Il regno di Anastasio I

L’INCORONAZIONE DI ANASTASIO (491)

La sera del giorno dopo la morte di Zenone, il 10 dicembre 491, avvenne una riunione al palazzo imperiale tra il Senato, i ministri e il patriarca di Costantinopoli Eufemio, mentre una folla di cittadini e soldati si radunarono all’Ippodromo. L’imperatrice Ariadne, accompagnata dal gran ciambellano Urbicio, dal magister officiorum, il Castrensis, il Quaestor, e altri funzionari, ma non dal patriarca, fece il suo ingresso nell’ippodromo per rivolgersi alla popolazione che la accolse calorosamente al grido di “Lunga vita all’Augusta! Dai al mondo un imperatore ortodosso”. La risposta dell’Imperatrice, letta da un funzionario subordinato, fu la seguente: “Anticipando la vostra richiesta, abbiamo comandato agli illustri ministri, al sacro Senato, con l’approvazione delle coraggiose armate, di selezionare un imperatore cristiano e romano, munito di ogni virtù regale, che non sia schiavo del denaro, e, nel limite in cui può esserlo un uomo, libero da ogni vizio umano”. La popolazione rispose: “Ariadne Augusta, ci hai conquistato! O re celeste, dai al mondo un Basileus (imperatore) che non sia avaro!” Ariadne: “Affinché la scelta sia pura e piaccia a Dio, abbiamo comandato ai monistri e al senato, con il voto dell’esercito, di occuparsi dell’elezione, alla presenza dei Vangeli e del Patriarca, in modo che nessuno possa essere influenza da amicizie o inimicizie, o legami, o da qualunque altro motivo privato, ma possa votare con la coscienza pulita. Quindi, poiché la questione e delicata e riguarda le sorti del mondo, dovrete sopportare un breve ritardo, fino alla fine degli onori funebri a Zenone, in modo che l’elezione non sia precipitosa”. La popolazione rispose: “Lunga vita all’Augusta! Espelli il prefetto della città che è un ladro! Possa stare sempre bene, Augusta, se nessun forestiero è imposto ai Romani!” Ariadne: “Abbiamo già anticipato i vostri desideri. Prima di venire qui, abbiamo assunto l’illustre Giuliano come prefetto”. Il popolo: “Buona scelta! Lunga vita all’Augusta!”. Ariadne si ritirò nel palazzo, dove si tenne un concilio per discutere sull’elezione. Urbicio propose di lasciare la scelta ad Ariadne, e il Patriarca fu inviato per convocarla. Ella designò Anastasio, un silenziario, e il magister officiorum inviò il comes domesticorum e i protectores per andare a prelevare Anastasio dalla propria abitazione. Fu trattenuto per tutta la notte nel Consistorium e nel frattempo si svolse il funerale di Zenone.

Anastasio non era un cristiano ortodosso, probabilmente in parte a causa dell’influenza della madre ariana e di uno zio manicheo, e il suo zelo religioso lo aveva portato a tentare di convertire gli altri alle proprie opinioni. Si narra che, prima di diventare imperatore, usasse predicare regolamente le sue opinioni ben poco ortodosse e tacciate di essere eretiche nella basilica di Santa Sofia, di fronte a una platea selezionata. Questa condotta offese il patriarca Eufemio, che con l’autorizzazione dell’imperatore Zenone, lo espulse dalla chiesa. Nonostante queste opinioni religiose ben poco ortodosse, era apprezzato in generale per la sua pietà e liberalità. Anastasio viene descritto come di alta statura, intelligente, gentile, generoso e con perfetta capacità di autocontrollo. Comunque la scelta di Ariadne non fu gradita dal patriarca, che riteneva Anastasio indegno di governare i Cristiani. Non potè tuttavia fare niente di fronte al consenso del senato e dell’imperatrice, anche se riuscì almeno a ottenere che Anastasio fosse costretto a firmare una dichiarazione scritta di ortodossia in occasione della sua incoronazione. L’11 aprile 491 gli ufficiali vestiti in bianco si radunarono nel Consistorium, dove furono ricevuti da Anastasio, che lasciò il Consistorium e salì gli scalini del portico del triklinos dei Diciannove Akkubita. Qui, su richiesta dei senatori, giurò che non avrebbe perseguitato alcuna persona con cui aveva dei rancori, e che avrebbe governato coscienzosamente. Successivamente procedette all’Ippodromo, vestito con gli abiti imperiali entrò nel Kathisma. Acclamato dell’esercito, fu incoronato dal patriarca. Successivamente, rivolgendosi alla popolazione, promise una donazione di 5 nomismata e di una libbra d’argento a ogni soldato. Alcune settimane dopo, il 20 maggio, Anastasio sposò Ariadne.

LA GUERRA ISAURICA

Il nuovo imperatore dovette subito fronteggiare la grana costituita dagli Isauri, che avevano governato l’Impero per oltre un ventennio (Zenone era isauro). Gli Isauri non approvarono la designazione di Anastasio come successore di Zenone, essi avevano appoggiato invece la candidatura di Longino, fratello dello stesso Zenone. Disordini scoppiati nell’Ippodromo fornì presto ad Anastasio il pretesto per espellerli dalla capitale. La popolazione insorse chiedendo la destituzione dell’impopolare praefectus urbi Giuliano, dando poi fuoco all’ippodromo e distruggendo le statue di bronzo degli imperatori. L’imperatore ritenne opportuno destituire Giuliano sostituendolo con suo cognato Secundino, ma accusò gli Isauri di essere dietro alla rivolta e li espulse da Costantinopoli. Costrinse inoltre Longino a farsi prete e lo mandò in esilio in Tebaide, confiscando le proprietà di Zenone e rifiutandosi di pagare le 1400 libbre d’oro di sussidio che Zenone pagava ai suoi connazionali Isauri.

Nel frattempo, però, in Isauria era già scoppiata una rivolta, e ai ribelli si unirono ben presto gli esiliati. Si narra che l’esercito ribelle, condotto da Linginine e Atenodoro, potesse annoverare 100.000 soldati tra Romani e Isauri. Una battaglia ebbe luogo a Cotyaenum in Frigia tra l’esercito imperiale, condotto da Giovanni lo Scita e da Giovanni Gobba e gli Isauri, in cui questi ultimi furono pesantemente sconfitti. Nonostante le pesanti perdite subite, gli Isauri tuttavia rifiutarono la resa e si ritirarono sulle montagne dell’Isauria, opponendo strenua resistenza alle armate imperiali mediante una tattica basata sulla guerriglia non potendo più fronteggiare l’esercito imperiale in campo aperto. La guerra si protrasse stancamente fino al 498, quando l’ultima sacca di resistenza fu annientata e Longino di Selino fu catturato, torturato e ucciso a Nicea.

L’Imperatore insediò grandi colonie di Isauri in Tracia. Il potere degli Isauri era finito, ma non si può non riconoscere che essi furono fondamentali per porre fine al potere di Aspar ed evitare all’Oriente le stesse sorti dell’Occidente romano.

LA GUERRA CONTRO LA PERSIA

Nel 502, dopo sessant’anni di pace tra l’Impero e la Persia, scoppiò una nuova guerra. Fino al 483 l’Impero pagava alla Persia un sussidio come compenso per la difesa dei passi del Caucaso che gravava sui Persiani. Tuttavia nel 483 i Persiani, violando il trattato del 363 (che stabiliva che i Persiani avrebbero restituito la città di Nisibi ai Romani dopo 120 anni), si rifiutarono di restituire Nisibi ai Romani, non disposti a perdere una fortezza dalla fondamentale importanza strategica, e per tutta risposta Zenone cessò di pagare i Persiani per la difesa del Caucaso, decisione poi confermata dal suo successore Anastasio. In seguito alla sua restaurazione, Kavadh era in grandi ristretezze economiche, e doveva inoltre pagare gli Eftaliti come ricompensa per averlo aiutato a riprendersi il trono. Si rivolse dunque ad Anastasio chiedendogli del denaro, ricevendone però un rifiuto. Kavadh per tutta risposta dichiarò guerra all’Impero, dopo ottant’anni di pace (agosto 502).

L’esercito persiano invase l’Armenia ed espugnò Teodosiopoli grazie a un tradimento. Si mosse poi più a sud espugnando Martiropoli e assediando Amida, che cadde in mani persiane nel gennaio 503, dopo un assedio di alcuni mesi, si narra a causa della negligenza di alcuni monaci posti a guardia di una torre e che invece di fare il loro dovere si erano ubriacati prendendosi una bella sbornia. Gli abitanti che non furono uccisi furono condotti prigionieri, e i Persiani collocarono in Amida una guarnigione di 3.000 uomini. Anastasio, dopo alcune fallite negoziazioni di pace (aveva inviato l’ambasciatore Rufino in Persia proprio a tal uopo non appena scoppiò la guerra), si apprestò a rispondere con le armi. Tuttavia commise l’errore di dividere il comando tra tre generali, il magister militum per Orientem Areobindo (bisnipote di Aspar e genero dell’imperatore Olibrio) e i due magistri militum praesentalis Patrizio e Ipazio (nipote dello stesso Anastasio), ancora troppo inesperti per tale compito.

La controffensiva imperiale si aprì nel maggio 503 con un successo colto da Areobindo nei pressi di Nisibi, ma a causa della superiorità numerica del nemico il generale romano fu costretto a ritirarsi a Constantia. Le divisioni nell’esercito complicarono ulteriormente la situazione: Ipazio e Patrizio, che con 40.000 uomini stavano assediando Amida, rifiutarono di inviare rinforzi ad Areobindo, in quanto erano gelosi di lui. Ben presto i Persiani li attaccarono, costringendoli con il loro esercito ad attraversare l’Eufrate e a fuggire a Samosata (agosto 503). Nel frattempo Areobindo fu assediato da Kavadh a Edessa, dopo che il monarca persiano aveva tentato invano di impadronirsi di Constantia con la complicità degli Ebrei nella città, che avevano intenzione di consegnare la città al nemico; il complotto degli Ebrei fu tuttavia scoperto e sventato, e Kavadh si diresse a Edessa, che assediò invano per alcuni giorni (settembre 503). Si narra che Edessa ricevesse la protezione del Cristo contro qualunque assedio nemico.

Nel frattempo, all’inizio del 504, Anastasio si era reso conto dei danni cagionati dalle divisioni nell’esercito e richiamò Ipazio, affidando il comando supremo dell’esercito al magister officiorum Celere. Quest’ultimo invase e devastò l’Arzanene, mentre Areobindo invase la Persoarmenia e Patrizio tentò di riconquistare Amida. L’assedio di Amida si protrasse per tutto l’inverno fino all’anno successivo (505), allorquando la guarnigione, ridotta allo stremo dalla carestia, accettò la resa a condizioni favorevoli. I Romani pagarono ai Persiani 1000 libbre d’oro in cambio della resa di Amida. Nel frattempo, Kavadh era in guerra anche con gli Eftaliti, per cui ritenne opportuno entrare in negoziazioni con Celere, che si chiusero con la conclusione di una tregua settenale nel 505. Anche se la tregua non fu rinnovata alla scadenza, in realtà gli imperi rimasero in pace per più di vent’anni.

Subito dopo la conclusione della pace, Anastasio ordinò di rimediare a un enorme difetto nella difesa delle frontiere orientali mediante la costruzione della città fortificata di Dara (inizialmente chiamata Anastasiopoli in suo onore), a pochi chilometri dalla frontiera con la Persia e da Nisibi. La città fu completata mentre Kavadh era impegnato nella guerra contro gli Eftaliti. Il monarca persiano protestò, in quanto la costruzione di una nuova fortezza sulla frontiera violava i precedenti trattati di pace, ma non era nelle condizioni di cominciare una nuova guerra e fu sufficiente la diplomazia e il denaro ricevuto in dono dall’Imperatore per placarlo. Anastasio ne approfittò peraltro per rafforzare le mura di Teodosiopoli.

LE ALTRE MINACCE ESTERNE

Oltre alla Persia vi erano altre minacce esterne. L’Egitto era devastato dai Blemmi mentre la Cirenaica dai Mazici e il Ponto dagli Tzani. Nel 498 l’Eufratesia, la Siria e la Palestina furono invase dai Lakhmidi (Saraceni vassalli e alleati dei Persiani) che però furono sconfitti. Una seconda incursione lakhmide ebbe luogo quattro anni dopo, e fu seguita da un trattato di pace. Nel 515 la Cappadocia fu devastata da un’incursione dei Sabeiroi, mentre le province illiriche dovettero fronteggiare la nuova minaccia costituita dai Bulgari. Nel 493 i Bulgari invasero l’impero sconfiggendo l’esercito romano e uccidendo il magister militum Giuliano. Nel 499 si ebbe una nuova incursione in cui il magister militum per Illyricum Aristo perse più di un quarto della sua armata di 15.000 uomini in una battaglia contro i Bulgari. Una nuova devastante incursione avvenne nel 502. Anastasio, al fine di proteggere gli immediati sobborghi di Costantinopoli dalle incursioni dei Barbari, costruì le Lunghe Mura che andavano dalla Propontide al Mar Nero e si trovavano a circa quaranta miglia ad occidente di Costantinopoli. Nel 517 la Macedonia, l’Epiro e la Tessaglia furono devastate dai Barbari, che si spinsero fino alle Termopili. Come conseguenza di queste incursioni e di quelle precedenti, si ebbe lo spopolamento delle province illiriche e il declino della produzione agricola, con conseguente riduzione del gettito fiscale.

POLITICA ECCLESIASTICA E RIVOLTE INTERNE

Nonostante inizialmente Anastasio fosse popolare, le cose cambiarono ben presto. Il suo regno fu infatti caratterizzato da frequenti sedizioni a Costantinopoli, spesso provocate dalla sua politica ecclesiastica. Anastasio era infatti intenzionato a mantenere in vigore l’Henotikon di Zenone a causa del suo monofisismo. Questo lo portò in contrasto con il patriarca Eufemio, di zelante fede calcedoniana. Eufemio, all’oscuro dell’imperatore, aveva scritto a Papa Felice, invocando il suo aiuto nella lotta contro il Patriarca di Alessandria, che aveva anatemizzato il Concilio di Calcedonia e il Tomo di Leone. Non aveva fatto i conti con i patriarchi monofisiti di Alessandria e di Gerusalemme, che informarono l’Imperatore che Eufemio era “eretico” (secondo il loro punto di vista; in realtà erano loro, in quanto monofisiti, ad essere eretici). Nel 496 si tenne un concilio a Costantinopoli che confermò l’Henotikon e depose Eufemio. Questo portò a una rivolta, e la popolazione, accorrendo all’ippodromo, supplicò invano a restaurare il Patriarca. Fu Macedonio il nuovo patriarca, che, pur essendo calcedoniano, non si fece scrupoli nel firmare l’Henotikon.

Una nuova rivolta nell’Ippodromo ebbe luogo nel 498. Il prefetto della città aveva arrestato alcuni membri dei Verdi perché rei di lanciare sassi. I Verdi chiesero la loro liberazione, ma quando al contrario Anastasio convocò gli Excubitores per giustiziarli, vi fu una grande insurrezione. Una delle pietre lanciate dagli insorti colpì Anastasio, e il colpevole dell’attentato all’imperatore fu ucciso immediatamente dagli Excubitores. I Verdi insorti diedero fuoco alla porta di bronzo dell’Ippodromo e l’incendio si diffuse anche in direzione del Forum di Costantinopoli. Gli insorti furono puniti severamente, ma l’Imperatore decise comunque di venire in parte incontro alle loro richieste, assumendo un nuovo praefectus urbi, Platone.

La festività pagana delle Brytae, celebrata con danze, cagionava di frequente rivolte, e in una di esse, avvenuta nel 501, un figlio illegittimo dell’imperatore fu ucciso. Di conseguenza l’imperatore proibì la celebrazione di questa festività in tutto l’Impero, “privando le città delle danze più belle” secondo una fonte coeva. Due anni prima, nel 499, l’Imperatore aveva abolito le lotte con animali feroci.

Nel 511 i Monofisiti accusarono il patriarca di Costantinopoli, Macedonio, di cospirazione ai danni dell’Imperatore, e il patriarca, che nel frattempo non nascondeva più la propria ortodossia, di conseguenza fu deposto in un concilio locale nell’agosto 511. Gli ortodossi non presero le difese del patriarca e anzi appoggiarono la sua deposizione, in quanto si era reso reo di aver rinunciato alla professione di ortodossia nell’atto della sua incoronazione con la firma dell’Henotikon. Gli succedette il monofisita Timoteo. Anastasio aveva infatti deciso di appoggiare più apertamente il monofisismo.

Nel frattempo il monaco monofisita Severo di Sozopolis era arrivato già da alcuni anni a Costantinopoli insieme a duecento suoi seguaci e causò scandali e rivolte facendo in modo che nella liturgia a Santa Sofia fosse aggiunto un pezzo di frase di origine monofisita. La domenica del 4 novembre 512 la folla ortodossa disturbò con le urla la recita della liturgia dei preti eretici, e gli scontri conseguenti furono tali che Marino e il prefetto della città Platone intervennero con le forze armate. Alcuni furono uccisi e altri imprigionati. Gli scontri proseguirono il giorno successivo, e nel giro di pochi giorni assunsero le proporzioni di una vera e propria rivolta. Giovedì 6 novembre 512 la popolazione ingiuriò le statue di Anastasio e proclamò loro imperatore il generale Areobindo, marito di Giuliana Anicia, appartenente a sua volta alla dinastia teodosiana (suo nonno era l’imperatore d’Occidente Valentiniano III). Il magister officiorum Celere e il magister militum praesentalis Patrizio tentarono la pacificazione, ma furono cacciati a suon di sassate dai ribelli, che nel frattempo diedero alle fiamme la casa di Marino. Il giorno successivo Anastasio comunicò alla popolazione di essere pronto ad abdicare, e apparve senza corona. La popolazione chiese che Marino e Platone fossero dati in pasto agli animali feroci. Ma Anastasio riuscì a placare il tumulto. La popolazione lo implorò di rimettersi la corona e promise di comportarsi bene da quel momento in poi.

Nè Ortodossi nè Monofisiti esigevano il ripudio dell’Henotikon, perché esso era formulato in maniera volutamente ambigua in modo tale che per i Monofisiti esso condannava le dottrine di Calcedonia, mentre per gli Ortodossi non lo faceva affatto. Vi era poi un partito intermedio, appoggiato tra gli altri da Flaviano di Antiochia. A rendere difficile la preservazione della pace contribuì anche l’agitazione dei Monaci Insonni del monastero di Studion, accerrimi avversari dell’Henotikon, rimasti in comunione con la chiesa di Roma. Nel tentativo di porre fine allo scisma, Papa Anastasio II, nel corso del suo breve pontificato, fece una concessione equivalente a una accettazione parziale dell’Henotikon, promettendo di ritirare la richiesta dei predecessori di espungere dall’elenco dei patriarchi il nome di Acacio. Questa proposta lo rese poco amato dai Cattolici e Dante lo inserì nei dannati nella Divina Commedia. I suoi successori rifiutarono il compromesso.

Nel frattempo, nel 512 il moderato patriarca di Antiochia Flaviano fu deposto e fu sostituito dal pisida Severo, monofisita zelante. Nel 513 convocò un sinodo a Tiro che condannò il concilio di Calcedonia e confermò l’Henotikon, interpretato nella lettura monofisita. I Monofisiti presero misure estreme e perseguitarono i Cattolici. La politica ecclesiastica dell’imperatore portò a una rivolta in Tracia.

POLITICA FINANZIARIA

Anastasio, all’ascesa al trono nel 491, si ritrovò con il bilancio dello stato sull’orlo della bancarotta, complice la costosa e fallimentare spedizione di Leone I contro i Vandali del 468. Con una politica finanziaria accorta e efficiente, Anastasio I ebbe il merito di salvare lo stato dalla bancarotta.

I soldi risparmiati in altro modo gli permisero di abolire nel maggio 498 la collatio lustralis, o Chrysargyron, imposta che gravava pesantemente sui ceti più poveri della popolazione. Questo atto gli permise di acquisire grande popolarità. Secondo una cronaca dell’epoca, quando la notizia dell’abolizione di tale tassa si diffuse nella città mesopotamica di Edessa, l’intera città esultò e festeggiò per l’intera settimana tale lieto evento, e fu deciso di festeggiare questo evento ogni anno. Anastasio compensò la conseguente perdita di entrate fiscali conseguente all’abolizione delle tasse attraverso le confische delle proprietà di Zenone e dei ribelli Isauri, che portarono a un incremento delle entrate provenienti dalle tenute imperiali. Anastasio peraltro istituì un nuovo ministro delle finanze, il cosiddetto Comes Patrimonii, che avrebbe amministrato i terreni imperiali di nuova acquisizione. Anastasio riformò il metodo di raccogliere l’annona, esonerando da tale gravame le corporazioni cittadine e affidandolo a ufficiali denominati vindices, probabilmente di nomina prefettizia (li nominava il prefetto del pretorio). Le opinioni sono divise se tale riforma fosse stata positiva o meno: da un lato fu accusata di aver impoverito le province, dall’altro fu lodata per aver sgravato i contadini da un pesante gravame. Per prevenire la possibile corruzione dei vindices compiuta dai proprietari terrieri più opulenti per conservare i propri privilegi, Anastasio decise di rinforzare l’autorità dei defensores e dei vescovi, muniti della responsabilità di proteggere i diritti dei sudditi dall’oppressione degli ufficiali. I critici della riforma accusarono i vindices di trattare le città come comunità ostili.

La riforma fu probabilmente opera del prefetto del pretorio Marino ed ebbe l’effetto di incrementare considerevolmente il gettito fiscale e le entrate private del prefetto del pretorio.

Grazie alle sue riforme fiscali Anastasio salvò lo stato dalla bancarotta lasciando alla sua morte 320.000 libbre d’oro nelle casse dello stato. Ciò fu ottenuto attraverso un controllo rigoroso delle spese e una notevole riduzione delle spese di corte, e ciò lo rese impopolare presso i nobili e gli ufficiali, che lo accusarono di avarizia, vizio del quale del resto erano noti per un luogo comune i nativi di Dyrrhachium, dov’era nato. In realtà Anastasio non mancò di mostrare generosità, e con le sue riforme riuscì a salvare lo stato dalla bancarotta e lo fece riuscendo non ad aumentare ma addirittura ridurre i gravami pubblici. Vi fu addirittura chi lo paragonò all’imperatore Nerva per la sua mitezza. Se non avesse avuto opinione eretiche, gli storici avrebbero solo lodato l’imperatore Anastasio.

Inoltre Anastasio fu l’autore di una importante riforma monetaria, introducendo un grande follis di rame, equivalente a quaranta sesterzi, con monete più piccole dal valore di venti, dieci e cinque sesterzi.

Anastasio realizzò inoltre importanti e utili opere pubbliche. Costruì in Bitinia un canale connettente il golfo di Nicomedia con il lago Sofone, realizzando un vecchio progetto di Plinio il giovane. Riparò, concedendo fondi, i danni causati da terremoti, guerre, costruì bagni e acquedotti.

LA RIVOLTA DI VITALIANO E LA MORTE DI ANASTASIO (513-518)

A causa della politica religiosa ed economica Anastasio si fece molti nemici e ben presto qualcuno tentò di detronizzarlo. Nel 513 il comes foederatum Vitaliano, comandante di mercenari bulgari insediati in Tracia, si rivoltò con il pretesto della condotta del magister militum per Thraciam Ipazio, reo di aver privato i Foederati delle provviste a loro spettanti. Vitaliano aspirava in realtà al trono, e si presentò come il campione della causa ortodossa, nel tentativo di ottenere l’appoggio di coloro che non approvavano la politica eretica di Anastasio.

Vitaliano, alla testa di 50.000 uomini, marciò su Costantinopoli, speranzoso di ottenere l’appoggio della popolazione. Il magister militum praesentalis Patrizio conferì con il ribelle, che spiegò che si era rivoltato per vendicare le iniquità commesse da Ipazio e per sostenere la causa degli ortodossi contro l’imperatore eretico. Allora Patrizio propose che lui e i suoi principali ufficiali si recassero a Costantinopoli il giorno successivo per discutere della questione con l’imperatore. Vitaliano rifiutò ma i suoi ufficiali accettarono e il giorno dopo Anastasio riuscì a placarli con doni e promesse. Vitaliano fu così costretto a ritirarsi per il momento in Mesia Inferiore. Nel frattempo Ipazio fu deposto e sostituito da Cirillo, che si recò in Mesia Inferiore per catturare Vitaliano, ma senza successo, dato che fu assassinato. Vitaliano fu proclamato hostis publicus (nemico pubblico), e nell’autunno 513 l’unno Alataro, succeduto a Cirillo, e il nipote di Anastasio, Ipazio, marciarono contro il ribelle con un’armata di 80.000 soldati. A una prima vittoria seguirono dei gravi rovesci, in uno dei quali i Romani persero 60.000 uomini. Ipazio fu catturato dai ribelli, che conquistarono le province di Mesia e Scizia. Nel frattempo ci fu un’insurrezione a Costantinopoli, dovuta al divieto della celebrazione delle festività impartito dall’Imperatore. Questo incidente contribuì a rendere Anastasio maggiormente disposto a negoziare con il ribelle quando nel 514 apparve di nuovo alle porte di Costantinopoli. Il magister militum praesentalis Giovanni fu inviato a negoziare con Vitaliano. Vitaliano fu nominato magister militum per Thraciam e Ipazio fu riscattato al prezzo di 9.000 libbre d’oro. Inoltre le condizioni prevedevano la convocazione di un concilio da tenersi a Heraclea l’anno successivo, il 1 luglio 515. Tuttavia il concilio non si tenne, per cui Vitaliano, ritenuti violati i patti, riapparve di nuovo minaccioso alle porte della Capitale. Una battaglia navale ebbe luogo nei pressi della capitale, in cui la flotta imperiale condotta da Marino ebbe nettamente la meglio sui ribelli. Dopo aver subito pesanti perdite, Vitaliano fuggì ad Anchialo, dove rimase per tre anni.

Anastasio si spense nella notte tra l’8 e il 9 luglio dell’anno 518, tre anni dopo sua moglie Ariadne.