I regni di Foca e di Eraclio

IL REGNO DI FOCA E LA NUOVA GUERRA CON LA PERSIA

Il regno di Foca fu un vero e proprio periodo del terrore: questi infatti si rivelò un sovrano spietato e crudele, che punì con estrema crudeltà i sospettati di congiura. Ma l’ascesa di Foca portò a conseguenze ancora più gravi: infatti l’ascesa al trono del tiranno fornì al re di Persia Cosroe II il pretesto per una nuova guerra contro Bisanzio. Quando il re persiano ricevette l’ambasciatore imperiale Bilios, che gli annunciò la caduta di Maurizio e l’ascesa di Foca, Cosroe II reagì molto male alla notizia: affermò infatti di essere molto riconoscente a Maurizio per averlo aiutato a riprendersi il trono e ora si sentiva obbligato a vendicare la sua morte rovesciando l’usurpatore Foca. Di conseguenza dichiarò guerra all’Impero.

Cosroe ricevette tra l’altro la richiesta di aiuto di un generale imperiale, Narsete, che si era rivoltato contro Foca. Narsete affermava di avere con sé Teodosio, figlio di Maurizio, che però era ufficialmente morto. L’esercito di Cosroe intervenne in soccorso di Narsete, che si trovava a Edessa sotto assedio dalle truppe rimaste fedeli a Foca. L’armata di Cosroe sconfisse l’esercito imperiale liberando Edessa dall’assedio e salvando Narsete dalla capitolazione. Entrati in città, narra lo storico armeno Sebeo, Narsete presentò a Cosroe il presunto Teodosio; rivolse al re persiano le seguenti parole:

«Questi è il figlio dell’Imperatore Maurizio, Teodosio: abbi pietà di lui, così come suo padre ha avuto pietà di te»

Cosroe promise al sedicente Teodosio che l’avrebbe aiutato a salire al potere. In realtà è dubbio che fosse davvero Teodosio figlio di Maurizio, e molto probabilmente si trattava di un impostore.

Lasciata Emessa, Cosroe si dedicò alla conquista della Mesopotamia e dell’Armenia; quanto a Narsete, egli si consegnò agli Imperiali dopo essersi fatto promettere da Foca che avrebbe avuta salva la vita: Foca non mantenne la promessa e Narsete venne condannato al rogo. Mentre gli Imperiali condannavano a morte il generale più temuto dai Persiani, i generali di Cosroe occuparono le città di Tur Abdin, Cephas, Amida, Resaina, Edessa e Callinicum. Amida e Mardin caddero nel 606-607 o nel 608-609, Resaina nell’estate 607 o 609; Cephas venne conquistata sei mesi prima di Mardin. A Mardin, dopo la resa della guarnigione imperiale, furono i monaci locali a continuare a difendere la fortezza dagli assalti persiani. La conquista della Mesopotamia e dell’Armenia venne completata intorno al 610.

Mentre l’Oriente doveva subire gli orrori di una guerra, Costantinopoli non se la passava meglio con la tirannide di Foca. Come già accennato in precedenza, le crudeltà e i massacri compiuti da Foca furono molti. Vennero torturate e condannate a morte per ordine dell’Imperatore, tra gli altri, Costantina, moglie di Maurizio, il senatore Germano, Giorgio, Governatore di Cappadocia; Romano, advocatus curiae; Teodoro, Praefectus Orientis; Giovanni, Primus e secretariis; Atanasio, il ministro delle finanze, tutti accusati di tradimento. 

Nel 606-607 la figlia di Foca Domenzia si sposò con il generale Prisco; il matrimonio si tenne nel palazzo dei discendenti di Marino. Foca, per celebrare il lieto evento, ordinò che si organizzassero delle corse dei cavalli. Le due fazioni affissero le immagini di Prisco e Domenzia insieme al ritratto dell’imperatore su un monumento a quattro colonne. Foca si arrabbiò molto per l’iniziativa delle due fazioni: fece condurre i loro leader (Teofane e Panfilo) nudi nella stazione delle guardie imperiali dell’ippodromo e li condannò a morte. Prima però chiese il perché del gesto: essi risposero che era consuetudine fare così. Gli artisti che avevano realizzato le immagini giustificarono il loro operato affermando che «tutti li chiamavano figli dell’imperatore» e non intendevano fare niente di male. L’imperatore, di fronte alle pressioni della folla che lo supplicava di risparmiare la vita ai leader, decise di perdonare i due. Tuttavia l’episodio creò dei contrasti tra Foca e Prisco e ciò sarà uno dei motivi per cui il genero di Foca spingerà Eraclio a rivoltarsi. Ciò accadde nel 608.

Nel 608 Prisco scrisse all’esarca d’Africa Eraclio il Vecchio e al fratello di lui Gregorio, implorandoli di deporre il tiranno; Eraclio il Vecchio e Gregorio accettarono la richiesta; Gregorio inviò suo figlio Niceta a conquistare Costantinopoli via terra, mentre Eraclio il vecchio allestì una flotta e inviò suo figlio Eraclio a conquistare la capitale via mare; chi dei due sarebbe giunto per primo a Bisanzio sarebbe diventato imperatore. Nel frattempo Foca ordinò la conversione forzata degli ebrei al cristianesimo. Gli Ebrei si rivoltarono; Foca inviò il generale Bonoso a soffocare la rivolta ebraica che era scoppiata a Antiochia, a Gerusalemme e in altre città della Siria. La rivolta venne repressa con grande brutalità. Mentre era a Cesarea (in Palestina), scoprì che Alessandria era stata occupata dall’esercito ribelle di Niceta e ricevette l’ordine dall’Imperatore di soffocare la rivolta in Egitto. Salpò probabilmente da Ptolemais (in Fenicia); in seguito occupò Pelisium prima di marciare verso Athribis; presso Athribis unì le sue forze con quelle di Paolo e insieme sconfissero l’esercito ribelle comandato da Bonakis; Nikiu si arrese e Bonoso ordinò l’esecuzione o l’esilio dei ribelli o dei loro complici. A questo punto Bonoso tentò di liberare Alessandria dai ribelli ma venne sconfitto nella battaglia di Alessandria da Niceta e costretto alla fuga. Riuscì a fuggire con pochi uomini a Kariun, dove venne raggiunto da Paolo. I due raggiunsero Nikiu dove formarono una flotta e tentarono di nuovo di impadronirsi di Alessandria e di assassinare Niceta, senza però nessun successo. Niceta alla fine marciò contro di loro, occupando la fortezza di Manouf; fallita la sua missione, Bonoso fuggì dall’Egitto ritornando a Costantinopoli.

Mentre Niceta conquistava l’Egitto sconfiggendo le truppe del generale di Foca Bonoso, a Costantinopoli continuava la tirannide di Foca. Nel 609, mentre l’Imperatore si trovava nel circo ad assistere alle corse dei cavalli, i Prasini gli gridarono «Tu hai bevuto nel boccalone! Tu hai perduto il senno!». Gli autori di tale affronto vennero poi puniti dal prefetto Costante: vennero loro tagliate braccia e teste. Ci fu allora una rivolta dei Prasini, che incendiarono vari edifici e liberarono i prigionieri rinchiusi nelle prigioni. Foca punì tale rivolta con un editto che proibiva ai Prasini di accedere alle cariche pubbliche. Sempre in quest’anno il capitano delle guardie Teodoro e il prefetto dell’Armenia Elpidio congiurarono contro Foca; progettavano di ucciderlo durante i giochi equestri ma la loro congiura venne scoperta grazie al tradimento del ministro del tesoro Anastasio e i due vennero giustiziati, insieme a Anastasio e a tutti quelli che erano a conoscenza della congiura.

Eraclio intanto trovava venti favorevoli e arrivò a Costantinopoli il 3 ottobre del 610. Nel frattempo Fozio, che aveva un conto in sospeso con Foca in quanto quest’ultimo aveva sedotto sua moglie, raccolto un corpo di uomini armati, arrestò il tiranno e lo consegnò a Eraclio. Foca venne condotto su una nave dove venne giustiziato. Prima dell’esecuzione Eraclio chiese a Foca: “In questo modo hai governato l’Impero?”. Il tiranno rispose sprezzantemente “E tu credi di governarlo meglio?” dopodiché venne decapitato. Eraclio si dimostrò, come vedremo in seguito, un imperatore migliore di Foca.

Eraclio nello stesso giorno venne incoronato Augusto dal patriarca di Costantinopoli e sposò Eudocia. Eudocia si trovava a Costantinopoli già prima dell’arrivo di Eraclio e, proprio perché fidanzata del ribelle, venne tenuta in ostaggio da Foca per un certo periodo di tempo. Eraclio e Eudocia avranno due figli ma la loro unione durerà poco a causa della morte di lei, come vedremo in seguito.

Mentre Eraclio divenne imperatore, nel 609-610 i Persiani conquistarono Edessa, Carre, Callinicum e Circesium: adesso i Persiani si stavano concentrando nell’occupazione delle città dell’Osroene ancora in mano imperiale. Essi riuscirono addirittura a conquistare Edessa, una città ritenuta inespugnabile a causa di una promessa fatta da Gesù al re Abgar. Il 7 agosto 610 il generale persiano Shahrvaraz espugnò Zenobia, la prima città a ovest dell’Eufrate a essere occupata dai Sasanidi nel corso della guerra.

DISFATTE DI ERACLIO CONTRO I PERSIANI: LA PERDITA DI SIRIA E EGITTO

Il 7 luglio del 611 Eraclio e Eudocia ebbero la prima figlia, Epifania, che venne battezzata dal patriarca il 15 agosto a Blackernai. Il 3 maggio del 612 nacque invece il primo figlio maschio, Eraclio Costantino, che alla morte del padre sarebbe diventato imperatore con il nome di Costantino III. La gioia durò tuttavia poco: il 14 agosto del 612 Eudocia morì, ed Eraclio rimase vedovo; in seguito decise di risposarsi, prendendo come moglie la nipote Martina (il matrimonio avvenne nel 613-614). Il secondo matrimonio non venne mai approvato perché incestuoso, e il patriarca attribuì le sciagure che colpivano l’impero di Eraclio (oppresso prima dai Persiani e poi dagli Arabi) a una presunta ira divina. Nel regno dei due figli di Eraclio, Martina diventò il centro del potere e dell’intrigo politico a Costantinopoli. Il Patriarca Sergio I incoronò Martina, ma cercò in ogni modo di convincere l’Imperatore a ripudiarla. Il Patriarca Niceforo racconta che una volta Eraclio rispose: “Tu hai già fatto il tuo dovere di sacerdote ed amico. Per il resto, la responsabilità ricadrà su di me”. E ciò che accadde in seguito parve ai detrattori di Martina una prova del peso di tali responsabilità: la coppia ebbe dieci figli, dei quali quattro morti in tenera età e due disabili.

Le campagne militari dal 611 al 624.

Sul fronte orientale la guerra contro la Persia proseguiva con diverse sconfitte: nel 611 l’esercito persiano oltrepassò l’Eufrate ed espugnò Antiochia, non conquistando però un gran bottino di guerra dato che la città era già stata devastata da terremoti precedenti. Eraclio tentò di negoziare la pace ma le sue richieste vennero respinte: anche lui veniva considerato un usurpatore al trono, che spettava al presunto Teodosio. Eraclio inviò allora Prisco in Asia Minore per contrastare i Persiani, che avevano nel frattempo espugnato Cesarea, in Cappadocia. Qui Prisco intrappolò i Persiani dentro la città accerchiandola. Eraclio decise ad un certo punto di vedersi con Prisco ma il generale finse di essere malato e lo accolse controvoglia; questo era un insulto velato per Eraclio che dovette nascondere la sua rabbia e tornare a Costantinopoli. Nel frattempo i Persiani riuscirono a sfuggire al blocco di Prisco e incendiarono Cesarea.

Eraclio ricevette Niceta, che era finalmente riuscito a raggiungere Costantinopoli; lo trattò con tutti gli onori. Anche Prisco arrivò nella capitale per celebrare l’arrivo del cugino di Eraclio. L’Imperatore ebbe così l’occasione per ottenere la sua vendetta: con un pretesto convocò Prisco a Palazzo dove si era radunato il senato. In presenza di Prisco chiese al Senato “Quando un uomo insulta l’Imperatore chi offende?”. E il senato rispose in coro “Offende Dio che ha nominato l’Imperatore”. L’Imperatore chiese poi a Prisco di esprimere il proprio parere ed egli rispose che chi osa arrivare a tanto non dovrebbe avere il beneficio di una sentenza clemente. Allora l’Imperatore gli ricordò di quando si finse malato a Cesarea e come questo costituisse un insulto alla dignità imperiale. E prendendo un libro, glielo sbatté in testa dicendo: “Non sei stato un buon genero, come puoi essere un buon amico?”. Per punizione Eraclio destituì dal comando Prisco, obbligandolo a radersi i capelli e a farsi monaco. Al suo posto mandò contro i Persiani suo fratello Teodoro, che era curopalate, e Filippico, cognato del defunto Imperatore Maurizio.

Anche Eraclio stesso assunse il comando su parte dell’esercito e provò a contrastare i Persiani ma fu da essi sconfitto nei pressi di Antiochia (613) e costretto a tornare a Costantinopoli. I Persiani si espansero ulteriormente: nel 614 occuparono Gerusalemme e fecero una gran strage di cristiani. Le chiese cristiane vennero profanate e danneggiate dalle fiamme e le sacre reliquie della Vera Croce, della Sacra Spugna e della Sacra Lancia vennero portate a Ctesifonte, la capitale dell’Impero persiano. Nel 616 (nel 619 secondo altre fonti) i Persiani invasero l’Egitto, dopo un anno conquistarono Alessandria grazie alla scoperta di un canale segreto che portava dentro la città, e il prefetto augusteo e il generale Niceta furono costretti a rifugiarsi a Cipro. Dopo la conquista dell’Egitto, Costantinopoli, priva del grano che giungeva dal “granaio d’Africa”, fu colpita da una grave carestia e l’Imperatore fu costretto nel 618 a sospendere la razione quotidiana di grano. Come se non bastasse i Persiani invasero l’Asia Minore: il generale persiano Shahin arrivò fino alle porte di Calcedonia, a poche miglia da Costantinopoli. L’Imperatore chiese di incontrarlo e il generale accettò: Shahin si rivolse all’Imperatore con molto garbo e gli confessò che anche lui desiderava la pace tra i due imperi. E gli disse “Se mi credi, invia in mia compagnia i tuoi ambasciatori che tratteranno queste cose con Cosroe. Sono sicuro che verrà persuaso da me, dato che anche lui è intenzionato a giungere ad un accordo con te e a stabilire una volta per tutte una sicura e inviolata pace”. Eraclio inviò quindi presso Cosroe un ambasciata composta dal prefetto del pretorio Olimpio, dal prefetto della città Leonzio e dall’ecclesiastico Anastasio. L’ambasceria non ottenne il risultato sperato: Cosroe II replicò che non era affatto intenzionato a negoziare la pace e ordinò che gli ambasciatori venissero fatti prigionieri. Quanto a Shahin, secondo Niceforo, quando Cosroe seppe che il suo generale aveva trattato Eraclio con molto rispetto si adirò tantissimo e ordinò che venisse scuoiato vivo, una morte violenta. La sua pelle venne utilizzata per farne un otre. Tuttavia questa notizia è alquanto discutibile, in quanto Shahin non scompare nelle cronache dopo questi avvenimenti ma ricompare nelle campagne di Eraclio del 625-626 (cfr. Teofane). Quindi non può essere morto in quell’occasione.

La situazione per Eraclio sembrava ormai disperata. L’Impero era sull’orlo del collasso non solo perché le province asiatiche erano quasi tutte in mano persiana ma anche perché Bisanzio aveva perso il controllo anche dei Balcani. Nel 614 cadde Salona, la capitale della Dalmazia romano-bizantina, e in quegli stessi anni gli Slavi invasero la Macedonia, il Peloponneso e persino Creta. Rimanevano in mano imperiale pochissime città balcaniche: Tessalonica, Zara, Trogir, Budva, Skadar e Ljes. Gli Avari, al pari dei Persiani, sembravano in grado di infliggere il colpo di grazia al morente impero. L’Imperatore prese in considerazione per un momento la possibilità di spostare la capitale a Cartagine, più sicura, ma venne dissuaso dal Patriarca che lo incitò a non arrendersi. Nel frattempo (619) all’Imperatore giunse la notizia che gli Avari fossero intenzionati a fare pace con l’Impero. Venne organizzato un incontro tra l’Augusto e il khagan degli Avari nonché una festa per celebrare la riappacificazione tra i due popoli. Purtroppo il tutto si rivelò un inganno degli Avari che attaccarono a tradimento l’Imperatore, che riuscì per un pelo a salvarsi, e saccheggiarono i sobborghi di Costantinopoli, facendo 270.000 prigionieri. Nel 620 l’Imperatore riuscì a ottenere, finalmente, la pace con gli Avari.

Restava ancora da vincere il nemico persiano, che era ancora in possesso di gran parte dell’Impero.

LA RISCOSSA DI ERACLIO: IL RITORNO DELLO STATUS QUO

Una battaglia tra l’esercito di Eraclio e quello persiano (affresco di Piero della Francesca). Si avverte che la rappresentazione della battaglia è anacronistica.

La sera di lunedì 4 aprile 622, decima indizione, l’Imperatore Eraclio, dopo aver festeggiato la Pasqua, partì per la Persia. Essendo a corto di denaro si vide costretto a chiedere e ottenere finanziamenti dalla Chiesa: dai candelabri e altri oggetti di valore della basilica di Santa Sofia ricavò una grande quantità di monete d’oro e di argento. Lasciò suo figlio a Costantinopoli sotto la tutela del patriarca Sergio, che in sua assenza condusse gli affari di stato insieme al patrizio Bonoso, definito da Teofane un uomo prudente, intelligente, e di esperienza. Scrisse inoltre al Khagan degli Avari sollecitandolo a inviare rinforzi in virtù del trattato di alleanza con l’Impero. Secondo Teofane Confessore, Eraclio nominò il Khagan custode di suo figlio.

Partendo dalla Capitale Eraclio giunse via mare a Pylai. Giunto in quello che Teofane chiama il “territorio dei themata” (il che non implica che i themata intesi come distretti territoriali fossero stati già costituiti, tenendo presente che “thema” significa “corpo d’armata”), raccolse le sue armate e aggiunse ad esse nuovi contingenti. Secondo Teofane (le cui fonti in questo caso sono i panegirici di Giorgio di Pisidia), Eraclio, avendo trovato l’esercito in stato di codardia, indisciplina e disordine, in poco tempo lo unì e lo rese forte. L’Imperatore avrebbe detto loro, a detta di Teofane, le seguenti parole di incoraggiamento: “Vedete, miei fratelli e figli, come i nemici di Dio hanno calpestato la nostra terra, hanno devastato le nostre città, hanno bruciato i nostri santuari […]; come hanno profanato con immenso piacere le nostre chiese[…]”’. Sempre secondo Teofane Eraclio addestrò l’esercito dividendolo in due schieramenti e facendoli scontrare tra loro in battaglie simulate, combattute in modo che nessuno venisse ucciso. In questo modo tentò di preparare l’esercito alle vere battaglie, e a insegnare alle sue truppe a non temere l’esercito persiano ma ad affrontarlo con valore e con coraggio.

Giunse l’inverno e l’Imperatore si fermò nella regione del Ponto; i Persiani decisero di assediarlo nei suoi quartieri invernali. Eludendo gli eserciti nemici, Eraclio avanzò minacciosamente verso la Persia. Quando i Persiani ne furono informati, furono colti di sorpresa. Shahrvaraz, il comandante persiano, decise di invadere con la sua armata la Cilicia in modo da costringere l’Imperatore a ritirarsi dai territori invasi. Ben presto tuttavia si risolse a lanciarsi all’inseguimento dell’esercito imperiale, decidendo di attaccarlo in una notte buia. Tuttavia vi fu quella notte la luna piena, che gli impedì di attaccare, e Teofane riferisce che il generale persiano maledì quella luna che aveva in precedenza venerato. Nella stessa notte vi sarebbe stata anche un eclissi di luna, e per questo motivo, stando Teofane, Shahrvaraz avrebbe avuto paura di affrontare l’Imperatore. Sempre Teofane riferisce che quando l’Imperatore venne a conoscenza della codardia del generale avversario lo provocò a combattere. Spesso i Persiani scendevano di nascosto dalle montagne e attaccavano sporadicamente gli Imperiali, e in tutte le occasioni gli Imperiali prevalsero. Shahrvaraz divise allora il suo esercito in tre parti e all’alba discese dalle montagne. Ma l’Imperatore l’aveva previsto e anche lui aveva diviso l’esercito in tre falangi e le condusse in battaglia. Teofane riferisce che quando il sole sorse, i suoi raggi abbagliarono I Persiani – quegli stessi raggi che veneravano come un dio. L’Imperatore ordinò ai suoi uomini di battere in una ritirata simulata e i Persiani, cadendo nell’inganno, ruppero i loro ranghi per inseguirli. Ma gli Imperiali si voltarono e li sconfissero. I Persiani subirono una disfatta: molti morirono o furono fatti prigionieri. L’Imperatore fu però costretto a tornare a Costantinopoli in quanto minacciata dalle incursioni degli Avari. L’esercito svernò in Armenia. Nel 623 Eraclio fu intento a negoziare un accordo con gli Avari. Gli Imperiali accettarono di pagare 200.000 solidi all’anno e a cedere alcuni ostaggi agli Avari in cambio della pace.

Le campagne militari dal 624 al 628.

Il 25 marzo 624 Eraclio riprese la sua campagna militare contro i Persiani. Portò con sé la seconda moglie Martina e i due figli del primo matrimonio. La famiglia imperiale celebrò la Pasqua (15 aprile) a Nicomedia. Con l’esercito Eraclio procedette a invadere l’Armenia e il Caucaso. Nel frattempo l’esercito di Shahrvaraz stava sferrando un’incursione in territorio romeo, ma ricevette da Cosroe l’ordine di tornare indietro per contrastare l’incursione improvvisa dell’esercito imperiale condotto da Eraclio in persona. Cosroe era a Ganzak con un esercito di 40.000 uomini, ma fuggì all’arrivo di Eraclio. L’Imperatore, per vendicare la profanazione di Gerusalemme da parte dei Persiani, diede fuoco al tempio del fuoco (luogo di Culto zoroastriano) a Thebarmais, e saccheggiò le città e le terre invase. Eraclio decise di svernare nell’Albania caucasica, dove liberò ben 50.000 prigionieri persiani. Stando a Teofane, costoro, a lui grati per la sua clemenza, lo avrebbero pregato di salvare la Persia dal tiranno Cosroe, passando dunque dalla parte dell’Impero.

All’inizio del 625 Cosroe inviò un esercito al comando di Shahraplakan in Albania Caucasica per contrastare l’avanzata dell’esercito imperiale. L’esercito di Shahraplakan tuttavia non osò scontrarsi con quello di Eraclio, ma decise piuttosto di chiudere l’accesso ai passi che conducevano in Persia, al fine di intrappolare l’imperatore. Tuttavia, all’inizio della primavera Eraclio lasciò l’Albania e marciò verso la Persia attraversando pianure abbondanti di cibo, anche se questo percorso non era il più breve. L’armata di Shahraplakan, per anticiparlo, prese una scorciatoia. Eraclio nel frattempo affrontò un grave problema. I suoi alleati lazici, abisgiani e iberici minacciavano la defezione, e Eraclio dovette faticare per spingerli a rimanere nel suo esercito. Nel frattempo l’esercito di Shahrvaraz si era avvicinato all’esercito di Eraclio, evitando però di attaccarlo preferendo prima ricongiungersi con l’armata di Shahraplakan. Quando però arrivò la notizia che era in arrivo un terzo esercito persiano al comando di Shahin, Shahrabaraz e Shahraplakan decisero di attaccare l’armata di Eraclio prima dell’arrivo di Shahin, non volendo condividere la gloria di un’eventuale vittoria con quest’ultimo. I Persiani si accamparono a poca distanza dagli Imperiali, decidendo di dare loro battaglia la mattina successiva. L’esercito di Eraclio, invece, quella sera stessa partì e marciò per tutta la notte, e quando si era allontanato sufficientemente dai Persiani, si accampò in una pianura erbosa. I Persiani, persuasi che l’esercito di Eraclio stesse fuggendo, marciarono verso di lui disordinatamente, e anche per questo persero la battaglia. Nel corso della battaglia cadde anche il generale Shahraplakan. Nel frattempo sopraggiunse anche l’esercito di Shahin, ma anch’esso fu sconfitto dall’esercito di Eraclio, che si impadronì dell’accampamento persiano. Shahrvaraz e Shahin, con le truppe rimanenti, unirono di nuovo le forze, nel tentativo di prendersi la rivincita su Eraclio. Nel frattempo l’esercito imperiale, mentre attraversava un territorio impervio, dovette fronteggiare la defezione degli alleati lazici e abasgici, che ritornarono nei loro territori, indebolendo l’esercito. Nonostante ciò Eraclio invase la Persarmenia e nell’inverno 625/626 compì una sortita notturna contro l’esercito di Shahrvaraz nel villaggio di Salbanon. L’esercito persiano, preso di sorpresa, subì pesanti perdite e Shahrvaraz si salvò a stento con una ignominosa fuga. L’esercito di Eraclio si impadronì di un grande bottino, compresi gli averi di Shahrvaraz. Procedette poi a saccheggiare i villaggi limitrofi, e svernò nella zona.

Il 1 marzo 626, stando a Teofane, l’Imperatore radunò l’esercito e lo interrogò sulla via da seguire, o quella di Taranton o quella che portava in Siria. Quella che portava in Siria garantiva una grande abbondanza di cibo lungo la via, a differenza dell’altra, ma vi era il problema della neve. L’esercito scelse la via che portava in Siria ed entro sette giorni raggiunsero il Tigri, che attraversarono, raggiungendo Martiropoli e Amida. Fu combattuta in quello stesso anno una battaglia sul ponte del Saro tra l’esercito di Eraclio e quello di Shahrvaraz in cui gli imperiali ebbero ancora la meglio. Nel frattempo però i Persiani si erano alleati con gli Avari, e decisero di assediare insieme Costantinopoli. L’assedio si svolse nei mesi di luglio e agosto del 626. Eraclio divise allora l’esercito in tre: una la mandò in difesa della Capitale, l’altra, che affidò al fratello Teodoro, la mandò a confrontarsi con l’esercito di Shahin e con il resto dell’esercito Eraclio si recò in Lazica per negoziare un’alleanza in funzione anti-persiana con la tribù dei Cazari. I piani di Eraclio ebbero successo. L’assedio di Costantinopoli fallì, anche grazie alla resistenza delle Mura Teodosiane, mentre l’armata di Teodoro uscì vittoriosa nella battaglia contro l’esercito di Shahin, che cadde subito dopo malato e morì nello stesso anno. Inoltre una lettera che Cosroe aveva inviato al secondo in comando di Shahrvaraz, Kardarigan, per ordinargli di uccidere Shahrvaraz, fu intercettata dagli Imperiali che informarono Shahrvaraz dell’intrigo. Questi, contrariato, decise di allearsi con i Romei (cioè i “Bizantini” o “Romani d’Oriente”) e alterò la lettera in modo che sembrasse che Cosroe avesse ordinato l’uccisione di ben 400 soldati, e non del solo Shahrvaraz. Quando la lesse ai soldati costoro, indignati nei confronti di Cosroe, decisero di appoggiare Shahrvaraz e di rivoltarsi al re persiano.

Nel 627 Eraclio si alleò con i Cazari e sferrò un’ultima incursione in territorio persiano. Il 12 dicembre 627 si combatté la Battaglia di Ninive tra l’esercito di Eraclio e quello persiano condotto da Rhazdadh, e Eraclio ottenne una grande vittoria. Annientato l’unico esercito persiano presente nella zona, Eraclio ne approfittò per saccheggiare, il 4 gennaio 628, Dastagird, una delle residenze reali di Cosroe II, ottenendo un ricco bottino, oltre a riguadagnare numerose insegne e stendardi romani (ben 300). Cosroe era già fuggito in direzione delle montagne della Susiana nel disperato tentativo di difendere la capitale Ctesifonte. Eraclio rinunciò tuttavia alla presa di Ctesifonte, perché non poteva oltrepassare il canale Nahrawan a causa del crollo di un ponte che ne permetteva il guado, e decise di svernare a Ganzaca.

Il 23 febbraio 628 Cosroe II, perso tutto il suo prestigio e il sostegno dell’aristocrazia, venne rovesciato e rinchiuso in un sotterraneo per ordine del figlio Siroe (che salì al trono con il nome di Kavad II) e, dopo cinque giorni di torture, spirò. Il 3 aprile 628 Eraclio ricevette, mentre era a Ganzaca, una lettera dal nuovo scià in cui Kavad si rivolgeva all’Augusto come «nostro fratello» e gli comunicò che era disposto a firmare una pace in cui si impegnava a restituirgli tutti i prigionieri di guerra, a ritirare le sue truppe dalle zone occupate durante la guerra e a restituire la Vera Croce. La proposta di pace venne accettata e firmata.

Tuttavia il generale Shahrvaraz non era disposto a cedere ai Romei i territori da lui occupati. La Persia era finita però nel caos più assoluto e Shahrvaraz intendeva approfittare dell’anarchia per salire sul trono persiano. Così nell’estate 629 Shahrvaraz firmò con i Romei un trattato di pace con cui restituì loro la Siria e l’Egitto nonché la Vera Croce; in cambio gli Imperiali cedettero alla Persia l’Armenia sud-occidentale e la Mesopotamia settentrionale e appoggiarono il generale persiano nel suo tentativo di impossessarsi del trono. Tuttavia nel 631 Sharvaraz, che era riuscito a salire al potere grazie all’appoggio bizantino, venne assassinato e gli succedette Boran, una delle figlie di Cosroe II. La nuova sovrana accettò di restituire ai Romei anche i territori che i Persiani avevano ceduto all’Imperatore Maurizio nel 591. L’Imperatore, ottenuta una vittoria insperata, festeggiò il suo trionfo a Gerusalemme il 21 marzo 630 riportandovi la Vera Croce.

GLI ULTIMI ANNI DI REGNO E L’INVASIONE DEGLI ARABI

L’Oriente intorno al 633.

I successi dell’Imperatore contro la Persia furono vanificati dall’emergere di una nuova minaccia. In Arabia era comparsa una nuova religione monoteista, l’Islam, predicata dal celebre Profeta Maometto. Questi riuscì a unificare la penisola araba sotto il suo dominio e inviò ai maggiori re del mondo, tra cui Eraclio, delle missive nelle quali chiedeva l’adesione all’Islam. Maometto morì nel 632 appena dopo aver finito di sottomettere l’Arabia. Il suo successore, Abu Bakr, fu il primo califfo islamico e governò soli due anni, nel corso dei quali sconfisse alcune tribù arabe che si erano rivoltate. Nel 633 cominciarono inoltre le prime incursioni delle armate arabe nei territori dell’Impero romano (“bizantino”) e della Persia Sasanide. Approfittando del loro indebolimento dovuto a decenni continui di guerra, gli Arabi conquistarono parte della Mesopotamia persiana e conseguirono dei successi in Palestina sconfiggendo le truppe del comandante locale Sergio che cadde in battaglia. Nel 634, morto Abu Bakr, gli succedette Umar, sotto il quale queste incursioni si consolidarono fino a diventare delle conquiste vere e proprie. Eraclio, posta sede ad Emesa, tentò di arginare la nuova invasione ponendo al comando dell’esercito il fratello Teodoro e mandandolo contro gli Arabi. La controffensiva mise in difficoltà le armate arabe, ma il loro miglior generale, Khalid, intento in quel momento contro i Persiani, decise di intervenire in loro soccorso.  Il 30 luglio del 634 Khalid riportò una netta vittoria sulle truppe imperiali in Palestina: il governatore della Palestina cadde e lo stesso Teodoro si salvò solo grazie alla fuga. Khalid continuò a sconfiggere ripetutamente le truppe imperiali e il 10 settembre 635 Damasco aprì le porte agli Arabi, dopo alcuni mesi di assedio. Per tutta risposta Eraclio affidò un imponente esercito al sakellarios Teodoro, a Baanes e al ghassanide Jabala ibn Ayham. Di fronte a tale spiegamento di forze Khalid preferì ritirare le sue truppe, sgomberando i territori e le città conquistate fino ad allora, e ripiegando in cerca del luogo ideale allo scontro, che individuò sulle rive del fiume Yarmuk, un affluente del Giordano a sud del lago di Tiberiade. Qui, nel luglio 636, ebbe luogo una furiosa battaglia che vide una netta vittoria degli Arabi che distrussero l’armata imperiale. Eraclio, abbandonando ogni speranza di poter conservare quei territori, fece evacuare la Siria dalle truppe rimaste a sua disposizione, spostandole in Asia Minore, protetta dai Monti Tauro dall’espansione islamica. Gli Arabi rioccuparono rapidamente quanto precedentemente sgomberato e posero il blocco a Gerusalemme, da cui l’Imperatore prudentemente aveva fatto portar via la Vera Croce. Nel 638, dopo sette mesi d’assedio, la città santa si arrendeva ai musulmani.

Gli Arabi furono accolti come liberatori dai provinciali, oppressi dalle tasse eccessive e perseguitati dall’Impero in quanto eretici (Monofisiti). Secondo Michele Siro:

Eraclio non ammise gli Ortodossi [Monofisiti] alla sua presenza e non accolse le loro proteste circa le chiese di cui erano stati privati. Fu per questo che il Dio di vendetta, che solo e onnipotente […], vedendo la malvagità dei Romani che nei territori in loro dominio crudelmente saccheggiavano le nostre chiese e monasteri e senza pietà ci condannavano, portò dal Sud i figli di Ismaele per liberarci dalle mani dei Romani. E se invero qualche danno abbiamo patito, giacché le chiese parrocchiali che a noi erano state sottratte e date ai seguaci di Calcedonia [cattolici] sono rimaste in loro possesso, dato che, quando le città si sottomettevano agli Arabi, costoro garantivano a ogni confessioni quali templi avevano all’epoca […] fu tuttavia non piccolo vantaggio per noi essere liberati dalla crudeltà dei Romani, dalla loro ira, dal fervore della loro durezza contro di noi, e trovarci in pace.

In effetti gli Arabi ridussero notevolmente le tasse e mostrarono una tolleranza religiosa maggiore di quella dell’Impero. I “popoli del libro” (tra cui Ebrei e Cristiani) non furono obbligati a convertirsi all’Islam, ma dovevano pagare una tassa in più rispetto ai Musulmani, la “jizya”. In ogni modo, anche con la “jizya”, dovevano pagare meno tasse rispetto a quando erano sudditi dell’Impero. Resta comunque il fatto che, nonostante questa relativa tolleranza religiosa, nelle regioni sottomesse dagli Arabi si ebbe una graduale conversione all’Islam dei popoli sottomessi.

Eraclio non ebbe la forza per continuare la lotta con gli Arabi anche perché in età avanzata e in declino di forma e di salute. L’uomo che, dopo aver sgomberato parte delle terre trionfalmente riacquistate all’Impero poco tempo prima, tristemente ritornava a Costantinopoli, era un uomo stanco, molto malato e forse non del tutto padrone di sé; a causa di una fobia per l’acqua non osava riattraversare lo stretto del Bosforo per tornare nella Capitale e solo un tentativo d’usurpazione a Costantinopoli, nel 637, lo costrinse a rientrare a palazzo attraversando il Bosforo su un ponte di barche coperte da sabbia. La reazione fu molto dura: i rivoltosi, tra i quali comparivano il figlio illegittimo Atalarico ed il nipote Teodoro, ebbero nasi e mani amputate. La congiura legò ancor più il basileus alla moglie Martina, e il figlio Eracleona venne incoronato coimperatore, rinfocolando antiche polemiche e convincendo ancor più molti ambienti che i guai dell’Impero altro non erano che i frutti della punizione divina per i peccati dell’Imperatore.

Nel frattempo gli Arabi, dopo aver conquistato l’Assiria ai Persiani, sottomisero anche la Mesopotamia e l’Armenia, e nel 639 cominciarono la conquista dell’Egitto, che fu completata nel giro di tre anni. Eraclio ebbe la ventura di non dover assistere alla resa di Babilonia (una delle ultime fortezze egiziane a resistere) nell’aprile del 641, né di venire a conoscenza della caduta di Alessandria, l’anno successivo, ceduta al generale arabo Amr dal patriarca locale Ciro. Ammalatosi di idropisia, l’11 febbraio 641 l’imperatore si era spento.