Guerra gotica (535-553) – Campagne di Narsete e sconfitta degli Ostrogoti e dei Franco-Alemanni

LA BATTAGLIA DI SENA GALLICA (551)

L’imperatore Giustiniano I con il suo seguito, Ravenna, Basilica di San Vitale.

Come già accennato, Giustiniano nel 551 decise di inviare un consistente esercito in Italia affidando il comando delle operazioni al generale eunuco Narsete. L’obiettivo era di porre fine una volta per tutte al lungo e devastante conflitto con la sottomissione totale degli Ostrogoti. Mentre i preparativi di Narsete erano ancora in corso, Totila intraprese restauri edilizi a Roma per ingraziarsi i Romani e tentò di espugnare Ancona e Crotone, due delle poche fortezze ancora in mano agli Imperiali nella Penisola.  Nel frattempo una flotta ostrogota di 300 vascelli devastò le coste della Grecia, intercettando e impadronendosi delle vettovaglie destinate all’esercito di Narsete in quel momento a Salona in Dalmazia.

Ancona fu cinta d’assedio con il tentativo di prenderla per fame. Quarantasette navi da guerra ostrogote bloccavano l’arrivo di rifornimenti dal mare. Il generale Giovanni, in quel momento a Salona con Narsete, inviò, su sollecitazione di Valeriano (che in quel momento si trovava a Ravenna), trentotto navi per liberare Ancona dall’assedio. Sulle coste di Sena Gallica (Senigallia) avvenne una battaglia navale tra la flotta imperiale e quella ostrogota in cui quest’ultima stavolta ebbe la peggio. Gli Ostrogoti levarono l’assedio e ripararono a Osimo. Ancona era stata liberata dall’assedio. Questa sconfitta fu un pesante colpo per gli Ostrogoti e il loro prestigio.

Subito dopo Artabane recuperò agli Ostrogoti le quattro fortezze che essi avevano occupato in Sicilia. Totila, messo in difficoltà da questi iniziali rovesci, inviò ambasciatori a Costantinopoli per negoziare la pace: era pronto a rinunciare alla Sicilia e alla Dalmazia, e a pagare un tributo all’imperatore. Le negoziazioni tuttavia non ebbero successo in quanto Giustiniano era determinato a sottomettere una volta per tutte il regno ostrogoto d’Italia. Totila nel frattempo inviò una flotta a occupare le province di Sardegna e Corsica, riuscendo nell’intento. Nel frattempo, nel corso della primavera 552, gli Ostrogoti cinsero d’assedio Crotone, per poi levarlo all’arrivo delle truppe di stanza alle Termopili, inviate da Giustiniano in Italia in soccorso di Crotone. In seguito a questo successo le guarnigioni ostrogote di Taranto e di Acerenza offrirono la resa a condizione che fosse garantita la propria sicurezza personale.

LA BATTAGLIA DI BUSTA GALLORUM E LA MORTE DI TOTILA (552)

Nella primavera del 552 Narsete era pronto a salpare dell’Italia. Disponeva forse di 25000 soldati, di cui almeno 11000 guerrieri mercenari, tra cui 5500 longobardi, più di 3000 Eruli e 400 Gepidi, oltre a Unni e a un contingente di disertori Persiani. L’armata di Narsete, partendo da Salona, marciò lungo la costa dalmata. Chiese ai Franchi il permesso di marciare per i territori da essi occupati nella provincia di Venetia et Histria ottenendo un categorico rifiuto. Il pretesto con cui i Franchi rifiutarono di concedere il passaggio era la presenza di guerrieri Longobardi, acerrimi nemici dei Franchi, nell’esercito di Narsete. Grazie al determinante consiglio di Giovanni, l’esercito di Narsete riuscì comunque a raggiungere Ravenna senza dover attraversare i territori occupati dai Franchi facendo anche uso della flotta.

Dopo una sosta di nove giorni a Ravenna, l’esercito di Narsete, rinforzato dalle truppe di Giustino e di Valeriano, marciò lungo la costa. Il fatto che la tattica di Narsete differiva da quella di Belisario divenne evidente quando evitò di perdere tempo ad assediare alcune fortezze lungo la via (cosa che Belisario non avrebbe mai fatto perché lo avrebbe esposto al rischio di attacchi alle spalle per mano delle guarnigioni nemiche). Il suo unico obiettivo era di confrontarsi in uno scontro aperto risolutivo con Totila e solo successivamente sottomettere le fortezze che ancora rifiutavano la resa. Narsete era per la guerra di movimento, Belisario per quella di posizione, la loro concezione della guerra era agli antipodi. Nel frattempo Totila, all’apprendere dell’arrivo di Narsete a Ravenna, aveva richiamato le truppe nella Venezia e partì per scontrarsi con Narsete. Le due armate si scontrarono nei pressi di Busta Gallorum (forse identificabile con Tagina), nel luglio 552. Narsete collocò i mercenari barbari al centro, facendoli smontare da cavallo e impiegandoli come fanti. Alle due ali pose le truppe regolari, e davanti a ogni ala stazionò 4000 arcieri. Una riserva di cavalleria di 1500 uomini era pronta a intervenire in caso di necessità nel corso della battaglia. Totila cercò di guadagnare tempo con numerosi espedienti, volendo attendere l’arrivo di 2000 rinforzi ostrogoti prima di ingaggiare battaglia, e complessivamente riuscì nell’intento. All’arrivo dei rinforzi Totila fece pranzare le sue truppe. Narsete, prevedendo l’intenzione di Totila di attaccare a sorpresa nella speranza di trovare le truppe imperiali non ben schierate, ordinò alle truppe di non rompere l’ordinanza e distribuì loro del cibo mentre rimanevano schierate. Totila decise di schierare la cavalleria in avanguardia e la fanteria dietro. Intendeva rompere le fila nemiche con una carica di tutta la sua cavalleria e poi far intervenire la fanteria per approfittare della confusione portata dalla cavalleria. Narsete, allora, collocò gli arcieri nella posizione più opportuna affinché, scoccando frecce, potessero infliggere pesanti perdite alla cavalleria ostrogota durante la sua carica prima che potessero venire a contatto con la linea principale. Il piano ebbe successo. La cavalleria fu sconfitta e la fanteria fu volta in fuga. Le truppe di Narsete avevano conseguito una vittoria schiacciante. Circa 6000 ostrogoti trovarono la morte sul campo di battaglia, Totila tentò la fuga a cavallo ma fu ucciso da Asbad comandante dei Gepidi.

Così morì un re che aveva mostrato indubbie capacità strategiche e che, evitando gli errori tattici commessi in passato da Vitige e approfittando anche degli errori di Giustiniano e dell’esercito imperiale, seppe ritardare la caduta del suo regno di dodici anni, ribaltando apparentemente l’esito di una guerra che al momento della sua ascesa sembrava già persa (nel 551 aveva scacciato gli Imperiali da tutta l’Italia a parte pochissime fortezze). Totila, conscio di dover accativarsi il favore degli italici e dei disertori imperiali per capovolgere l’esito del conflitto, mostrò in taluni casi una clemenza e gentilezza nei confronti dei vinti inusuale in tempi di guerra, ad esempio in occasione della presa di Napoli. Totila in questo caso intendeva premiare i napoletani per aver resistito strenuamente all’assedio di Belisario ma in altri casi non fu altrettanto clemente, come quando fece massacrare la popolazione e il vescovo di Tivoli. In altri casi ancora fece uccidere o barbaramente mutilare alcuni prigionieri caduti in sua mano, volendo così vendicarsi di alcuni affronti ricevuti in passato. Dopo la morte del loro re Totila la causa degli Ostrogoti sembrava perduta. Tuttavia la resistenza ostrogota continuò. A Pavia fu proclamato nuovo re ostrogoto Teia. Questi radunò le forze ancora a sua disposizione, determinato a dare battaglia e resistere fino all’ultimo.

LA BATTAGLIA DEI MONTI LATTARI (552)

Narsete nel frattempo rimandò nelle loro sedi i guerrieri mercenari longobardi, rei di aver commesso saccheggi e di aver profanato persino le chiese, e marciò su Roma. Dopo aver espugnato Narni e Spoleto, anche Roma cadde nelle mani di Narsete. Gli Ostrogoti per rappresaglia misero a morte i senatori in loro ostaggio sia in Campania che nel Settentrione. Nel frattempo Taranto fu espugnata dagli Imperiali in seguito al rifiuto del comandante della guarnigione ostrogota di Taranto di rispettare i patti (aveva promesso di consegnare la fortezza agli Imperiali).

Battaglia dei monti Lattari tra Romani e Goti l’equipaggiamento è anacronistico).

Nel frattempo Narsete marciò in Campania con l’intenzione di espugnare Cuma e di impadronirsi nel tesoro degli Ostrogoti custodito entro quelle mura. Cuma era difesa da Aligerno, fratello di Totila. La mossa indusse Teia a lasciare Pavia con l’esercito per accorrere in soccorso di Cuma. Con un percorso tortuoso aggirò il nemico e riuscì a raggiungere la Campania. Una battaglia ebbe luogo nei pressi dei Monti Lattari. Qui gli Ostrogoti e il loro re combatterono con valore finendo però di perdere. Teia cadde in battaglia mentre combatteva con valore il nemico. Gli Ostrogoti continuarono a combattere valorosamente per alcuni giorni anche dopo la morte del loro re, finché, abbandonata ogni speranza di vittoria, negoziarono la resa. Inviarono alcuni dei loro comandanti a Narsete, annunciando che accettavano la resa in cambio della concessione di abbandonare l’Italia per vivere indipendenti in qualche altro luogo al di fuori delle frontiere imperiali, portando con sé tutti i loro beni. Su consiglio di Giovanni Narsete accettò queste condizioni, a patto che gli Ostrogoti non avrebbero mai più attaccato l’Impero.

L’INVASIONE DEI FRANCO-ALEMANNI E LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO (553-554)

Anche se dopo la morte di Teia gli Ostrogoti non elessero un nuovo re, la battaglia dei Monti Lattari (ottobre 552) non implicò la fine della guerra. Rimaneva da sottomettere le fortezze ostrogote a sud del Po che ancora rifiutavano la resa, ad esempio Cuma, Conza, Centumcelle e le fortezze nella Tuscia, senza contare che la maggior parte dell’Italia a nord del Po era ancora in gran parte occupata da Ostrogoti e Franchi. Narsete per il momento riprese l’assedio di Cuma, che tuttavia oppose una strenua resistenza e capitolò solo dopo un anno di assedio (dicembre 553).

Mentre l’assedio di Cuma era ancora in corso, tuttavia, due comandanti alemanni sudditi dei Franchi, i fratelli Butilino e Leutari, decisero di invadere l’Italia alla testa di 75.000 truppe (cifra fornita da Agazia ma ritenuta troppo elevata dagli studiosi moderni) con il pretesto di soccorrere le residue sacche di resistenza ostrogote, in realtà anche per perseguire i loro interessi (di certo non erano disinteressati) e fare bottino. L’orda di Butilino e Leutari comprendeva sia Franchi che Alemanni. Quando Narsete fu informato dell’invasione franco-alemanna lasciò una esigua parte delle sue truppe a continuare l’assedio di Cuma e con il grosso dell’esercito marciò in Tuscia con l’intenzione di sottomettere le fortezze nella regione che ancora rifiutavano la resa. Centumcelle, Firenze, Volterra, Pisa e Lucca accettarono immediatamente la resa. Solo Lucca resistette per tre mesi, soccombendo nel dicembre 553 quasi in simultanea con Cuma.

Nel frattempo gli Alemanni di Butilino avevano preso possesso di Parma annientando un reggimento di Eruli che aveva tentato di recuperare il possesso della fortezza. Come se non bastasse l’intera Italia a nord del Po era caduta sotto il controllo dell’orda franco-alemanna. Le misure intraprese da Narsete per tenere a bada gli invasori mentre procedeva nella sottomissione della Tuscia erano sostanzialmente fallite. Dopo la resa di Lucca Narsete decise di svernare a Ravenna. Nel frattempo Aligerno, comandante della guarnigione ostrogota di Cuma, arrivò a Classe (il porto di Ravenna) accettando di consegnargli la fortezza e di servire nell’esercito imperiale. Il tesoro ostrogoto custodito a Cuma cadde così nelle mani imperiali.

Dopo aver passato il resto dell’inverno a Roma, nella primavera del 554 Narsete ordinò all’intero esercito, fino a quel momento disperse nelle fortezze del Ravennate, di riunirsi nell’Urbe. Qui Narsete le addestrò preparandole alla battaglia. Nel frattempo le orde di Butilino e Leutari invasero il Centro-Sud della Penisola, saccheggiando e devastando fino allo stretto di Messina. Le truppe franche, essendo cristiane, si astennero almeno dal risparmiare per devozione le chiese, mentre al contrario i pagani Alemanni le profanarono senza scrupoli. Nel Sannio Butilino e Leutari avevano diviso in due la loro armata: quella di Butilino devastò le regioni tirreniche fino a Reggio Calabria mentre quella di Leutari saccheggiò quelle adriatiche.

L’esercito di Leutari, carico di bottino, decise di fare ritorno nell’Italia Settentrionale ma fu attaccato nelle vicinanze di Fano da un esercito imperiale subendo perdite consistenti, e per giunta, tornato nella Venezia, fu annientato da una pestilenza. Lo stesso Leutari morì a causa di questa pestilenza. Agazia interpretò la distruzione dell’esercito di Leutari come la giusta punizione divina per le profanazioni delle chiese da esso commesse. Butilino, invece, rimase nell’Italia Meridionale, lusingato dalle offerte degli Ostrogoti che gli promettevano che lo avrebbero proclamato loro re se in cambio fosse riuscito a scacciare le truppe imperiali dall’Italia. Un’epidemia di dissenteria cominciò tuttavia a diffondersi nel suo esercito, spingendolo a marciare in Campania per confrontarsi in battaglia con Narsete prima che subisse troppe perdite a causa della dissenteria. Lo scontro tra le armate di Butilino e di Narsete avvenne nell’autunno del 554 nei pressi del Volturno. Butilino poteva disporre di 30.000 uomini, seppur decimati dalla dissenteria, mentre Narsete disponeva di 18.000 truppe. L’esercito di Narsete fu tuttavia indebolito dalla defezione iniziale dei mercenari eruli che non volevano prendere parte alla battaglia per protestare per l’esecuzione di un loro compagno, stabilita da Narsete per punirlo di un reato grave. Narsete collocò la cavalleria sulle due ali e la fanteria al centro. Le truppe al comando di Valeriano e Artabane furono nascoste in un bosco, pronti a entrare in azione di sorpresa nel corso della battaglia. Sindualdo, il comando degli Eruli, aveva promesso a Narsete che avrebbe convinto i suoi a partecipare alla battaglia, così Narsete lasciò un vuoto al centro in modo da riservare un posto per gli Eruli quando sarebbero arrivati.

I Franco-Alemanni, disponendo soprattutto di fanteria, si disposero in una stravagante disposizione a delta, determinati a penetrare nelle linee nemiche. Penetrarono nello spazio lasciato vuoto dagli Eruli, esponendosi così tuttavia alle frecce scoccate dagli arcieri a cavallo disposti ai loro lati. L’esercito franco-alemanno, dopo aver subito pesanti perdite, cadde nella confusione più totale e quando gli Eruli, convinti da Sindualdo a combattere, fecero la loro comparsa il loro annientamento divenne totale. Butilino cadde nel corso della battaglia e secondo Agazia solo cinque guerrieri nemici riuscirono a salvarsi con la fuga mentre le perdite subite dagli imperiali ammontavano a solo 80 uomini. L’orda franco-alemanna era stata annientata. Narsete festeggiò la vittoria con un’entrata trionfale a Roma.

Le conquiste di Giustiniano.

Nella primavera del 555 anche l’ultima fortezza ostrogota a sud del Po, Conza, fu espugnata da Narsete. Rimanevano da sottomettere le province a nord del Po, ancora in possesso di Ostrogoti e Franchi. La conquista fu lenta e fu completata solo nel 562 con la presa di Verona e Brescia. Narsete rimase in carica come governatore militare dell’Italia fino al 568. La conquista dell’Italia fu soltanto effimera in quanto già nel 568 la penisola fu invasa dai Longobardi che la sottomisero in gran parte lasciando agli Imperiali ben pochi territori. Inoltre l’Italia era stata pesantemente devastata dal conflitto e faticò a riprendersi. Il rapace fiscalismo tardo-imperiale e l’invasione dei Longobardi fecero il resto e fu solo all’epoca dei Comuni che avvenne la completa ripresa economica dell’Italia.