Il pontificato di Papa Gregorio Magno

ASCESA DI AGILULFO E DI PAPA GREGORIO MAGNO

Nel 590 divenne nuovo re Agilulfo, che sposò Teodolinda, la moglie del suo predecessore, e riscattò i prigionieri fatti dai Franchi. Sotto la sua guida i Longobardi continuarono ad espandere i loro possedimenti ai danni dell’Impero d’Oriente.

Nello stesso anno divenne papa Gregorio detto “il Grande”. Gregorio era di origini aristocratiche e in gioventù fu praefectus urbi, prima di abbandonare la vita politica per prendere i voti. Nel 579 divenne apocrisario e fu inviato a Costantinopoli alla corte imperiale, dove restò per parecchio tempo stringendo buone relazioni con l’Imperatore e l’Imperatrice e battezzando il figlio di Maurizio, Teodosio, nel 585. Nel 590, nonostante la sua modestia che lo spingeva a rifiutare la nomina, divenne papa suo malgrado a causa delle insistenze del popolo.

ROMA ASSEDIATA DA ARIULFO

Papa Gregorio Magno si trovò di fronte a una situazione difficile: Roma era minacciata dalla spada dei Longobardi mentre le truppe che dovevano difendere la città erano malpagate e rischiavano di rivoltarsi. Papa Gregorio invocò più volte l’aiuto militare dell’Impero, ma spesso non fu ascoltato. I Longobardi, riporta Papa Gregorio Magno, continuavano a devastare l’Italia: nel 590 furono da essi devastate le città di Minturnia (nei dintorni di Formia), Tauriana (in Calabria) e Fano, facendo fuggire il clero e facendo dei prigionieri, che dovettero essere riscattati dal Papa (cfr. G. Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 92). Anche Roma era minacciata: infatti il duca di Spoleto Ariulfo intendeva interrompere le comunicazioni tra Roma e Ravenna, occupando il corridoio umbro. Nel 591 occupò Perugia, suscitando la viva preoccupazione del pontefice, il quale negò aiuti militari al magister militum Veloce contro i Longobardi di Spoleto, perché temeva attacchi alla Città Eterna:

Gregorius Veloci magistro militum. *** et pridem gloriae vestrae quia milites illic erant parati venire. Sed quoniam inimicos congregatos et hic discurrere epistula vestra significaverat, haec eos hic causa retinuit. Nunc vero utile visum est ut aliquanti illic milites transmittantur, quos gloria tua admonere et hortati ut parati sint ad laborem studeat. Et occasione inventa cum gloriosis filiis nostris Mauricio et Vitaliano loquere, et quaecumque vobis Deo adiutore pro utilitate rei publicae steterint, facite. Et si hic vel ad Ravennates partes nec dicendum Ariulfum cognoveritis excurrere, vos a dorso eius ita sicut viros fortes condecet laborate, quatenus opinio vestra ex laboris vestri qualitate amplius in re publica Deo auxiliante proficiat. Illud tamen prae omnibus admonemus ut familiam Aloin et Adobin atque Ingildi Grusingi, qui cum glorioso Mauricio magistro militum esse noscuntur, sine aliqua mora vel excusatione relaxes, quatenus venientes illic homines praedicti viri cum eis sine aliquo impedimento debeat ambulare.

 

Gregorio a Veloce magister militum. Già in precedenza in verità abbiamo comunicato alla gloria vostra che quei soldati erano pronti a venire. Ma poiché la vostra lettera aveva comunicato che i nemici erano riuniti e [pronti] a fare una scorreria verso Roma, è questa la causa che li ha trattenuti qui. Ma ora sembra utile che siano inviati lì alcuni soldati, che la tua gloria si adopri con zelo di ammonire ed esortare affinché siano pronti al loro duro impegno. E se troverete l’occasione, parlate con i gloriosi figli nostri Marzio e Vitaliano, e fate qualunque cosa a voi, con l’aiuto di Dio, parrà di utilità per la res publica . E se verrete a sapere che qui o nella zona di Ravenna Ariulfo – il cui nome non dovrebbe nemmeno essere pronunciato – fa delle scorrerie, voi impegnatelo alle spalle, così come si addice ad uomini forti, affinché con la qualità del vostro impegno il vostro giudizio possa giovare maggiormente alla res publica . Soprattutto, tuttavia, vi esortiamo che lasciate partire i lignaggi di Aloin, Adobin e di Iugildo Grusingo – che si sa essere al seguito del glorioso magister militum Maurizio – senza indugio o scuse, in modo tale che gli uomini di Maurizio, arrivando li, possano partire con loro senza alcun impedimento.

Nel 592, tra giugno e luglio, Ariulfo si mosse per assediare Roma. Il pontefice chiese aiuti militari a Romano, ma questi glieli negò, così il papa fu costretto ad allontanare il nemico pagando di tasca propria un tributo per spingerlo al ritiro (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 95). Successivamente, dopo l’assedio, Gregorio scrisse all’arcivescovo di Ravenna, Giovanni, lamentandosi per il comportamento dell’esarca, che “rifiuta di combattere i nostri nemici e vieta a noi di concludere la pace” (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 96).

ROMA ASSEDIATA DA AGILULFO

Nel 592 Romano, venuto a conoscenza che Papa Gregorio era in trattative con il ducato di Spoleto per una pace separata, si mosse per rompere le trattative, un po’ perché non tollerava l’insubordinazione del Pontefice, che stava trattando con il nemico senza alcuna autorizzazione imperiale, un po’ perché concludere la pace in quel momento avrebbe riconosciuto il corridoio umbro in mani longobarde, cosa che l’esarca non intendeva che accadesse. Verso la fine del 592, dunque, Romano si mosse, riconquistando le città del Corridoio. Questa campagna, come previsto, ruppe le trattative di pace che Papa Gregorio aveva avviato con i Longobardi, provocando un ulteriore peggioramento dei rapporti con il pontefice, che si lamentò in seguito del comportamento dell’esarca, che aveva impedito che si giungesse a una tregua “senza alcun costo per l’Impero” con i Longobardi.

Ulteriore conseguenza fu inoltre la reazione di Agilulfo, il quale scese nell’Italia centrale con un consistente esercito andando a riconquistare Perugia e giustiziare il duca traditore, Maurisione, che l’aveva consegnata agli Imperiali. Successivamente Agilulfo andò ad assediare Roma (593). Papa Gregorio Magno, sconfortato, deplorò in alcune omelie sul profeta Ezechiele il triste stato di Roma, un tempo caput mundi ma ora circondata dal nemico che tutto devastava:

“Ora io vi domando: che cosa mai ci può attirare in questo mondo? Dovunque vediamo lutti, dovunque sentiamo gemiti. Distrutte le città, abbattute le fortezze, devastate le campagne, la terra è stata ridotta a un deserto. Non è rimasto nessuno a coltivare i campi, quasi nessun abitante nelle città; e tuttavia anche questi piccoli resti del genere umano sono colpiti continuamente ogni giorno. … Vediamo alcuni deportati come schiavi, alcuni mutilati, altri uccisi. Cosa ci può dunque attirare in questa vita…? Se ancora amiamo un tale mondo, vuol dire che non amiamo più le gioie, ma i dolori. Ma noi vediamo com’è ridotta Roma stessa, che un tempo sembrava la dominatrice del mondo. Schiacciata in tanti modi da immensi dolori, dalla desolazione dei cittadini, dall’attacco dei nemici, dalle continue rovine, … E tuttavia quelli che siamo rimasti, e non siamo pochi, siamo continuamente oppressi ogni giorno dalla spada e da tribolazioni senza numero. Manca il senato, il popolo è scomparso, e tuttavia ogni giorno più si odono i gemiti dei superstiti colpiti da inumane tribolazioni. Roma, ormai vuota, è in fiamme! … Ma dove sono quelli che un tempo tripudiavano nella sua gloria? Dov’è il loro fasto? Dov’è la loro superbia? Dov’è la loro allegria continua e smodata?… Roma, che ha perduto il popolo, diventa sempre più calva come un’aquila che ha perduto le piume. Sono cadute anche le penne, con le quali era solita volare sulla preda, perché tutti i suoi potenti, per mezzo dei quali depredava i beni altrui, sono scomparsi.” (Papa Gregorio Magno, Omelie, II, 22-23)

Si risolse poi a liberare la città eterna dall’assedio accettando di pagare un tributo. Gregorio incontrò Agilulfo sui gradini di San Pietro e comprò il suo ritiro per 5000 libbre d’oro. Roma era salva ma i Longobardi avevano fatto grandi danni: Papa Gregorio Magno, in una lettera indirizzata all’Imperatore Maurizio, raccontò di aver visto con i suoi stessi occhi dei Romani fatti prigionieri dai Longobardi e “condotti via per essere venduti come schiavi in Francia“ (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 98). Intorno al 594 Perugia fu riconquistata da Romano.

CONTRASTI CON COSTANTINOPOLI

Papa Gregorio si risolse a cercare la pace con Agilulfo avviando delle trattative, ma era ostacolato in questo dall’esarca Romano, con il quale i rapporti si deteriorarono ulteriormente. Papa Gregorio di lui scrisse che la sua “malizia è persino peggiore delle spade dei Longobardi, tanto che i nemici che ci massacrano sembrano miti in comparazione con i giudici della Repubblica che ci consumano con la rapina” (Papa Gregorio Magno, Epistole, V, 42). Neanche l’Imperatore Maurizio gli dava ascolto e in una lettera gli diede dell’ingenuo, poiché si faceva ingannare dall’astuzia dei Longobardi. Il pontefice, furente, replicò con un’altra lettera sostenendo di essere stato indubbiamente un ingenuo ad accettare, insieme alla carica di pontefice, di subire tutte le sofferenze subite da Roma e avvertendo l’Imperatore di guardarsi bene dai cattivi consiglieri che lo circondavano. “L’Italia ogni giorno viene condotta prigioniera sotto il giogo dei Longobardi e, mentre non si crede affatto alle mie argomentazioni, le forze dei nemici crescono oltre misura” (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 99). Papa Gregorio Magno si lamentò anche del fatto che il patriarca di Costantinopoli Giovanni Nesteute non accettasse la supremazia del Papa e anzi avesse assunto illegittimamente il titolo di “patriarca ecumenico”, ponendosi al suo stesso livello; comunque, nonostante le sue proteste, il patriarca di Costantinopoli non rinunciò al titolo assunto. Papa Gregorio Magno, inoltre, in una lettera all’Imperatrice, denunciò gli abusi fiscali compiuti dai funzionari imperiali ai danni delle popolazioni di Sicilia, Sardegna e Corsica:

Essendo venuto a conoscenza che molti dei nativi della Sardegna ancora … fanno sacrifici agli idoli…, ho inviato uno dei vescovi dell’Italia, che… convertì molti dei nativi. Ma mi ha narrato che… quelli nell’isola che sacrificano gli idoli pagano una tassa al governatore della provincia per fare ciò. E, quando alcuni sono stati battezzati e hanno cessato di sacrificare agli idoli, il suddetto governatore dell’isola continuava a richiedere da essi il pagamento della tassa… E, quando il suddetto vescovo parlò con lui, egli replicò che aveva promesso un suffragium così grande che non ce l’avrebbe fatta a pagarlo se non agendo in questo modo. Ma l’isola di Corsica è talmente oppressa da così tanti esattori e da così tante tasse, che i suoi abitanti possono difficilmente farcela a pagarle se non vendendo i loro figli. Per cui i proprietari terrieri della suddetta isola, abbandonando la Pia Repubblica, sono costretti a cercare rifugio nella nefandissima nazione dei Longobardi… Inoltre, in… Sicilia si dice che un certo Stefano, chartularius nelle questioni marittime, commetta così tante iniquità e oppressioni, … confiscando senza alcun processo legale proprietà e case, che se desiderassi elencare tutti i suoi misfatti giunti alle mie orecchie, non mi basterebbe nemmeno un grande libro… Sospetto che tali misfatti non siano giunti alle vostre Più Pie Orecchie, perché se fosse stato così, non sarebbero affatto continuati fino ad oggi. Ma è ora che il Nostro Più Pio Signore [l’Imperatore] venga a conoscenza di ciò, così che possa rimuovere un così grave peso di colpa dalla sua anima, dall’Impero e dai suoi figli. Lo so ch’egli dirà che quel che si ritrae da queste isole, è impiegato nelle spese delle armate per loro difesa; ma è questo forse il motivo del poco profitto ch’elle ricavano da tali riscossioni, essendo tolte altrui non senza mescolanza di colpa…

(Papa Gregorio Magno, Epistole, V, 41)

Le trattative con i Longobardi, comunque, continuarono, nonostante l’opposizione dell’esarca.

Nel 596 i Longobardi attaccarono la Campania e la Calabria, espugnando Crotone. Nel 597 la sorella dell’Imperatore Maurizio, Teoctista, inviò al papa 30 libbre d’oro, che permisero al pontefice di riscattare i prigionieri fatti nella presa di Crotone: “molti uomini e molte donne nobili sono stati portati via come preda e i figli sono stati separati dai genitori, i genitori dai figli e le mogli dai mariti”. Il denaro non fu però sufficiente a riscattare tutti i prigionieri, molti dei quali rimasero sotto la prigionia dei “nefandissimi Longobardi” (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 100).

LA FIRMA DELLA TREGUA
Nel 596 Romano perì e gli succedette Callinico, maggiormente disposto a raggiungere a una pace con i Longobardi. Prima che le trattative andassero in porto, però, Callinico si risolse a intraprendere delle campagne militari, così da trattare in una posizione di forza. Nel 598 il dux della Pentapoli, Bahan, conquistò un vasto territorio nel Piceno fino a Osimo, anche se la sua marcia vittoriosa venne arrestata dal duca di Spoleto presso Camerino. Alla fine del 598, Longobardi e Imperiali firmarono finalmente una pace, che probabilmente però era solo una tregua armata di tre anni, nonostante Paolo Diacono la definisca “fermissima” (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 101).

LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ E IL RITORNO ALLA PACE

Infatti già nel 601 riprese la guerra: Callinico aggredì Parma e la conquistò, facendo prigionieri la figlia di Agilulfo e il marito di lei. Ciò provocò la reazione furente di Agilulfo, che nel 601 espugnò Padova, nel 602 Monselice e nel 603 Cremona, Mantova e Vulturina. Nel 602, a causa delle sconfitte subite, Callinico venne destituito e sostituito con Smaragdo, che non poté far altro che accettare le perdite territoriali e implorare la pace, che venne rinnovata periodicamente per tutto il periodo del regno di Agilulfo (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 102). Nel frattempo nel 604 si spense Papa Gregorio Magno.