Costante II, Costantino IV e Giustiniano II

IL POTENZIAMENTO DELLA FLOTTA ARABA

Quando Eraclio perì (641), Costantino III ed Eracleona vennero entrambi nominati imperatori, con pari autorità. Tuttavia lotte intestine causarono la rovina di entrambi. Dopo quattro mesi di regno, infatti, Costantino III perì in circostanze sospette (si sospettò che fosse stato avvelenato), permettendo ad Eracleona di regnare da solo. Tuttavia il suo regno durò solo pochi mesi in quanto il senato e l’esercito si rivoltarono e riuscirono a deporlo. Eracleona e Martina, accusati di aver avvelenato Costantino III, furono puniti con la mutilazione (a Eracleona fu tagliato il naso mentre a Martina la lingua) e con l’esilio.

L’esercito nominò Imperatore Costantino (da allora soprannominato Costante II), figlio di Costantino III, un ragazzino di 11 anni (era nato nel 630). Si narra che, in occasione della sua ascesa al trono, Costante II recitò un orazione al fine di ringraziare il senato per aver deposto e punito giustamente gli assassini di suo padre e promise loro che avrebbe regnato seguendo i loro consigli. In effetti Costante II aveva soli 11 anni e a un età tanto tenera non poteva regnare da solo, per cui fino al compimento della maggiore età accettò la tutela del Senato.

Durante il regno di Costante II gli Arabi continuavano a minacciare l’Impero dei Romei. Dopo aver costretto Alessandria alla resa (642), gli Arabi si spinsero oltre occupando la Cirenaica (643). Nel 647 invasero l’esarcato d’Africa e sconfissero in battaglia l’esarca Gregorio, che nel frattempo si era rivoltato all’autorità centrale. Gli Arabi, tuttavia, accettarono di ritirarsi dai territori dell’esarcato d’Africa a condizione che esso pagasse loro un consistente tributo.

Costante II, tuttavia, non accettò di stare a guardare l’espansionismo degli Arabi senza non fare almeno un tentativo di controffensiva, e nel 645 inviò il generale Manuele con una flotta a recuperare Alessandria (645). La spedizione in un primo momento fu vittoriosa, recuperando Alessandria e il Delta del Nilo, ma di fronte alla reazione araba, i Romei furono costretti a ritirarsi ad Alessandria, che poi cadde per un tradimento degli abitanti della città. La spedizione era fallita.

Muawiyah, generale arabo, comprese che fin quanto la flotta romea sarebbe stata superiore a quella araba, i Romei avrebbero potuto avere qualche speranza di ripresa. Quindi si risolse a potenziare di molto la flotta araba, per renderla superiore a quella romea. E i risultati si videro quando nel 655 la flotta araba sconfisse quella imperiale in una grande battaglia navale combattuta al largo del Monte Fenice, rischiando di uccidere persino l’Imperatore Costante II in persona. Secondo un aneddoto riportato da Teofane, prima della battaglia, l’Imperatore avrebbe sognato di essere a Tessalonica e avrebbe chiesto a un interprete dei sogni il significato di quel sogno: l’interprete gli avrebbe risposto che la parola Tessalonica è molto simile come suono a una frase greca che significa “Sia data la vittoria all’altro” (cioè al nemico). La battaglia infatti fu una disfatta: 500 navi romee distrutte e l’Imperatore salvo, secondo almeno Teofane, solo grazie al coraggio di uno dei figli di tal Buccinatore che portò in salvo l’Imperatore su una nave e combatté, vestendo i vestiti dell’Imperatore, con coraggio gli infedeli, perendo dopo averne uccisi molti.

Comunque la vittoria non ebbe seguito, e non portò all’assedio di Costantinopoli, come ambiva Muawiyah, perché una guerra civile era scoppiata nel Califfato, e fin quanto essa durò Costantinopoli poté ritenersi al sicuro. Durante questo intervallo l’Imperatore ottenne taluni modesti successi contro gli Slavi nei Balcani, e nel 659 riuscì a imporre agli Arabi, indeboliti dalla guerra civile, il pagamento di un tributo annuale di 1000 nomismata, un cavallo e uno schiavo al giorno.

Costante II decise ora, dopo aver ottenuto alcuni successi sugli Slavi e aver reso temporaneamente gli Arabi tributari dell’Impero (certo più per le lotte intestine scoppiate nel califfato arabo che non per una effettiva superiorità militare), di stabilire la propria residenza in Italia, nel tentativo di cacciare i Longobardi da essa. Nel 663 l’Imperatore, odiato ormai dalla popolazione della capitale (che lo chiamava “Caino” perché aveva fatto giustiziare il fratello Teodosio accusandolo di tradimento), decise di cambiare aria, decidendo di fare visita all’Antica Roma. Tentò di sottomettere il ducato di Benevento senza riuscirci, e, visitata Roma, si trasferì in Sicilia, ponendo lì la residenza. La scelta della sede di Siracusa come sede imperiale è stata vista dalla storiografia moderna come motivata da ragioni di carattere strategico: l’Imperatore voleva infatti contrastare l’espansionismo degli Arabi in Africa e la Sicilia, per la sua vicinanza, era proprio il luogo ideale per attuare tale politica.

Ma, di fronte al governo autocratico di Costante II, che nel 666 aveva proseguito la sua politica contro la Chiesa Romana concedendo alla Chiesa di Ravenna l’autocefalia (cioè l’indipendenza dal Papato), venne organizzata una rivolta in Sicilia: mentre l’Imperatore si faceva il bagno a Siracusa, un servo lo colpì alla testa, uccidendolo sul colpo. La rivolta era stata organizzata da un generale armeno, Mecezio, che si autoproclamò imperatore in Sicilia, venendo però deposto dalle truppe italiche fedeli al figlio di Costante, Costantino IV, forse condotte dall’Imperatore in persona.

L’Impero intorno al 668.

Ora è giusto soffermarci sulla rivalutazione della figura di questo Imperatore. Costante II, a causa dell’immagine poco lusinghiera fornitaci dalle fonti dell’epoca (furenti con lui per la politica avversa alla Chiesa Romana), ha ricevuto nel corso dei secoli giudizi negativi da parte di diversi studiosi. Tuttavia, a partire dal XIX secolo, il suo operato è stato rivalutato da diversi studiosi, affascinati anche dal sogno anacronistico dell’Imperatore di riporre l’Italia come centro dell’Impero. Warren Treadgold in particolare dà all’Imperatore un ruolo molto importante nella storia bizantina, ipotizzando che sia stato proprio lui a riformare l’ordinamento dell’Impero con l’istituzione dei temi. I temi erano le nuove circoscrizioni militari in cui era diviso l’Impero: tali circoscrizioni erano difese da eserciti locali composti da soldati-contadini (stratioti). Se Treadgold avesse ragione nell’ipotizzare che fu Costante II a istituire i temi (riforma in passato attribuita ad Eraclio), vorrebbe dire che Costante II giocò un ruolo importante nella sopravvivenza dell’Impero per i secoli a venire in quanto, pagando i soldati con terre da coltivare concesse dallo stato invece che con il denaro (anche se la paga in denaro non fu abolita, solo ridotta di molto), ridusse dei 2/3 le spese per il mantenimento dell’esercito, riuscendo quindi a mantenere un esercito abbastanza forte nonostante la perdita del gettito fiscale della Siria e dell’Egitto, finite in mano araba. Grazie alla riforma dei temi, l’Impero riuscì a frenare quasi del tutto l’espansionismo degli Arabi, riuscendo anche a ritornare uno degli Stati più potenti dell’Oriente con l’ascesa della Dinastia Macedone (867-1056). In definitiva, se Treadgold ha ragione, Costante II fu uno dei più grandi imperatori di Bisanzio.

L’ASSEDIO DI COSTANTINOPOLI (674-678)

Mosaico di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, rappresentante l’imperatore Costantino IV (centro), il figlio e i fratelli. Da sinistra a destra: Giustiniano II, i due fratelli, Costantino IV, due arcivescovi di Ravenna e tre diaconi.

Costantino IV, asceso al trono nel 668, dovette fronteggiare il tentativo da parte degli Arabi di conquistare la stessa Costantinopoli. Ecco come Teofane Confessore descrisse l’assalto degli Arabi a Costantinopoli:

Ogni giorno vi erano scontri militari dalla mattina alla sera, tra il brachialon della Porta d’Oro e il Kiklobion, con attacchi e contrattacchi; il nemico mantenne la posizione dal mese di aprile fino a quello di settembre; poi, tornando indietro, giunsero a Cizico, che avevano conquistato, e svernarono lì; e nella primavera ritornarono e in modo simile condussero guerra contro i Cristiani per sette anni, finché, dopo aver perso molti uomini e molte navi, decisero di tornare indietro […].

Nella realtà dei fatti, l'”assedio” di Costantinopoli fu piuttosto una serie di scontri nei dintorni della città, cominciati con l’attacco di Yazid del 669. Il fatto che i cronisti bizantini e arabi sostengano che l’assedio non durò cinque anni, bensì sette, si potrebbe spiegare includendo nell'”assedio” le campagne di apertura del 672–673, oppure contando gli anni fino alla ritirata finale degli Arabi dalle loro basi, nel 680. Decisivo per il fallimento dell’assedio fu l’impiego del fuoco greco, una formidabile sostanza incendiaria inventata dall’ingegnere siriano Callinico. Il fuoco greco poteva essere gettato sulle navi nemiche tramite un grande tubo di bronzo, ma anche in altri modi. In genere la sostanza era conservata in barili riscaldati e pressurizzati e gettata tramite il tubo da una sorta di pompa mentre i manovratori della macchina erano protetti dalla sostanza da scudi di ferro. Fonti coeve riportano che non poteva essere spento con l’acqua, ma galleggiava e continuava a bruciare sopra l’acqua. In circostanze favorevoli e contro un nemico colto alla sprovvista, la sua grande capacità distruttiva, unita al conseguente impatto psicologico, poteva rivelarsi decisiva. In effetti gli Arabi persero molte navi proprio a causa dell’impiego del fuoco greco, venendo costretti alla ritirata nel 678. Nel corso della ritirata gli Arabi subirono ulteriori perdite: infatti la flotta araba (o per meglio dire quelle poche navi che non erano state distrutte dal fuoco greco) fu distrutta da una tempesta mentre l’esercito arabo (che secondo Teofane ammontava a 30.000 soldati) fu sconfitto sulla via del ritorno da un’armata imperiale condotta dai generali Floro, Petrona e Cipriano.

La distruzione della flotta araba in una tempesta e le incursioni dei Mardaiti, che avevano approfittato della carenza di truppe arabe per invadere la Siria, persuasero il califfo Muawiya a firmare una pace con Bisanzio nel 678, con cui gli Arabi accettarono di pagare ai Bizantini per un trentennio un tributo annuale di tremila libbre d’oro, cinquanta schiavi e cinquanta cavalli arabi. La vittoria ottenuta sugli Arabi dall’Imperatore, oltre a salvare Costantinopoli dalla capitolazione, accrebbe il suo prestigio, e numerose nazioni occidentali (tra cui il Khagan degli Avari) inviarono ambascerie per congratularsi dell’impresa e confermare la pace con l’Impero.

L’ARRIVO DEI BULGARI

Nel frattempo una nuova minaccia appariva all’orizzonte: nel 680 i Bulgari, condotti dal loro re Asparuh, si erano stanziati nelle vicinanze del Danubio con l’intenzione di invadere i Balcani. L’Imperatore, allarmato, organizzò una spedizione per respingere oltre il Danubio il nuovo nemico.

I Bulgari, intimoriti dall’enorme esercito messo contro di loro, si rifugiarono nelle loro fortezze, mettendosi al sicuro dagli attacchi bizantini, resi difficoltosi dal terreno paludoso, che impedì uno scontro diretto tra i due eserciti. Come se non bastasse, nel corso della campagna l’Imperatore si ammalò improvvisamente di gotta e, avendo bisogno di terapie, si risolse ad abbandonare l’esercito per ritirarsi con cinque dromoni e il suo seguito a Mesembria per curarsi ai bagni termali. Costantino IV aveva ordinato ai suoi generali di continuare la campagna in sua assenza e di condurre attacchi simulati per spingere il nemico a uscire fuori dai loro rifugi e scontrarsi in battaglia con l’esercito bizantino. L’assenza dell’Imperatore ebbe però un effetto deleterio sull’esercito, perché si diffuse la voce tra la cavalleria che l’Imperatore fosse fuggito; il panico si diffuse rapidamente tra i soldati imperiali, che andarono in rotta, venendo inseguiti dai Bulgari, che ne approfittarono per infliggere pesanti perdite all’esercito bizantino. L’Imperatore fu costretto così a pagare ai Bulgari un tributo annuale, e a lasciare che si espandessero a sud del Danubio con la sottomissione di numerose tribù slave.

A differenza di suo padre, Costante II, Costantino IV cercò la riconciliazione con il Papato, e a tal fine, decise di convocare un concilio a Costantinopoli per condannare il monotelismo. Nel 680-681 fu tenuto a Costantinopoli il sesto Concilio ecumenico che ribadì la condanna al monotelismo, ristabilendo l’unità religiosa con Roma ed accrescendo in tal modo la forza ed il prestigio dell’Impero. Nel 683 l’imperatore provvide ad eliminare i suoi due fratelli per spianare la strada alla successione da parte di suo figlio, il futuro Giustiniano II, che avvenne dopo la sua morte per dissenteria.

GIUSTINIANO II E GLI ARABI

Giustiniano II succedette appena sedicenne al padre Costantino IV nel 685. Approfittando delle guerre civili che avevano indebolito il califfato islamico, Giustiniano II inviò lo strategos Leonzio a sottomettere Armenia e Iberia, che divennero protettorati bizantini. Nel 686 fu concluso il rinnovo della pace con gli Arabi alle seguenti condizioni: l’Imperatore avrebbe spostato i Mardaiti, predoni cristiani che dal Libano conducevano scorrerie che preoccupavano gli Arabi, in territorio imperiale, impedendo così loro di attaccare gli Arabi; il tributo annuale che gli Arabi dovevano versare all’Impero sarebbe stato di 1.000 nomismata, un cavallo e uno schiavo al giorno; il gettito fiscale di Cipro, Armenia e Iberia sarebbe stato spartito equamente tra i due imperi.

Secondo Teofane, la rimozione di 12.000 Mardaiti dal Libano e la loro deportazione in Armenia, prevista dal trattato, non portò che a disastri per l’Impero in quanto «tutte le città… da Mopsuestia alla Quarta Armenia, che sono ora popolate dagli Arabi, a quell’epoca erano state indebolite e spopolate dagli attacchi dei Mardaiti. Dopo che vennero trapiantati, lo stato ha cominciato a soffrire ogni sorta di mali per opera degli Arabi fino a oggi.» Secondo Teofane, dunque, gli Arabi furono favoriti dalla rimozione dei Mardaiti in quanto furono liberati dalle loro incursioni. La storiografia moderna, tuttavia, ha messo in evidenza il fatto che la deportazione dei Mardaiti poteva avere anche effetti positivi, in quanto permetteva di ripopolare regioni desolate all’interno dell’Impero nonché di rinforzare l’esercito. In effetti, i Mardaiti furono insediati nel tema dei Carabisiaci, dove servirono nella flotta come rematori permanenti.

La sostanziale tranquillità sui confini orientali permise a Giustiniano di rivolgersi ai Balcani, invasi dalle tribù degli Slavi:  tra il 688 e il 689 sconfisse i Bulgari in Macedonia, entrando trionfalmente a Tessalonica, la seconda città dell’impero in Europa. Trentamila Slavi prigionieri di guerra furono deportati in Anatolia, più precisamente nell’Opsikion, e furono reclutati nell’esercito bizantino regionale.

L’imperatore decise quindi di rompere incautamente la pace contro gli Arabi con un futile pretesto. I due eserciti si scontrarono a Sebastopoli: inizialmente, secondo il resoconto di Teofane, gli Arabi sembravano sul punto di essere sconfitti, ma poi l’esito si capovolse grazie all’oro con cui il califfo arabo corruppe 20.000 slavi dell’esercito bizantino, convincendoli a passare dalla sua parte. Secondo Teofane, per rappresaglia, l’Imperatore fece massacrare gli altri Slavi presso Leukate, ma Ostrogorsky ritiene inattendibile questa notizia. La sconfitta subita fu la cagione della perdita dell’Armenia: Sabbatios, principe dell’Armenia, infatti, dopo la sconfitta di Sebastopoli, si sottomise agli Arabi.

Il crescente risentimento per il rapace fiscalismo e per lo sperpero di risorse attuato dagli agenti di Giustiniano, Stefano e Teodoto, per la realizzazione di costose opere edilizie e nel mantenimento del sontuoso stile di vita della corte, portò a un forte malcontento nei confronti di Giustiniano II. Nel 695 una grave rivolta scoppiò a Costantinopoli, condotta da Leonzio. Giustiniano II fu catturato e portato all’ippodromo, dove venne deposto, privato del naso (un tipo di amputazione ricorrente in un sistema in cui la menomazione fisica risultava parametro sufficiente per precludere l’accesso al trono) ed esiliato a Cherson, in Crimea. Leonzio fu acclamato imperatore.

UN PERIODO DI ANARCHIA

Nel frattempo gli Arabi stavano completando la conquista del Nord Africa minacciando Cartagine. L’Imperatore Leonzio inviò una flotta comandata dal generale Tiberio Apsimaro per salvare Cartagine dalla capitolazione ma la spedizione non ebbe successo. Nel 698 Cartagine cadde in mano degli Arabi sancendo la perdita definitiva del Nord Africa per Bisanzio. La flotta bizantina si rivoltò, proclamò imperatore Tiberio Apsimaro e si diresse minacciosamente in direzione di Costantinopoli per rovesciare l’imperatore legittimo Leonzio. Quest’ultimo fu deposto. Tiberio Apsimaro divenne imperatore con il nome di Tiberio III.

Nel 705 Giustiniano II tornò dall’esilio e si riprese il trono grazie all’appoggio militare dei Bulgari governati dal loro khan Tervel. Rompendo la tradizione che impediva l’incoronazione di chi portasse mutilazioni fisiche, Giustiniano indossò un naso d’oro e riprese il diadema imperiale. Tiberio e il predecessore Leonzio, prelevato dalle prigioni, vennero giustiziati assieme ad un gran numero di loro sostenitori. L’intero impero è pervaso da un’ondata repressiva, mentre Bulgari e Arabi ne approfittano per espandersi ai danni del declinante Impero.

Il governo tirannico di Giustiniano provocò però una nuova rivolta contro di lui, partita da Cherson, dove era stato esiliato il generale Filippico Bardane, sostenitore dei monoteliti. La città resistette contro le truppe inviate a reprimere la rivolta, che passarono in massa dalla parte dei ribelli. Giustiniano venne arrestato e giustiziato ancora fuori dalla città nel dicembre del 711.

Nei successivi sei anni si succedettero una serie di effimeri imperatori (Filippico, Anastasio II, Teodosio III), i cui regni durarono non più di due anni; una tale instabilità politica comprometteva ovviamente le possibilità da parte dei Bizantini di resistere alle offensive arabe. Gli Arabi avrebbero presto tentato un nuovo assalto alle mura di Costantinopoli. A salvare la capitale dalla capitolazione sarebbe stato un nuovo imperatore, Leone III Isaurico, nonché la resistenza delle Mura Teodosiane e l’efficacia del fuoco greco. Questo sarà l’argomento per un prossimo articolo.