La fornitura di grano per la città di Roma in età tardo-imperiale

APPROVVIGIONAMENTO DI ROMA

Rifornire la popolazione della Capitale di grano, vino, olio e di altri alimenti è stato per secoli uno dei primi compiti del governo romano. Quanto fosse pericoloso fallire in questo per la pace della città e per la sicurezza dei ceti più agiati, lo si evince dall’epistolario di Simmaco. Mentre i Goti erano in marcia per il Sannio e per il Bruzio, o Gildone o Eracliano o successivamente i pirati Vandali bloccavano i rifornimenti di grano dall’Africa, il governo si trovava in immani difficoltà nel provvedere alla sussistenza quotidiana di una popolazione immensa.

Un numero immenso di funzionari pubblici, Navicularii, Pistores, Suarii, Pecuarii, aveva la responsabilità di provvedere al sostentamento di tale popolazione. È evidente, dalla legislazione di Onorio, che tale parte dell’amministrazione imperiale ebbe enormi problemi nell’adempiere al proprio dovere, come conseguenza dell’interruzione dell’arrivo di grano dall’Africa dapprima a causa della rivolta di Gildone, e infine per quella di Eracliano.

Uno dei problemi maggiori per il governo era impedire ai membri di queste corporazioni di disertare ed evadere dai loro obblighi di natura ereditaria. La tendenza del tardo impero era vincolare i figli a svolgere il lavoro dei padri. Ogni fuga era proibita. Agli uomini non era concesso di sposarsi al di fuori della loro corporazione. Se la figlia di un lavoratore appartenente a una determinata corporazione avesse sposato un uomo appartenente a una corporazione diversa da quella del padre di lei, il marito sarebbe stato vincolato a svolgere il lavoro del padre di lei, il suocero. I corporati in compenso godevano di certi privilegi, esenzioni, e le persone a capo di queste corporazioni potevano ricevere il titolo di Comes, ma le loro proprietà, come le loro persone stesse, erano proprietà dello stato. Mantenere un tale sistema di società statica, impedendo ogni evasione da tale rigidità, richiedeva vigilanza costante.

I navicularii, oppressi dai loro obblighi, spesso prolungavano i loro viaggi fino a due anni, per evadere dai loro doveri, con gravi conseguenze: poteva capitare che mentre la città soffriva la carestia ed era in attesa dell’arrivo dei navicularii con i rifornimenti attesi, costoro si attardavano a lungo nei porti rinviando la loro partenza con qualche pretesto, oppure effettuavano viaggi allungati a dismisura a loro profitto. Talvolta i capitani entravano nelle loro navi sotto un altro nome, probabilmente quello di qualche persona di grande importanza, in modo da sfuggire alle proprie responsabilità. I funzionari, che dovevano provvedere al trasporto, spesso erano rei di malversazioni o di negligenza nel loro operato. Le tenute per la funzione furono ritirate da esso con vendite fraudolente.

Intorno al 450 la corporazione dei navicularii si era talmente ridotta di numero per via della diserzione dei propri membri che l’Imperatore fu costretto a ordinare la restaurazione di tutte le persone e tenute alla funzione che loro spettava in precedenza. Un altro editto del 455 obbligò il ritorno alle loro corporazioni di tutti i corporati che avevano disertato i propri doveri, per entrare nell’esercito o nella Chiesa. Un similare comando fu trasmesso nel 412 a tutti i governatori delle province per costringere il ritorno di tutti i corporati della città di Roma che erano migrati dall’Italia. Tale legge, tuttavia, non si riferiva all’evasione da incarichi onerosi, ma alla fuga di massa da tutte le cariche, che aveva avuto luogo durante l’invasione di Alarico, e della quale si possiedono vividi resoconti da San Girolamo e Rutilio Namaziano.