire l’unione delle sue nature umana e divina. Insomma, era il divino mescolato con l’umano, o solo congiunto? La natura umana di Cristo è sopravvissuta alla Risurrezione?

Apollinare di Laodicea era convinto che fosse fuori questione l’unione di un Dio perfetto e di un umano perfetto, concludendo che Cristo non era un uomo perfetto, e che adottò la natura umana, facendo in modo che ciò non coinvolgesse il libero arbitrio, che sarebbe stato incongruente con la sua natura divina. La sua carne era divina, e il Logos condivise le sofferenze della carne. Inoltre, la mente del Cristo non era umana, perché altrimenti avrebbe sofferto di doppia personalità.

La teoria di Apollinare tuttavia era incongruente con l’umanità del Cristo mostrata nei Vangeli, e altri teologi appartenenti alla scuola di Antiochia tentarono di giustificare l’unione di un Dio perfetto con un uomo perfetto. Secondo Teodoro di Mopsuestia, l’unione delle due nature divenne sempre più intima durante la crescita del Cristo, ogni natura era essa stessa una persona, e il Logos non era diventato un uomo. Solo la parte umana del Cristo aveva sofferto al momento della Crocifissione, e Maria non era, nel modo più rigoroso, la Madre di Dio (Theotokos in greco).

Nel corso del regno di Teodosio II (408-450) il problema insolubile del rapporto tra natura umana e divina del Cristo (se dovessero essere considerate separate o “mescolate”) agitò l’intera parte orientale dell’Impero romano. Alla morte del patriarca di Costantinopoli Sisinnio (fine del 427), fu nominato come suo successore Nestorio, monaco di un convento di Antiochia e predicatore. Non appena divenuto patriarca, Nestorio cominciò una campagna energetica contro le eresie. La condanna della visione teologica di Apollinare gli inimicò il Patriarca di Antiochia, che finì con l’accusare Nestorio di eresia. Il patriarca Cirillo e gli alessandrini ritenevano che le due nature del Cristo fossero congiunte in una unione personale e indissolubile pur rimanendo al contempo distinte; che il Logos soffrì senza soffrire, e che Maria è la Madre di Dio in quanto portava nel grembo un essere in cui la parte umana era unita indissolubilmente con il Logos (la parte divina). La dottrina di Cirillo, come quella di Apollinare, negava l’esistenza di un uomo individuale nel Cristo, ma differiva da essa mantenendo la distinzione tra le due nature.

Invece Nestorio appoggiava la dottrina di Teodoro di Mopsuestia, molto popolare in Siria, e negò che Maria fosse la “Madre di Dio” (Theotokos). Si noti che in questa controversia sia Cirillo che Nestorio concordavano nel condannare la teoria di Apollinare e nel credere che Cristo avesse due nature (umana e divina). Tuttavia la divergenza principale tra i due era sulla formula nella quale dovesse essere espressa l’unione delle due nature, con Cirillo che parlava di un'”unione naturale” e Nestorio che invece propendeva per un “contatto” meno intimo.

Cirillo scrisse a Teodosio II, a Eudocia, a Pulcheria e alle sue sorelle, condannando la dottrina eretica di Nestorio e istigò alla ribellione i monaci egiziani, pronti alla rottura teologica. Seguì una accesa corrispondenza tra i due Patriarchi, ed entrambi invocarono il sostegno di Papa Celestino. Quest’ultimo, volendo sostenere Alessandria nella lotta contro Costantinopoli per motivazioni politiche, evase il problema reale mettendo l’accento su un problema minore, cioè se Maria potesse essere correttamente definita la Madre di Dio. Anatemi e controanatemi furono scagliati a vicenda tra Alessandria e Costantinopoli, e Teodosio II, su consiglio di Nestorio, convocò un concilio a Efeso nel 431.

I due antagonisti arrivarono in tempo, mentre Giovanni patriarca di Antiochia arrivò con tre settimane di ritardo. Cirillo, accompagnato da cinquanta vescovi, non attese il suo arrivo, e i sostenitori del partito alessandrino si radunarono e decretarono la deposizione di Nestorio, che aveva rifiutato di prendere parte all’assemblea. All’arrivo di Giovanni e dei vescovi siriani si tenne un concilio rivale ma meno numeroso, presieduto da Candidiano, comes domesticorum; il Concilio decretò la condanna e la deposizione di Cirillo.  A questo punto arrivarono i legati romani, che presero parte all’assemblea di Cirillo, e firmarono il decreto contro Nestorio.

L’Imperatore aveva in un primo momento deciso di respingere il decreto contro Nestorio, ma poi decise di accettare le decisioni di entrambe le assemblee, ordinando la deposizione di entrambi i patriarchi. Tuttavia a Costantinopoli vi era una forte opposizione ecclesiastica a Nestorio; il clero inviò una petizione all’imperatore chiedendo giustizia per Cirillo, mentre i monaci, corrompendo il popolo, lo istigò alla rivolta. Alla fine Teodosio II fu costretto a permettere a Cirillo di tornare patriarca di Alessandria. Cirillo tentò dunque di trovare un accordo con Antiochia, e fu trovata una nuova formula che potesse essere accettato sia dagli alessandrini sia dalla frangia moderata della scuola antiochena, cioè sulla “unione non confusa delle due nature”. Cirillo sottoscrisse questo credo nel 433. I Nestoriani intransigenti si ritirarono a Edessa, dove la loro teologia era quella dominante finché Zenone nel 489 prese misure per estirpare il Nestorianesimo, costringendo i Nestoriani a fuggire in Persia. Quanto a Nestorio, per alcuni anni vinse tranquillamente in un monastero, nonostante l’urgente richiesta di Papa Celestino di escluderlo da ogni contatto con gli uomini. Nel 435 tuttavia l’Imperatore Teodosio II decise di adottare dure misure contro di lui. Denunciato in un editto come sacrilego, i suoi libri furono condannati alle fiamme, e fu condannato all’esilio dapprima a Peta e poi a Oasis in Alto Egitto (435). Sembrerebbe essere morto nel 451.

Il compromesso del 433 non fu duraturo. La questione fu riaperta dal successore di Cirillo, il patriarca di Alessandria Dioscoro. Geloso del prestigio dei teologi di Antiochia, si assegnò il compito di distruggere la formula antiochena di “due nature o hypostaseis e un Cristo”. Trovò ben presto l’appoggio dell’archimandrita di un monastero di Costantinopoli, un certo Eutiche, e dell’eunuco di corte Crisafio. Eutiche fu accusato di eresia e fu condannato da un sinodo locale nel 448.

Eutiche si appellò a Papa Leone, mentre Dioscoro chiese all’Imperatore di convocare un concilio locale. Il concilio si tenne a Efeso nell’agosto 449. Nel frattempo Papa Leone era giunto alla conclusione che la dottrina di Eutiche fosse eretica, e lo scrisse all’Imperatore e al Patriarca, affermando inoltre che non vi era bisogno di un concilio generale, essendo il papa stesso la persona che avrebbe dovuto decidere e definire da solo il dogma in virtù del primato petrino. Ma il Concilio fu convocato lo stesso, e Leone inviò tre delegati, affidando loro una Epistola Dogmatica indirizzata al patriarca di Costantinopoli Flaviano in cui formulava la vera dottrina: l’unità delle due nature ipostatiche nella stessa persona, in cui le proprietà di entrambe le nature erano preservate. Non fu però spiegato come questa unione fosse possibile.

Dioscoro presiedette al Concilio. La lettera di Leone non fu letta, e i rappresentanti romani non votarono. Eutiche fu dichiarato ortodosso, e Flaviano fu deposto essendo andato oltre la dottrina del credo di Nicea. Altri antiocheni illustri, come Teodoreto di Cirro, furono deposti. Di conseguenza il compromesso del 433 fu annullato e fu riaffermata la dottrina di Cirillo di una natura incarnata del Dio-Logos. Il voto di molti dei 115 vescovi non fu tuttavia libero ma furono soggetti a intimidazioni sia da parte delle autorità imperiali che dai monaci siriani.

Il Papa disconobbe gli esiti del Concilio di Efeso, ed esortò Valentiniano III di proporre al suo collega orientale Teodosio II di convocare un nuovo concilio in Italia. Teodosio II replicò asserendo che il recente Concilio aveva semplicemente difeso i decreti di Nicea e di Efeso contro le innovazioni di Flaviano, e che non era richiesto altro concilio, perché la Chiesa ormai era in pace.

Tuttavia il prestigio acquisito da Dioscoro rappresentava una minaccia non solo per Roma ma anche per Costantinopoli. Così, spentosi Teodosio II, seguì un cambio di politica per Costantinopoli. Marciano decise infatti di convocare un nuovo concilio come aveva richiesto Papa Leone ma in Oriente e non in Italia, come aveva richiesto il pontefice. Il concilio di Calcedonia del 451 si tenne ad ottobre, presieduto dal legato del Papa. Mentre il Papa avrebbe voluto che la sua epistola fosse accettata nella sua interezza come il nuovo credo, Marciano temette che la formula papale potesse essere inaccettabile per l’Oriente. Il Concilio decise pertanto che la vera dottrina era contenuta in alcuni scritti di Cirillo come anche nell’epistola di Leone; e descrisse Gesù Cristo come completamente e contemporaneamente umano e divino; Cristo era uno e solo, con due nature, senza confusione o cambiamento, divisione o separazione; ogni natura concorreva a formare una sola persona e una sola ipostasi.

Dioscoro fu deposto dal Concilio, e fu esiliato a Gangra. In Egitto e in Siria molti aderivano alla dottrina di una sola natura, e si opposero fermamente alla formula di Calcedonia. Si chiamavano Monofisiti ed erano troppo numerosi per essere estirpati. Essi alla fine fondarono la Chiesa Copta di Egitto. Nel corso del regno di Leone I (457-474) avvennero molti scontri violenti dovuti ai monofisiti ad Alessandria e ad Antiochia.

A Gerusalemme i monofisiti, appoggiati dall’imperatrice Eudocia (ritiratasi proprio lì), presero il sopravvento in seguito al concilio di Calcedonia, e vi fu per qualche tempo un periodo di terrore. Il monofisita Teodosio divenne patriarca di Gerusalemme con la forza costringendo il suo predecessore Giovenale alla fuga, e, godendo del sostegno dell’ex imperatrice Eudocia, usò la violenza contro i suoi oppositori. L’Imperatore Marciano adottò misure rigorose, costringendo Teodosio alla fuga al monte Sinai, e restaurando Giovenale come patriarca di Gerusalemme. Eudocia successivamente si convertì dal monofisismo al cristianesimo di Calcedonia (“non eretico”) in seguito a un incontro con il monaco Simeone (successivamente santo) che le fece comprendere i suoi errori.

Le discussioni e le controversie teologiche ingenerate dal Cristianesimo provocarono alla lunga instabilità interna e furono tra i fattori interni che provocarono la caduta della pars occidentis. Sembrerebbe infatti che l’invasione dell’Africa dei Vandali trovò l’appoggio dei Donatisti, eretici africani perseguitati dal governo centrale. Anche in Oriente tuttavia fecero i loro danni. Le conquiste islamiche di Siria ed Egitto, avvenute nel VII secolo, furono appoggiate dai Monofisiti perseguitati dal governo centrale che videro gli Arabi Musulmani quasi alla stregua di “liberatori”. Gli Arabi abbassarono le tasse e permisero ai Monofisiti di continuare a professare la loro religione (senza dover per forza convertirsi all’Islam) a condizione che pagassero una tassa, la jizya, dalla quale erano esentati i musulmani. Tuttavia, successivamente, il Cristianesimo fu un elemento di coesione che permise all’Impero d’Oriente di resistere per secoli ancora alle nuove minacce.

LE CONTROVERSIE SULLA PREDESTINAZIONE

Mentre le controversie sulla doppia natura del Cristo interessarono soprattutto l’Oriente, l’Occidente romano fu colpito da un’altra controversia, quella sulla predestinazione. Pelagio, forse un britannico di origini irlandesi, propagò un’eresia riguardante la questione del peccato originale e del libero arbitrio. Secondo Pelagio l’uomo ha il potere di scegliere tra il bene e male, e non esiste peccato che non sia dovuto a una sua libera scelta di compiere del male; inoltre riteneva che il peccato non fosse ereditario e che gli uomini potessero vivere senza compiere peccati, e i neonati non battezzati potessero andare in paradiso.

Le opinioni di Pelagio furono combattute e condannate da Agostino d’Ippona, secondo cui il peccato fu trasmesso a tutti gli uomini da Adamo, e che l’uomo non potesse scegliere con il proprio libero arbitrio di compiere del bene senza l’ausilio costante della grazia divina; inoltre nessun uomo poteva vivere una vita senza peccato e che i neonati che muoiono non battezzati sono condannati all’inferno come una giusta punizione per il peccato ereditato. La teologia sulla predestinazione sviluppata da Agostino era tale da ammettere il libero arbitrio da un lato e da vanificarlo dall’altro. Secondo Agostino Dio aveva stabilito fin dal principio di salvare alcuni umani dal peccato originale, concedendo ad essi solo i doni della grazia ad essi necessaria per la loro salvezza. Il resto andrà all’inferno, o per gli effetti del peccato originale o per le loro trasgressioni. Agostino sosteneva inoltre che non vi era alcuna ingiustizia nel concedere solo ad alcuni la grazia, in quanto non vi era alcuna ragione per cui Dio dovesse dare la grazia a tutti, e che il rifiuto di concederla ad alcuni voleva dire che quelli non erano degni di riceverla.

Pelagio nel 409 partì da Roma per recarsi in Africa e, dopo aver lasciato qui Celestio, un suo seguace, si trasferì in Palestina. Nel 412 Celestio sostenne le sue tesi pelagiane a un concilio di vescovi africani radunatosi a Cartagine e fu di conseguenza scomunicato. Tre anni dopo si tenne un sinodo a Gerusalemme, alla presenza di Pelagio, in cui la questione fu discussa. Alcuni mesi dopo un altro sinodo a Diospoli accusò Pelagio di eterodossia. Nel frattempo Agostino scrisse sull’argomento e i vescovi africani condannarono la dottrina pelagiana, chiedendo l’intervento di Papa Innocenzo. Il successore di Innocenzo, Papa Zosimo, eletto il 17 marzo 417, censurò i vescovi africani per aver condannato Celestio, e prese le difese dei pelagiani. I vescovi africani, in spregio della posizione assunta dal Papa, condannarono gli insegnamenti di Pelagio nel corso di un sinodo a Cartagine (1 maggio 418). Papa Zosimo alla fine ritornò sui propri passi e si convinse che le dottrine di Pelagio fossero eretiche, decidendo di ratificare le deliberazioni del sinodo cartaginese. Onorio promulgò un decreto che espelleva Pelagio e Celestio da Roma e condannava alla confisca dei beni i loro seguaci.

Anche se la teoria di Pelagio fu smontata dalle argomentazioni e dall’autorità di Agostino, essa portò a una nuova scuola di opinione in Gallia che, pur condannando il Pelagianesimo, non accettava la teoria della predestinazione di Agostino, trovandola troppo estrema o radicale.

PERSECUZIONE DEI PAGANI

Della persecuzione dei Pagani se ne è già parlato laddove si è discusso della battaglia del Frigido. La persecuzione era una conseguenza inevitabile della decisione di Costantino di adottare il Cristianesimo. Due dei punti principali in cui il Cristianesimo differiva dalla religione di stato romana erano l’esclusività e l’importanza vitale assegnata al dogma. Il primo punto portò alla persecuzione dei pagani, il secondo alla persecuzione delle eresie. E questa fu la politica adottata dagli imperatori allorquando il Cristianesimo divenne religione di stato.

Costantino avrebbe potuto benissimo accontentarsi di privare i culti pagani del loro status ufficiale e permettere al Cristianesimo di competere alla pari con i suoi rivali, aiutato dal prestigio derivato dal favore imperiale. Il punto è che tale politica sarebbe stata anacronistica, perché all’epoca era inconcepibile uno stato privo di un culto di stato, dunque il cristianesimo divenne la religione di stato e l’antica politica di tolleranza fu abbandonata. Lo scopo dei culti ufficiali nello stato pagano era di assicurarsi la protezione delle divinità, che erano tolleranti e non ponevano obiezioni alla venerazione di altri culti, per cui la tolleranza era uno dei principi dello stato. Ma il Dio cristiano imponeva di non venerare altri dei al di fuori di lui, e proibiva l’idolatria. Dunque come lo stato poteva confidare nella protezione del Dio cristiano permettendo l’uso dell’idolatria? La persecuzione del paganesimo fu una conseguenza di questo ragionamento.

Le misure contro i culti pagani furono adottate gradualmente, nel corso dei decenni. Non sarebbe stato prudente per Costantino adottarle immediatamente, con i quattro quinti della popolazione dell’impero ancora non cristiani e con i principali ufficiali civili e militari di fede pagana. Costantino avrebbe rischiato serie rivolte interne. Costantino dunque adottò una politica prudente che preparò la strada per la conversione graduale dell’Impero al Cristianesimo, e fu talmente cauta che alcuni sostennero che il suo scopo era di stabilire una parità tra le due religioni. Costantino mantenne il titolo di Pontefice Massimo, e di conseguenza il diritto dell’Imperatore di presiedere le istituzioni religiose. E se è vero che abolì i finanziamenti statali ai riti pagani, fece un’eccezione per i culti ufficiali a Roma. Proibì i sacrifici nei templi, con la motivazione di impedire la divinazione, spesso impiegata da persone che aspiravano alla rivolta e desideravano conoscere se la loro rivolta avrebbe avuto successo. I culti pagani furono soppressi in alcuni particolari luoghi, ma i pagani potevano ancora venerare liberamente nei templi, offrendo incenso, e facendo libazioni di vino, e potevano persino compiere sacrifici in una casa privata.

I figli di Costantino furono meno tolleranti nei confronti del paganesimo. Costanzo II confermò la proibizione dei sacrifici, minacciando i trasgressori con la condanna a morte, anche se non risulta che la pena di morte fosse mai stata inflitta in questi casi. Nello stesso editto fu disposta la chiusura dei templi in tutti i luoghi e in tutte le città, ma non si hanno prove che questo ordine fosse stato eseguito sistematicamente in tutto l’Impero, perché era facoltà del governatore provinciale eseguire o meno gli ordini del decreto. Tuttavia in alcuni luoghi fanatici cristiani approfittarono del decreto imperiale per distruggere luoghi di culto pagani. Quando Giuliano, l’Imperatore pagano, salì al potere, nominò vescovo cristiano di Ilion un certo Pelasio, che in realtà venerava il dio Sole, affinché potesse proteggere i templi pagani locali dalle distruzioni dei cristiani. Giuliano probabilmente riaprì i templi pagani chiusi dall’editto di Costanzo II. Sembrerebbe che in seguito alla caduta in guerra di Giuliano, i suoi successori (tralasciando la breve parentesi di Gioviano) Valentiniano e Valente, tolleranti verso il paganesimo, permisero ai templi pagani di rimanere aperti per la venerazione, pur proibendo i sacrifici. I due imperatori concessero lo svolgimento dei misteri di Eleusi e adottarono una politica di tolleranza per tutto il loro regno.

Una nuova politica di intolleranza religiosa fu inaugurata da Graziano e da Teodosio. Graziano abbandonò il titolo di Pontefice Massimo, ritirò i fondi pubblici riservati ai culti di Roma, e ordinò la rimozione dell’Altare della Vittoria dalla sede del Senato, nonostante le proteste dei senatori. Nel frattempo Teodosio dichiarò nel 380 il Cristianesimo religione di stato, anche se nei primi anni di regno non adottò una persecuzione sistematica del Paganesimo, limitandosi a proibire i sacrifici e a convertire in chiese cristiane alcuni templi pagani. Le distruzioni dei templi pagani, come quella del Serapeo di Alessandria nel 389, non erano dovute alla volontà imperiale ma da monaci e fanatici cristiani. Fu solo nel 391 e nel 392 che la promulgazione dei cosiddetti decreti teodosiani portò alla definitiva proibizione dei riti pagani nella loro totalità. Non solo fu proibito il sacrificio sia in pubblico che in privato, ma anche la semplice frequentazione dei templi, o la venerazione delle immagini con l’incenso o in qualunque altro modo.

Gli ultimi anni del IV secolo videro la definitiva decadenza del paganesimo. I giochi olimpici furono celebrati per l’ultima volta nel 393, dopodiché la mastodontica statua di Giove, opera di Fidia, fu portata da Olimpia a Costantinopoli. I misteri eleusini smisero di essere celebrati tre anni dopo a causa della devastazione dei templi apportata dai Visigoti di Alarico. I culti pagani continuarono comunque ad essere praticati in segreto per qualche tempo.

Arcadio in un editto emanato sotto l’influenza di Crisostomo ordinò di distruggere i templi e di usarne il materiale per la costruzione di edifici pubblici. In alcuni paesi rurali il Cristianesimo non si era ancora diffuso, per cui fu necessario inviare predicatori missionari, come Martino nella Gallia occidentale e Vitricio nelle province belgiche, per convertire quelle popolazioni alla fede cristiana. Teodosio II in un editto annunciò trionfalmente che non vi erano più pagani nei territori di sua giurisdizione, ma solo un anno dopo ribadì la proibizione dei sacrifici e ordinò ulteriori conversioni di templi in chiese, segno che il paganesimo ancora sopravvivesse in forma clandestina. Leone I emanò ulteriori leggi contro i culti pagani.

Andrebbe in realtà notato che nell’Oriente romano erano proibiti soltanto i culti pagani, ma non la possibilità dei pagani di esprimere la loro opinione. Ai pagani era permesso di diffondere liberamente i loro testi, a parte alcune eccezioni, come un editto di Teodosio II che ordinò la distruzione dei libri di Porfiro, il cui trattato contro i cristiani dovette aver urtato l’imperatore o alcuni dei suoi ministri. Lo stesso Teodosio II tuttavia aveva proibito ai Cristiani di provocare o fare del male a Ebrei o Pagani che non portavano disturbo. Ancora nel VI secolo troviamo pagani in posizioni prominenti. L’università di Atene, istituzione fortemente pagana, rimase aperta per tutto il V secolo, venendo chiusa da Giustiniano solo nel 529, e diversi dotti pagani ricevettero cattedre all’università di Costantinopoli.

Comunque in un centinaio di anni l’Impero si era trasformato da uno stato in cui la stragrande maggioranza degli abitanti erano pagani a uno in cui un imperatore poteva dire, certamente esagerando ma neanche in maniera manifestamente assurda, che non era sopravvissuto un pagano. Tale cambiamento fu raggiunto non solo con proibizioni e soppressioni. La Chiesa cristiana scelse di adottare una forma di compromesso introducendo nel culto cristiano alcuni rituali presi in prestito dal paganesimo. Incenso, luci e fiori, usate nei riti pagani, cominciarono a essere usati anche dai Cristiani. Una legione di santi e martiri sostituì la vecchia legione di dei e di eroi, e il pagano esitante poteva ancora accettare di praticare una religione che, se l’aveva privato della sua divinità tutelare, gli consentiva in compenso il culto di un santo tutelare. Il marinaio o il pescatore greco, abituato a pregare Poseidone, poteva ora invocare l’intervento di San Nicola. Il calendario delle festività cristiane corrispondeva in molti punti a quello delle festività pagane. Gli uomini potevano accettare più facilmente la perdita delle festività pagane connesse al solstizio d’inverno  e all’equinozio di primavera se esse erano sostituite da festività cristiane come il Natale e la Pasqua, in modo che essi potessero trasferire alcune delle loro antiche usanze alle nuove festività. La data del Natale fu fissata in modo da farla coincidere con il compleanno di Mithras (natalis Invicti, 25 dicembre), la cui religione aveva molte affinità  con il Cristianesimo.

Il Cristianesimo insomma incorporò al suo interno, modificandole, superstizioni pagane. Erano ancora disponibili le cure mediante il sogno attribuite a Esculapio o ai Dioscuri per chi avesse dormito una notte nelle corti del tempio, con la differenza che il paziente doveva recarsi a un santuario dei Santi Cosmas e Damiano, i nuovi Castore e Polluce, o dell’arcangelo Michele o di qualche altro sostituto cristiano. Questo metodo ebbe efficacia. In Egitto, nei pressi di Canopo, vi era un tempio di Iside dove erano dispensate cure notturne, e Cristiani continuavano a fare ricorso a questa superstizione pagana. Il patriarca di Alessandria Cirillo risolse il problema dedicando una chiesa ai due martiri Ciro e Giovanni nello stesso luogo dove vi era il tempio di Iside attribuendo ai due martiri gli stessi poteri medici attribuiti alla dea Iside.

I pagani più dotti e colti opposero una resistenza più duratura e ostinata alla loro conversione al Cristianesimo rispetto al volgo. Nel corso del IV e del V secolo le scuole di retorica, filosofia, legge e scienza continuarono a sopravvivere rette da dotti eruditi pagani. Nei loro scritti, alcuni pagani attaccarono pesantemente il Cristianesimo, attribuendogli la responsabilità delle invasioni barbariche e della rovina dell’Impero, altri decisero di ignorarlo. In generale si rassegnarono, non trovando difficoltà nel servire imperatori cristiani e a lavorare con colleghi cristiani. Nel V secolo l’accademia platonica di Atene continuò a fiorire e ad essere retta da dotti pagani (come Proclo), che professavano il neoplatonismo. All’epoca il neoplatonismo era il rivale più formidabile della teologia cristiana, e anche Agostino lo riconobbe, ammettendo di esserne rimasto attratto. Gli ellenisti non avevano abbandonato del tutto le speranze di ottenere che il culto pagano tornasse ad essere tollerato. L’elevazione di Antemio in Occidente provò che non era impossibile che qualcuno con simpatie elleniche potesse salire al trono, anche se Antemio non fu in grado di fare molto in favore dei pagani. Proclo morì nel 485, e in quello stesso anno un suo ex allievo fu associato a una rivolta che, se fosse stata vittoriosa, avrebbe potuto portare come conseguenza una maggiore tolleranza nei confronti del politeismo e dei riti pagani. Il paganesimo ormai si stava estinguendo.

PERSECUZIONE DELLE ERESIE

La persecuzione degli eretici fu più rigorosa e severa della persecuzione dei pagani. Coloro che stavano al di fuori della Chiesa apparivano meno pericolosi di quei membri della Chiesa che minacciavano di corromperla con dottrine false, in quanto l’unità della fede cristiana nelle questioni dogmatiche erano considerate di importanza suprema. Secondo Papa Leone I, “la Verità, che è una e semplice, non ammette varietà”.

L’eresia che risultò più pericolosa fu il Manicheismo, formatasi prendendo in prestito concetti zoroastriani e cristiani, nonché buddisti, anche se i principi zoroastriani erano preponderanti. Il Manicheismo fu fondato da Mani in Persia nel III secolo, e nel corso del IV secolo si diffuse nell’Impero romano. Agostino in gioventù fu tentato di diventare manicheo, prima di convincersi dell’errore che stava commettendo. Secondo i Manichei vi erano due principi, uno buono che è Dio e uno cattivo che è la Materia, ed entrambi erano indipendenti l’uno dall’altro. L’Antico Testamento era opera dell’Essere Malvagio. Essendo la materia di per sé cattiva, Gesù Cristo non poteva essere fatto di materia, e dunque il suo corpo umano era mera apparenza. La storia della sua vita narrata nei Vangeli fu interpretata misticamente. I Manichei non possedevano chiese, altari o incenso; il loro culto consisteva in preghiere e inni; non celebravano il natale, e la loro festività principale era la Bema, a marzo, in memoria della morte del loro fondatore, ucciso per ordine del re persiano Bahram I. I Manichei condannavano il matrimonio, e praticavano una vita di privazioni.

Le frequenti e drastiche leggi contro i Manichei cominciarono ad essere promulgate nel corso del regno di Teodosio I. Teodosio li privò dei diritti civili e li espulse dalle città. Coloro che si erano camuffati sotto falso nome erano passibili della pena di morte, e Teodosio ordinò al prefetto del pretorio d’Oriente di istituire “inquisitori” all’uopo di identificarli e condannarli. Nel corso del regno di Teodosio II, sotto l’influenza del patriarca di Costantinopoli Nestorio, nel 428 nuove leggi contro i Manichei furono promulgate, confermando l’espulsione dalle città e la condanna a morte. Leggi più tarde stabilirono la pena di morte per i manichei in tutti i casi, a conferma di quanto venisse considerata pericolosa questa eresia.

Arcadio, all’inizio del suo regno, ribadì la validità delle leggi promulgate dai suoi predecessori contro gli eretici. Agli Eunomiani, una branca radicale degli Ariani, che credevano che il Figlio forse diverso dal Padre, fu riservato un trattamento più severo rispetto agli altri eretici e furono privati del diritto di fare testamento (questo punto fu modificato in seguito, stabilendo che non potevano lasciare in eredità dei beni a un altro eretico). Gli sforzi combinati di Chiesa e Stato ebbero successo nell’estirpare l’Arianesimo, che dopo la fine del IV secolo cessò di essere un pericolo per l’unità della Chiesa. Gli sforzi combinati di Chiesa e Stato ebbero successo anche nell’estirpare il Nestorianesimo dall’Impero. La stessa politica, tuttavia, applicata ai Monofisiti, fallì. Con la legge di Marciano del 455 i Monofisiti furono esclusi dalle cariche pubbliche e fu loro proibito di pubblicare libri che criticassero il concilio di Calcedonia, e i loro libri, come del resto anche quelli dei Nestoriani, furono condannati al rogo. Ma in Siria e in Egitto i Monofisiti tennero duro e rifiutarono di convertirsi al Cristianesimo ufficiale secondo i dogmi stabiliti dal Concilio di Calcedonia.

Le misure severe contro i Donatisti in Africa erano dovute principalmente al loro fanatismo. Il donatismo non era propriamente un’eresia, ma uno scisma, dovuto alla doppia elezione del vescovo di Cartagine nel 311. I tentativi di Costantino e di Costante di restaurare l’unità della Chiesa africana militarmente risultarono vani. La causa dei Donatisti non era raccomandata dalla loro associazione con i Circoncellioni, che disdegnavano la morte e infliggevano le morti più crudeli ai loro avversari. Gli scismatici sopravvissero alla persecuzione. Alla morte di Teodosio I i Donatisti avevano la maggior parte delle chiese africane in loro mani, e nel corso dell’usurpazione di Gildone perseguitarono i Cattolici. Quando Agostino divenne vescovo di Ippona, dove i Donatisti erano in maggioranza, si diede il compito di ripristinare l’unità ecclesiastica in Africa con una politica conciliante. In seguito al suo successo nel convertire molti donatisti, i donatisti fanatici, inferociti da queste diserzioni, cominciarono a commettere violenze ai danni del clero e delle chiese, coadiuvati dai Circoncellioni. Alcuni vescovi africani fuggirono a Ravenna invocando l’aiuto del governo centrale, e nel 405 l’Imperatore Onorio promulgò alcune leggi intese “a estirpare gli avversari della fede cattolica” condannando i Donatisti a pene severe. I Donatisti esultarono alla morte di Stilicone, ritenuto l’autore di quelle leggi, e disordini scoppiarono di nuovo. Mentre Alarico minacciava Roma, Onorio revocò i suoi decreti e, su richiesta dei vescovi, convocò una conferenza tra i vescovi di entrambe le fazioni a Cartagine nel 411. L’assemblea fu presieduta da Marcellino, uno dei “tribuni e notai” che l’Imperatore impiegava per incarichi speciali. Alla fine delle discussioni, Marcellino diede torto ai Donatisti, ai quali fu concesso un certo tempo per convertirsi alla vera fede. Alcuni si convertirono, altri si appellarono all’Imperatore, che confermò le decisioni di Marcellino e promulgò una nuova legge contro gli scismatici, comminando multe pesanti ai recalcitranti, ed espellendo il clero. Due anni dopo i donatisti furono privati dei diritti civili. Per effetto di queste leggi i donatisti si indebolirono e persero di importanza, anche se continuarono ad esistere e furono tollerati dai conquistatori Vandali.

Anche sotto gli imperatori cristiani gli Ebrei riuscirono a conservare la maggior parte dei privilegi posseduti in precedenza. La Chiesa non fu in grado di persuadere lo stato a prendere misure per perseguitare gli Ebrei o a espellerli dall’Impero. Fu loro proibito di possedere schiavi cristiani, e una legge di Teodosio II li escludeva dalle cariche e dalle dignità civili. Ma spesso i legislatori erano più preoccupati a proteggerli che a limitare i loro diritti.

IL MONACHESIMO

Nello stesso periodo emerse un movimento inizialmente indipendente dalla Chiesa ma destinato poi a diventare una parte importante del sistema ecclesiastico. Nel corso del IV e V secolo un numero sempre maggiore di uomini e di donne si ritirarono dalla società e abbracciarono una vita di preghiera, di privazioni e di celibato, o nel deserto o in comunità di clausura. Il monachesimo divenne in breve tempo una delle istituzioni più influenti del mondo cristiano.

Il monachesimo cristiano si originò intorno al 300 per merito di Sant’Antonio in Basso Egitto. Questa forma di monachesimo veniva praticato nel deserto. Un’altra varietà di monachesimo fu fondata in Alto Egitto da Pacomio. Nei suoi monasteri presso Tentyra e Panopolis i monaci vivevano, pregavano e lavoravano. Il monachesimo fu poi introdotto in Palestina da Ilario, e si diffuse anche in Siria, dove alcuni monaci vivevano per anni sulla sommità di un alto pilastro. Il movimento monastico attrasse l’attenzione di San Basilio, che giunse alla conclusione che le istituzioni monastiche, incanalate correttamente, potessero rendersi utili alla Chiesa, e fondò una comunità cenobita a Neocesarea (360 circa). Ai fratelli non era richiesto prendere voti, l’ascetismo non era immediato, e fu loro imposto di lavorare i campi. L’idea di San Basilio ebbe successo ed egli divenne il fondatore del monachesimo greco. La regola di San Basilio si diffuse per tutta l’Asia Minore e successivamente in Palestina.

In Europa Occidentale, il monachesimo si diffuse soprattutto in Gallia. Martino di Tours fondò un monastero a Poitiers intorno al 362. All’incirca quarant’anni dopo furono fondati monasteri a Marsiglia e nelle isole di Lérins lungo la costa della Provenza, secondo i canoni di vita ascetica così come praticata dai monaci antoniani dell’Egitto settentrionale. Nello stesso periodo, monasteri sia maschili che femminili furono fondati a Roma e nelle città italiche, mentre in Africa i monasteri furono fondati per merito di Agostino. In Spagna, invece, il movimento monastico non sembrerebbe aver preso piede non prima del VI secolo.

La Chiesa e lo Stato ritennero necessario, nell’interesse dell’ordine pubblico, esercitare controllo sugli asceti, che inizialmente erano ognuno sotto il suo signore e non riconoscevano alcun superiore. Inoltre i monaci, nel loro zelo religioso, erano pronti a commettere anche atti violenti, come la distruzione di templi pagani (spesso capolavori dell’antichità come il Serapeo di Alessandria) o l’assassinio di pagani influenti come la filosofa e scienziata Ipazia. Il concilio di Calcedonia deplorò la turbolenza dei monaci, e impose loro di non lasciare il loro monastero senza l’autorizzazione del vescovo. Le comunità monastiche furono così portate sotto il controllo ecclesiastico.

I possedimenti monastici si accrebbero gradualmente grazie alle donazioni dei ricchi e dei pii e all’inizio del VI secolo lo storico pagano Zosimo esprime il seguente giudizio fazioso sui “cosiddetti monaci”:

“Essi rinunciano ai matrimoni legali e riempiono le loro istituzioni popolose nelle città e nei villaggi con la popolazione celibe, inutili sia alla guerra o per ogni servizio allo Stato; ma crescendo gradualmente dal tempo di Arcadio al giorno di oggi essi si sono appropriati della gran parte della terra, e, con il pretesto di condividere tutto con i poveri, essi hanno ridotto tutti in povertà.”

Si tratta certo di affermazioni faziose ed esagerate di uno storico pagano prevenuto nei confronti del Cristianesimo, e che era stato ufficiale del tesoro; ma essa attesta la crescente popolarità, salute e potere delle istituzioni monastiche.

La vita ascetica influenzò anche il clero secolare. Fu discusso se i membri del clero potessero sposarsi. Inizialmente sulla questione fu lasciata al clero la libertà di scelta secondo la loro coscienza ma nel 384 un concilio convocato a Roma da Papa Siricio proibì ai vescovi, preti e diaconi di sposarsi. Contro questa decisione sorse in Gallia un movimento di protesta sotto la guida di Vigilanzio, che denunciò il celibato, reliquie e l’uso di incenso; ma il movimento non sopravvisse alla sua morte. Il celibato del clero divenne la regola in Occidente. In oriente accadde diversamente. Il matrimonio dopo l’ordinazione fu proibito, ma ai membri del clero che fossero già sposati non fu imposto di separarsi dalla propria moglie tranne nel caso dei vescovi.