Guerra gotica (535-553) – Le ultime sacche di resistenza

GUERRA GOTICA – LE ULTIME SACCHE DI RESISTENZA

Anche dopo la resa di Conza (555), la resistenza ostrogota non era ancora conclusa. In particolare restavano da sottomettere le fortezze dell’Italia a nord del Po ancora in mano a Ostrogoti e Franchi. Purtroppo la storia di Agazia si ferma nel trattare la situazione in Italia con la narrazione degli avvenimenti del 555, dopodiché passa a parlare della guerra lazica contro i Persiani. Per ricostruire le vicende successive, occorre fare affidamento su fonti scarne e frammentarie, la cui interpretazione è talvolta varia e opinabile. La campagna di riconquista dell’Italia settentrionale partì probabilmente nel 556, quando, se prestiamo fede al cronista Mario Aventicense (Chronicon, s.a. 556), non sempre esatto nelle date, i Franchi furono espulsi dall’Italia. Questo fu sicuramente un successo considerevole, che gratificò Narsete, tuttavia, come dimostrò la vicenda di Amingo, i Franchi ritornarono presto all’offensiva. Continuava a resistere ai Romei(*) il Comes Ostrogoto Widin, che ancora intorno al 561, deteneva ancora sotto il suo controllo Verona e Brescia. Narsete, intenzionato a riconquistare queste due città, radunò il suo esercito e si apprestò ad oltrepassare il fiume Adige. Widin aveva tuttavia ottenuto l’alleanza dei Franchi, che inviarono nelle Venezie il condottiero Amingo alla testa di un possente esercito. Amingo ostacolò il passaggio del fiume Adige ai Romei. Narsete, frustrato, cercò di convincerlo con le buone a concedere il passaggio del fiume ai Romei, inviando come ambasciatori Bono, comes rerum privatarum, e Pamfronio, ex praefectus urbi e membro preminente del Senato romano. Bono e Pamfronio giunsero dunque alle tende dell’accampamento franco e parlarono ad Amingo, ricordandogli che era in corso una tregua tra Franchi e Imperiali e il suo rifiuto nel lasciar passare il fiume agli Imperiali avrebbe significato violarla. Il condottiero franco, impavido, rispose: che non avrebbe concesso il passaggio ai Romei, finché avesse avuto una mano con cui poter avventare un dardo (Menandro Protettore, frammento 8 Muller). Era una dichiarazione di guerra, e Narsete fu così costretto a scontrarsi con Amingo, rinforzato da truppe inviate dallo stesso comes ostrogoto ribelle Widin: la battaglia fu intensa, ma vide infine il trionfo delle armi romee. Amingo “venne ucciso dalla spada di Narsete”; Widin, catturato, venne inviato in esilio a Costantinopoli (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II,2). Cacciati di nuovo i Franchi dalle Venezie, Narsete poté così ottenere la resa dapprima di Verona, espugnata il 20 luglio 561, e poi di Brescia, arresasi nello stesso anno o al più tardi nell’anno successivo (Agnello Ravennate, 79). La conquista del Nord Italia si era così conclusa, con la sottomissione delle ultime sacche di resistenza ostrogote e franche; Narsete, soddisfatto, informò Costantinopoli degli ultimi trionfi: la notizia della resa delle due fortezze arrivò nel novembre 562 (Teofane Confessore, Chronographia, s.a. 562). Grande merito in queste conquiste sembra sia attribuibile all’operato del generale Dagisteo, stando almeno a Paolo Diacono (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II,3).

(*) Romei deriva dal greco Romaioi, che significa Romani. Viene usato talvolta per riferirsi ai “Bizantini”, che chiamavano sé stessi “Romaioi”, cioè Romani. Romei=Bizantini. Mi rifiuto di chiamarli “Bizantini” perché questo termine è stato inventato a posteriori solo a partire dal XVI secolo, più corretto sarebbe chiamarli Romani, Romei o Greci, perché almeno erano termini in uso per definirli quando il loro stato ancora esisteva, “Bizantini” è un anacronismo storico in quanto all’epoca nessuno li definiva così.