Il Papa e i Franchi: la caduta del regno longobardo e la nascita dello Stato della Chiesa

IL PAPA E I FRANCHI
Astolfo aveva conquistato l’esarcato ma non aveva fatto i conti con il nuovo Papa, Stefano, succeduto nel 752 a Zaccaria. Astolfo minacciava ormai apertamente il ducato romano: egli pretendeva che il Papa gli pagasse un tributo di tanti soldi d’oro quanti erano gli abitanti del ducato romano e il riconoscimento della supremazia del re longobardo sul ducato romano. Stefano implorò quindi l’aiuto dell’Imperatore d’Oriente Costantino V. Ma Costantino era occupato contro Arabi e Bulgari ed era impossibilitato a inviare aiuti militari, limitandosi semplicemente a inviare ambasciatori imperiali che tentavano, insieme a inviati papali, di convincere non con le armi ma con le parole (con la diplomazia) il re Astolfo a restituire l’esarcato all’Impero (cfr. Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, pp. 135-136). Ma Astolfo era un re molto ambizioso e non poteva essere convinto con puri e semplici discorsi a rinunciare alle sue conquiste; erano necessarie piuttosto le armi. Rendendosene conto, e vedendo come l’Impero non gli fosse di nessun aiuto ma che semplicemente si limitasse a inviare ambasciatori che non ottenevano nulla, Stefano decise di rivolgersi ai Franchi.

Re Pipino era da poco salito sul trono franco, deponendo nel 751 l’ultimo re fantoccio merovingio, Childeberto III, con il sostegno del Santo Padre. Papa Stefano gli scrisse implorando il suo aiuto e descrivendo la situazione disperata del ducato romano. Pipino, conscio che aiutare il papa avrebbe innalzato il suo prestigio e gli avrebbe permesso di espandere il suo regno, inviò l’abate Droctegang a Roma per informarlo che avrebbe avuto in breve tempo il suo appoggio. Nel 753 Astolfo minacciò ancora più apertamente il ducato romano, impadronendosi della fortezza di Ceccano. Nel frattempo giunse un altro inviato bizantino, che convinse il Papa a recarsi con lui a Pavia per cercare di convincere Astolfo a restituire l’esarcato all’Impero (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, pp. 136-137). Fallito questo tentativo, il Papa da Pavia si spostò in Francia, essendo intenzionato a giocarsi l’ultima carta, quella dell’intervento franco.

La donazione di Pipino il Breve a papa Stefano II (754).

Il 6 gennaio 754 Papa e Re franco si incontrarono a Ponthion e si accordarono per la spedizione. Pipino dovette però faticare per ottenere l’approvazione alla guerra da parte dei nobili franchi, che riuscì a strappare solo il 14 aprile, durante una dieta a Quertzy. Pipino e il Papa si spartirono l’Italia, in caso di felice esito della spedizione, tracciando una linea immaginaria da Luni (Liguria meridionale) a Monselice (Veneto meridionale) che divideva l’Italia in due: il territorio a sud di questa linea sarebbe spettato al Papa, quello a nord al re franco (cfr. Jarnut, Storia dei Longobardi, p. 115). Il Papa diede quindi a Pipino il titolo di patrizio dei Romani, dopodiché la spedizione contro Astolfo poté iniziare.

Nell’agosto del 754 l’esercito di Pipino invase il Regno longobardo, sconfisse l’esercito di Astolfo presso Susa e arrivò addirittura ad assediare Pavia, costringendo Astolfo a negoziare una pace moderatamente svantaggiosa, con cui cedette al Papa alcuni territori imprecisati dalle fonti. Ma Astolfo, anche dopo la dura sconfitta inflittagli da Pipino, non abbandonò i suoi piani ambiziosi di conquista: nel 756 invase di nuovo il ducato romano, riespugnando Narni e andando ad assediare Roma; questo punto, su pressioni del Santo Padre, intervenne di nuovo Pipino, che sconfisse l’esercito longobardo di nuovo in prossimità di Susa, costringendo di nuovo Astolfo a capitolare dopo un breve assedio. I Longobardi furono costretti a cedere ai Franchi 1/3 del tesoro reale, a versare a Pipino un tributo annuale e inoltre a cedere vasti territori al Santo Padre, ovvero l’esarcato (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, pp. 137-138).

In quest’occasione due inviati bizantini, e in particolare Giorgio, cercarono di persuadere Pipino a restituire l’esarcato all’Impero, e non a cederlo al Pontefice. Ma Pipino rifiutò, sostenendo che aveva conquistato per il Papa Ravenna e il territorio circostante, non per la gloria terrena ma per devozione nei confronti del Santo Padre e per scontare i suoi peccati. I due ambasciatori furono congedati senza ottenere nulla, e fu così che Roma si rese indipendente da Bisanzio e iniziò il potere temporale dei Papi (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 138).

Con due brevi campagne militari Pipino aveva ridotto il Regno longobardo da potenza egemone dell’Italia (mancava ormai alla completa unificazione dello Stivale sotto il giogo longobardo solo il Lazio, la Calabria e la punta meridionale della Puglia) a un regno ristretto solo all’Italia settentrionale (poiché Benevento e Spoleto si erano resi di nuovo indipendenti) e tributario dei Franchi. Astolfo sopravvisse per breve tempo a quest’umiliazione: perì nel dicembre 756 in un incidente di caccia (cfr. Jarnut, ibidem, p. 118).

RIPRESA DEL REGNO SOTTO DESIDERIO
Ad Astolfo succedette di nuovo il fratello Ratchis, che abbandonò il monastero di Montecassino per ritornare sul trono longobardo. Ma ancora una volta il suo regno non era destinato a durare a lungo: Desiderio, un nobile longobardo proveniente da Brescia e anche lui aspirante al trono, ottenuto il supporto del Papa e dei Franchi, a cui promise che avrebbe rispettato i precedenti trattati di pace consegnando le conquiste di Liutprando al Santo Padre, marciò su Pavia e rovesciò di nuovo Ratchis, per l’ennesima volta costretto a ritornare monaco a Montecassino (cfr. Jarnut, ibidem, pp. 118-119). Nel frattempo, sempre intorno al 757, i ducati di Spoleto e Benevento elessero duchi autonomi dal re longobardo, con l’appoggio del Papa e di Pipino. Ma una grave crisi che colpì lo Stato Pontificio, con una lotta per la successione sul soglio papale susseguente al decesso di Papa Stefano II (757), permise al re longobardo di rafforzare il proprio stato, rifiutando di cedere al Pontefice i territori promessi (cfr. Jarnut, ibidem, p. 119). Nel frattempo, nel 758, si alleò con Bisanzio contro lo Stato della Chiesa e i Franchi, riuscendo a ricondurre sotto il suo giogo i ducati separatisti longobardi di Spoleto e di Benevento, mentre Bisanzio, riconquistando Otranto, recuperò territori nella Puglia. In questo modo Desiderio ricondusse di nuovo sotto il suo giogo gran parte dell’Italia, a parte alcuni territori bizantini nell’Italia meridionale e lo stato papale nell’Italia centrale. Nel 759, inoltre, associò al trono il figlio Adelchi, assicurando al figlio la successione al trono.

Nel frattempo, comprese che per evitare l’intervento dei Franchi in appoggio del Santo Padre, doveva farsi furbo e fare ogni tanto al Papato qualche piccola concessione, per non inimicarselo troppo: per questi motivi nel 757 egli consegnò al Papato le città di Ferrara e Faenza, oltre ai possedimenti pontifici nella Pentapoli, mentre però continuava a conservare la gran parte dei territori che secondo il trattato dovevano essere ceduti al Pontefice (cfr. Jarnut, ibidem, p. 120). Vista la scarsa volontà dei Franchi nel sostenerlo contro i Longobardi, alla fine Papa Paolo I decise di accordarsi con Desiderio, sanzionando lo status quo nel 763: i Longobardi potevano tenersi tutti i territori posseduti in quel momento, compresi quelli promessi al Santo Padre (cfr. Jarnut, ibidem, pp. 120-121).

Nel 768 Papa Paolo I perì e Desiderio cercò di imporre sul soglio pontificio un papa favorevole ai Longobardi: inviò quindi un esercito spoletino a Roma, condotto dal prete Valdiperto, il quale impose come Papa Filippo, il cui pontificato durò però solo un giorno, per l’opposizione dei suoi avversari, che lo costrinsero ad abdicare e nominarono papa Stefano III (Jarnut, ibidem, p. 121). Poco dopo nel regno franco scoppiarono gravi lotte intestine: deceduto Pipino, scoppiò una guerra civile tra i due figli, Carlo Magno e Carlomanno, che si concluse solo nel 771 con il trionfo di Carlo Magno. Inoltre, su pressioni della madre Bertrada, che intendeva costruire una rete di alleanze tra stati o favorevole a Carlo o per mantenere la pace nell’Europa occidentale, Carlo fu spinto a sposare in un matrimonio combinato la figlia di Desiderio, nonostante le proteste di Papa Stefano III, che di certo non vedeva di buon occhio un’alleanza tra il suo più grande alleato e il suo più grande nemico (cfr. Jarnut, ibidem, pp. 121-122). Nel frattempo (771) Desiderio marciò su Roma per porre rimedio a gravi lotte intestine che sconvolgevano il Papato: con il sostegno di Papa Stefano III, il re longobardo annientò la fazione che appoggiava Cristoforo, un uomo di Chiesa che intendeva chiamare Carlomanno in Italia per rafforzare la propria posizione a danni di Stefano e di Carlo. In questo modo si pose come difensore del Papato contro i Franchi e i ribelli (cfr. Jarnut, ibidem, p. 122).

LA FINE DEL REGNO LONGOBARDO

Carlo Magno.

La rinascita del Regno longobardo, però, non era destinata a durare molto. Alla fine del 771 Carlomanno perì e ciò permise a Carlo Magno di diventare unico re. Carlo si pose di nuovo a difensore del Papato contro i Longobardi e ruppe l’alleanza con Desiderio, ripudiando la moglie (figlia del re longobardo). Nel 772 perì Papa Stefano III e gli succedette Papa Adriano, eletto dalla fazione ostile ai Longobardi (cfr. Jarnut, ibidem, p. 123). Desiderio comprese che con la riaffermazione di sentimenti antilongobardi sia a Roma che nel Regno dei Franchi la situazione per lui e per il suo regno stava diventando compromettente, per cui cercò di dividere i suoi avversari, cercando di farsi amico il nuovo papa (cfr. Jarnut, ibidem, p. 124). Ma non funzionò, anzi Adriano pretendeva la cessione di tutti i territori che secondo il trattato dovevano spettare al Papato.

Furente per il comportamento ostile del Santo Padre, Desiderio aggredì l’Esarcato e la Pentapoli, espugnando parecchie città e penetrando nel Lazio. Il re longobardo voleva costringere con le cattive il Santo Padre a impartire l’unzione regale ai figli di Carlomanno, il che avrebbe provocato una guerra civile nel Regno Franco (cfr. Jarnut, ibidem, p. 124). Ma non funzionò: il Pontefice rifiutò e invocò pressanti richieste di aiuto al suo protettore, Carlo Magno. Quest’ultimo, visto che Desiderio non voleva recedere dai suoi ambiziosi propositi, si risolse ad attaccare il Regno longobardo.

Adelchi viene inviato in esilio.

Radunato un grosso esercito presso Ginevra nella primavera 773, Carlo Magno invase il regno, mettendo in rotta l’esercito longobardo presso Susa. Desiderio si rinserrò a Pavia, Adelchi a Verona, l’avanzata di Carlo sembrava inarrestabile. Nel frattempo il Papa ottenne la sottomissione del ducato di Spoleto, oltre che dei ducati di Fermo, Osimo, Ancona e del Castellum Felicitatis (cfr. Jarnut, ibidem, p. 125). Nel 774, dopo un lungo assedio, Pavia cadde e con esso il regno longobardo. Desiderio fu fatto prigioniero, Adelchi fuggì a Costantinopoli, mentre Carlo, sottomesso il regno longobardo, lo unì a quello franco, diventando da allora in poi “Re dei Franchi e dei Longobardi” (cfr. Jarnut, ibidem, p. 126). Finiva un epoca.