Guerra gotica (535-553) – Ascesa di Totila

I REGNI DI ILDIBADO ED ERARICO (540‑541)

L’imperatore Giustiniano I con il suo seguito, Ravenna, Basilica di San Vitale.

In seguito alla partenza di Belisario per l’Oriente, le prepotenze dei soldati imperiali e il rapace fiscalismo del Logoteta Alessandro “Forbicina”, da poco arrivato in Italia da Costantinopoli, ai danni delle popolazioni italiche finirono per alienarle da Bisanzio. Inoltre le divisioni tra i generali dell’esercito imperiale agevolarono la ripresa degli Ostrogoti.

L’esercito a disposizione del nuovo re ostrogoto Ildibado, di stanza a Pavia (Ticinum), comprendeva un migliaio di truppe, ma, approfittando della inazione dei comandanti imperiali, estese la sua autorità sulla Liguria e sulla Venezia, sconfiggendo nei pressi di Treviso un’armata imperiale sotto il comando di Vitalio.  Nel maggio 541, tuttavia, nel corso di un banchetto nel palazzo reale, Ildibado perì strangolato da un gepida sua guardia del corpo. I guerrieri rugi colsero l’occasione di proclamare re degli Ostrogoti il connazionale Erarico che riuscì a mantenere il trono per cinque mesi. Erarico inviò un’ambasceria a Costantinopoli, ufficialmente per proporre la pace alle stesse condizioni che Giustiniano aveva offerto a Vitige; in realtà, Erarico aveva incaricato segretamente agli ambasciatori di comunicare all’imperatore che avrebbe abdicato e ceduto l’intera Italia all’imperatore in cambio del titolo di patrizio e di una grande somma di denaro. Nel frattempo, però, a causa della sua inazione, i Goti decisero di disfarsi del loro sovrano rimpiangendo Ildibado. Cercando un degno successore, decisero di ricorrere a Totila, comandante della guarnigione di Treviso e nipote di Ildibado (che era suo zio), proponendogli di diventare loro re. Questi accettò, Erarico fu ucciso in una congiura e Totila gli succedette (settembre od ottobre 541).

I PRIMI SUCCESSI DI TOTILA (541‑543)

Giustiniano sollecitò i suoi generali a concludere una volta per tutte la guerra ma l’offensiva imperiale fallì a causa delle divisioni tra i generali. Il tentativo di espugnare Verona si rivelò un fiasco, e nel corso della prima metà dell’anno 542 le truppe imperiali furono sconfitte in due battaglie campali (a Faenza e al Mugello) dal numericamente inferiore esercito ostrogoto di Totila. Dopo la vittoria al Mugello Totila trattò bene i prigionieri di guerra convincendoli a reclutarsi nel suo esercito. Con l’esercito ostrogoto rinforzato dal reclutamento di disertori e di prigionieri di guerra, Totila procedette a espugnare le fortezze di Cesena e di Petra Pertusa in Umbria, per poi spostare le operazioni militari nel meridione della Penisola.

Totila incontra san Benedetto, affresco di Spinello Aretino, San Miniato al Monte, Firenze.

Evitando Roma, espugnò Benevento e invase la Campania. Distaccamenti del suo esercito invasero e sottomisero le province di Lucania et Bruttii e di Apulia et Calabria, mentre il grosso dell’esercito ostrogoto assediava Napoli, che cadde nel marzo o aprile 543. Totila si comportò generosamente con i vinti sfamando la popolazione stremata dall’assedio e scortando fino a Roma il presidio imperiale di Napoli. Le fortificazioni di Napoli furono in parte rase al suolo, come già era successo con Benevento. Il prefetto del pretorio d’Italia Massimino, incaricato da Giustiniano a portare aiuti alla città partenopea, peccò di negligenza e fu prontamente destituito.

IL RITORNO DI BELISARIO IN ITALIA (544)

Nel frattempo i generali di Giustiniano continuavano a perseverare nell’inazione, pensando piuttosto a commettere abusi e prepotenze ai danni degli Italici. Costanziano scrisse all’Imperatore, chiedendo rinforzi perché per il momento non era possibile contrastare gli attacchi nemici.

Nel frattempo Totila, sentendosi in posizione di attaccare la stessa Roma, scrisse una lettera al Senato, in cui contrapponeva il buon governo ostrogoto di Teodorico con il malgoverno “greco” argomentando che fosse nell’interesse degli Italici ritornare all’antico regime ostrogoto di Teodorico e Amalasunta. La lettera fu portata a Roma da prigionieri italici, ma il comandante della guarnigione, Giovanni, vietò ai senatori di rispondere al messaggio. Totila riuscì nell’impresa di far entrare nell’Urbe dei messaggi in cui prometteva di non danneggiare i Romani fosse riuscito a espugnarla. Giovanni per tutta risposta espulse dall’Urbe il clero ariano, sospettato di essere i latori di questi messaggi. Totila inviò parte del suo esercito ad assediare Otranto e si diresse verso Roma. Allarmato Giustiniano decise di rimandare Belisario in Italia affidandogli il comando supremo dell’esercito (inizi del 544). Belisario reclutò a proprie spese 4000 soldati illirici e procedette a Salona. Inviò una flotta a liberare Otranto dall’assedio ostrogoto, spedizione che ebbe successo completo: gli Ostrogoti furono costretti a levare l’assedio e la città fu rifornita di vettovaglie sufficienti per un anno. Da Salona marciò poi per Pola e da lì raggiunse Ravenna, dove pose la sua sede.

Le truppe illiriche riuscirono a occupare alcune fortezze della provincia di Emilia, tra cui Bologna, ma, alla notizia che le province natie erano devastate dagli Unni, decisero di tornare nell’Illirico. Questo rese precaria la posizione di Belisario impedendogli di prendere ulteriormente l’iniziativa. Nel frattempo Totila espugnò Tivoli approfittando del tradimento della guarnigione isaura. Gli abitanti furono massacrati insieme al vescovo per ordine di Totila.

Belisario, conscio di non poter far di più senza rinforzi, nel 545 scrisse all’imperatore una lettera in cui lamentava la carenza di risorse: “Sono arrivato in Italia senza uomini, cavalli, armi o denaro. Le province non possono fornirmi entrate, perché occupate dal nemico; e il numero delle nostre truppe si è ridotto per via di larghe diserzioni ai Goti. Nessun generale potrebbe riuscire in queste circostanze. Inviatemi la mia milizia privata nonché larghi contingenti di Unni e altri barbari, oltre a del denaro”. Insieme alla lettera spedì Giovanni a Costantinopoli dopo averlo costretto a giurare che avrebbe fatto immediato ritorno. Ma Giovanni si trattenne nella capitale pensando piuttosto a sposare la figlia di Germano, cugino dell’imperatore. Fu solo alla fine del 545 che Giovanni si ricongiunse a Dyrrhachium con Belisario con i tanto attesi rinforzi. Giustiniano nel frattempo aveva inviato l’eunuco Narsete presso gli Eruli per reclutare nuovi mercenari.

Nel frattempo Totila espugnò Fermo, Ascoli, Spoleto e Assisi, assicurandosi il controllo della Via Flaminia e interrompendo le comunicazioni tra Roma e Ravenna. Totila inviò un esercito ad assediare Piacenza, l’unica fortezza nell’Emilia rimasta in mano imperiale, mentre con il grosso dell’esercito assediò Roma.

IL SECONDO ASSEDIO DI ROMA (546)

Nel dicembre 545 cominciò l’assedio di Roma da parte di Totila. L’esercito ostrogoto impedì con successo che la città ricevesse rifornimenti dall’esterno, sottoponendola a un blocco efficace, con l’intenzione di spingerla alla resa per fame.

Nel frattempo la popolazione soffrì enormemente la fame e molti di essi perirono di inedia. Per giunta Bessa, il comandante della guarnigione di Roma, si arrichiva iniquamente vendendo a carissimo prezzo il grano, lucrando dunque sulla fame dei cittadini romani, ridotti alla disperazione più totale. Bessa infine acconsentì a permettere agli abitanti di abbandonare la città, dietro ovviamente un compenso in denaro (Bessa ovviamente ci voleva sempre guadagnare), ma molti dei cittadini che pagarono per uscire dall’Urbe o furono assaliti e uccisi dagli assedianti Ostrogoti o perirono di fame lungo la via.

Nel frattempo Belisario sbarcò a Porto con parte dell’esercito mentre Giovanni, con il resto dell’esercito, sbarcò a Brindisi con l’intento di recuperare le province di Apulia et Calabria e di Lucania et Bruttii, sottomesse dagli Ostrogoti. Giovanni ebbe successo nel recuperare queste due province ma rifiutò di raggiungere Belisario a Porto, per ragioni non del tutto chiare. Belisario, conscio che le truppe a sua disposizione erano insufficienti per assalire l’accampamento ostrogoto con qualche speranza di successo, sapeva che l’unica cosa che gli era possibile era rifornire la città. Il piano di Belisario per rifornire la città, seppur ingegnoso, fallì per colpa di un falso allarme (si era diffusa la notizia infondata che Porto, unica base e rifugio dell’esercito di Belisario, fosse caduta in mano degli Ostrogoti) che spinse Belisario a tornare indietro nel tentativo di salvare Porto mandando così a monte un piano che stava avendo successo. Quando Belisario si rese conto del grave errore commesso, cadde addirittura malato per lo sconforto.

Poco tempo dopo, il 17 dicembre 546, Roma cadde in mano ostrogota per via del tradimento degli Isauri della guanigione. Gli Ostrogoti entrarono in città attraverso la porta Asinaria, mentre Bessa e la guarnigione insieme ad alcuni senatori provvisti di cavalli fuggirono attraverso un’altra porta. Roma era ormai spopolata, e al momento dell’entrata degli Ostrogoti era popolata solo da 500 persone che cercarono riparo nelle chiese. Di questi 500 almeno 60 furono uccisi, prima che Totila ordinasse all’esercito di risparmiare la popolazione pur consentendo loro di saccheggiare quello che volevano, riservandosi i tesori più preziosi per sé stesso. In compenso non furono compiuti atti di violenza sulle donne. Totila inviò Pelagio e un altro ambasciatore romano a Costantinopoli con una lettera indirizzata all’Imperatore. La lettera annunciava all’imperatore la caduta di Roma in mano Ostrogota e proponeva la pace in cambio del ritorno della situazione antecedente al conflitto. In caso contrario minacciava di radere al suolo Roma e di devastare l’Illirico marciando sulla stessa Costantinopoli. Giustiniano rispose che se Totila voleva trattare la pace doveva rivolgersi a Belisario.

Nel frattempo Totila, allarmato dai successi di Giovanni nel meridione, decise di marciare contro di lui ma, non volendo lasciare un presidio nell’Urbe né permettere al nemico di rioccuparla, decise di raderla completamente al suolo. Tuttavia cambiò idea dopo aver letto una lettera di Belisario che lo implorava di non distruggere Roma, affermando che avrebbe commesso un crimine contro l’umanità se lo avesse fatto (a causa della distruzione del patrimonio costituito dai tanti monumenti dell’Urbe). Persuaso dalle argomentazioni di Belisario, Totila fermò la distruzione di Roma che così si salvò.

LA RICONQUISTA DI ROMA, L’ASSEDIO DI ROSSANO E IL RICHIAMO DI BELISARIO (547‑549)

Totila lasciò il grosso dell’esercito sull’Algido, a circa 18 miglia a ovest di Roma, in modo da controllare le mosse di Belisario e impedirgli di lasciare Porto. Con il resto delle truppe Totila si diresse a sud recuperando in breve tempo Lucania, Apulia e Calabria, ad eccezione di Otranto e Taranto. Nel frattempo però gli Imperiali avevano recuperato Spoleto nonché Roma. Belisario fece riparare le mura dell’Urbe rioccupata, conscio che presto avrebbe dovuto subire il contrattacco di Totila. Totila in effetti tornò all’attacco, prima che Belisario fosse riuscito a far riparare le porte dell’Urbe, ma gli assalti ostrogoti furono respinti con successo dalle truppe di Belisario. Dopo due giorni di vani assalti, Totila fu costretto a ordinare le ritirata e a rinunciare per il momento a Roma.

Totila procedette quindi ad assediare Perugia. Nel frattempo però ricevette la notizia che Giovanni era riuscito a sconfiggere i Goti di stanza a Capua e a liberare i senatori lì tenuti prigionieri, spedendoli al sicuro in Sicilia. Questo fu un altro pesante contraccolpo per Totila che intendeva usare quei prigionieri come utili ostaggi. Il re ostrogoto lasciò parte dell’esercito a continuare l’assedio di Perugia e con il resto delle truppe marciò in Lucania dove sconfisse l’esercito di Giovanni.

Nel frattempo Belisario continuò a sollecitare presso l’imperatore l’arrivo di ulteriori rinforzi. Giustiniano gli inviò 2000 uomini che sbarcarono in Sicilia nel corso del 548. Belisario con 900 uomini partì da Roma per raggiungerli ma fu costretto da una tempesta a sbarcare a Crotone, città non fortificata. Da Crotone raggiunse via mare Messina, mentre gli Ostrogoti di Totila posero l’assedio a Rossano (forse nel maggio 548). Nel frattempo, i 2.000 rinforzi raggiunsero Belisario che tuttavia riteneva che non fossero sufficienti e quindi inviò sua moglie Antonina a Costantinopoli per cercare di convincere Teodora (amica di Antonina) a inviare ulteriori rinforzi. Quando Antonina giunse a Costantinopoli, tuttavia, scoprì che nel frattempo l’imperatrice, ammalatasi di cancro, si era spenta. Nel frattempo Belisario con le truppe a sua disposizione tentò di salvare Rossano dall’assedio ostrogoto ma il suo sbarco fu impedito dal nemico (Totila schierò i suoi soldati sulla spiaggia). Belisario ordinò allora all’armata di Giovanni e Valeriano di devastare il Piceno nella speranza di spingere Totila a levare l’assedio di Rossano per accorrere in soccorso della regione devastata. Totila tuttavia si limitò a distaccare 2.000 uomini dal suo esercito ordinando loro di marciare nel Piceno e continuò l’assedio di Rossano, che fu infine costretta alla resa. Parte della guarnigione imperiale passò al servizio degli Ostrogoti.

Nel frattempo Belisario, tornato a Roma, fu richiamato a Costantinopoli, agli inizi del 549. Secondo Procopio la seconda spedizione di Belisario in Italia era stata fallimentare: in cinque anni si era limitato a navigare lungo le coste dell’Italia, senza mai avventurarsi per terra se non quando poteva trovare riparo nelle fortezze ed evitando sempre lo scontro in campo aperto con Totila. Aveva perso Roma anche se poi l’aveva recuperata, e la situazione si era nel complesso deteriorata ulteriormente. Mentre Belisario era in viaggio per Costantinopoli anche Perugia era caduta in mano ostrogota, aggiungendo un ulteriore disastro ai precedenti. Il problema era che Giustiniano, dovendo anche combattere la guerra contro la Persia e forse anche perché non si fidava completamente di Belisario (che nel 542 era caduto in disgrazia accusato di tradimento), gli aveva fornito mezzi insufficienti. Non gli aveva nemmeno restituito i suoi 7.000 buccellarii (la milizia privata di Belisario) che si erano rivelati decisivi nei precedenti trionfi del generale. Inoltre Totila era un re e un generale molto più abile di Vitige, e aveva compreso come neutralizzare le tattiche di Belisario, che si erano rivelate vincenti contro Vitige. Totila rinforzò la flotta ostrogota, riuscendo così a impedire alle navi imperiali di rifornire per mare le città assediate, ed evitò inutili assalti alle mura, preferendo spingere le città alla resa per fame. Una volta espugnata una città, Totila ne abbatteva le mura, per evitare di doverle assediare di nuovo nel caso fossero di nuovo cadute in mano nemica e per costringere gli Imperiali alla battaglia in campo aperto. Questa strategia neutralizzava le tattiche consuete di Belisario, basate sulla guerra di posizione e sulla guerriglia, aggravando ancora di più la sua situazione, già resa precaria dall’insufficienza di soldati. Con le risorse che gli erano state messe a disposizione Belisario non poteva fare di più.

IL TERZO ASSEDIO DI ROMA E L’ABORTITA SPEDIZIONE DI GERMANO (549-550)

Nel 549 Totila assediò di nuovo Roma, determinato ad espugnarla ma non a distruggerla, perché aveva ormai compreso l’importanza simbolica di Roma. Dopo un assedio di alcuni mesi, il 16 gennaio 550 Roma cadde di nuovo nelle mani degli Ostrogoti e ancora una volta per il tradimento degli Isauri.

Totila provvide a ripopolare Roma e inviò ambasciatori presso Giustiniano per negoziare ulteriormente la pace. Nel frattempo assediò Centumcellae, e marciò verso la Sicilia, che aveva intenzione di invadere. I Goti assediarono Reggio ed espugnarono Taranto. Senza attendere la caduta di Reggio Totila invase la Sicilia attraversando lo stretto e assediando invano Messina. Totila comunque devastò senza trovare opposizione l’intera Sicilia mentre anche Reggio si arrendeva.

Nel frattempo Giustiniano decise di affidare il comando supremo dell’esercito in Italia a suo cugino Germano ma poi cambiò idea e lo affidò a Liberio, un vecchio senatore romano rifugiatosi a Costantinopoli. Quando però arrivò la notizia dei successi di Totila in Sicilia Giustiniano cambiò di nuovo idea e nominò di nuovo generalissimo Germano. Questi allestì preparativi in grande stile per la guerra contro Totila e nel frattempo sposò Matasunta, la vedova di Vitige, per legittimare la restaurazione imperiale agli occhi degli Ostrogoti. Tuttavia, mentre i preparativi erano ancora in corso, nell’autunno 550 Germano morì improvvisamente a Serdica. Giustiniano affidò momentaneamente il comando a Giovanni, in quel momento magister militum per Illyricum. Nel frattempo una spedizione fu inviata per scacciare i Goti dalla Sicilia. I Goti, che erano riusciti a espugnare solo quattro fortezze nell’Isola, si ritirarono dalla Sicilia con un ricco bottino, mantenendo delle guarnigioni nelle quattro fortezze espugnate che furono recuperate dagli Imperiali nell’anno successivo.

Nel frattempo i Franchi già da alcuni anni avevano approfittato delle guerre a sud del Po tra Imperiali e Ostrogoti per invadere l’Italia a nord del fiume. L’armata franca di re Teodoberto occupò le Alpi Cozie, una parte della provincia di Liguria e gran parte delle Venezie. Probabilmente le uniche città importanti rimaste in possesso degli Ostrogoti nell’Italia a nord del Po erano Verona e Pavia. Totila stipulò un accordo con i Franchi in base al quale riconosceva per il momento l’occupazione dei territori da essi invasi, in attesa di un accordo di spartizione definitivo a guerra conclusa (nel caso ovviamente in cui gli Ostrogoti fossero usciti vincitori sugli Imperiali). Giustiniano protestò per l’invasione dei Franchi dell’Italia Settentrionale intimando loro di ritirarsi oltre le Alpi ma invano.

Nel frattempo Giustiniano decise di affidare il comando delle operazioni militari in Italia al generale eunuco Narsete, che, a differenza di Belisario, privilegiava la guerra di movimento. A Narsete, a differenza di Belisario, non importava perdere tempo nell’assediare fortezze, preferiva la guerra lampo, preferiva vincere il nemico in rischiose battaglie in campo aperto e solo in seguito assediare le poche fortezze che ancora rifiutavano la resa. Al momento in cui il comando fu affidato a Narsete la situazione per l’Impero era tragica. In Italia ormai gli Imperiali possedevano solo quattro fortezze importanti: Ravenna, Ancona, Otranto e Crotone, mentre in Sicilia avevano perso quattro fortezze.

Ebbene Narsete sarebbe riuscito a ribaltare l’esito del conflitto. Le sue campagne contro gli Ostrogoti, i Franchi e gli Alemanni saranno l’argomento dell’articolo successivo.