La guerra iberica

UNA NUOVA GUERRA CONTRO LA PERSIA

Il re persiano Kavadh era ansioso di risolvere il problema della successione, essendo ormai anziano. Voleva che a succedergli fosse Cosroe, il figlio prediletto. Ma Cosroe non era il primogenito, e Kavadh temeva che i nobili persiani avrebbero fatto in modo che a regnare fosse un altro dei suoi figli e avrebbero mandato Cosroe a morte. Di conseguenza concepì l’idea di porre Cosroe sotto la protezione dell’Imperatore romano (di Costantinopoli), chiedendo a Giustino I di adottare Cosroe. In un primo momento Giustino e Giustiniano sembrarono propensi ad accettare, ma furono convinti dal quaestor Proclo a rifiutare, sulla base del fatto che se l’avessero adottato il monarca persiano avrebbe potuto avanzare rivendicazioni al trono romano (bizantino). Ovviamente Kavadh rimase contrariato al rifiuto della sua proposta, e inoltre la contesa delle regioni caucasiche contribuì a far scoppiare un nuovo conflitto tra le due potenze.

Le province pontiche, così come l’Armenia romana, pativano da tempo le depredazioni degli Tzani, un popolo pagano che viveva di brigantaggio. Giustino inviò Sitta, cognato di Teodora, a sottomettere gli Tzani. Riuscì nell’intento, reclutandoli negli eserciti romani e convertendoli al Cristianesimo. Dopo la sottomissione degli Tzani, nuovi problemi si profilavano all’orizzonte. Le due potenze giunsero a contendersi il controllo dei territori caucasici, ovvero la Lazica (Colchide), l’Iberia (Georgia) e l’Albania. In particolare il controllo della Lazica risultava per i Romani di fondamentale importanza strategica, in quanto risultava costituire una barriera contro una possibile avanzata persiana attraverso l’Iberia fino alle coste del Mar Nero.

Nel corso del regno di Giustino I, il re lazico Tzath, in precedenza in relazioni amichevoli con la Persia, si recò in visita a Costantinopoli e divenne cliente dell’Imperatore. Questo avvenimento potrebbe aver contribuito allo scoppio di un nuovo conflitto tra le due potenze. Inoltre vi era anche la questione dell’Iberia, stato cliente della Persia di fede cristiana. Di fronte ai tentativi sasanidi di assimilarla alla civiltà persiana o di trovare un pretesto di invaderla, il re iberico Gurgene cercò la protezione dell’Imperatore romano. Giustino inviò un’armata a invadere la Lazica e occupare i forti della Lazica ai confini con l’Iberia, mentre l’esercito persiano invadeva l’Iberia, costringendo Gurgene e l’intera famiglia reale a fuggire a Costantinopoli. Nel frattempo i generali romani Sitta e Belisario compirono una vittoriosa incursione persarmenia. Una seconda incursione fallì in quanto i Romani furono sconfitti da due abili comandanti persiani, Narsete e Arazio, che in seguito disertarono e si arruolarono nell’esercito romano.

A questo punto Giustino I morì e gli succedette Giustiniano, che ordinò al dux Mesopotamiae Belisario di far costruire una nuova fortezza nelle vicinanze della città fortificata di frontiera di Dara. Tuttavia, mentre i lavori di costruzione erano ancora in corso, nel 528 un’armata persiana di 30.000 soldati condotta dal principe Serse invase la Mesopotamia, e sconfisse i Romani in battaglia, radendo al suolo le fondamenta della fortezza. Anche i vincitori avevano subito pesanti perdite e presto si ritirarono oltre la frontiera. Giustiniano rinforzò le guarnigioni delle fortezze di Amida, Constantia, Edessa, Sura e Beroea, e inviò un nuovo esercito (costituito da Illiri, Traci, Sciti e Isauri) sul fronte orientale, affidandone il comando a Pompeo, probabilmente da identificare con il nipote di Anastasio. Non sono attestate ulteriori operazioni militari per l’anno 528, che si chiuse con un inverno rigido.

Nel marzo 529 Mundhir, re di Hira, alla testa di un esercito di Persiani e di Saraceni, penetrò in Siria, fino alle mura di Antiochia, e si ritirò con tale sveltezza che i Romani non poterono intercettarlo. Per rappresaglia un’armata di Frigi saccheggiarono nel mese di aprile il territorio persiano e saraceno. Pompeo sembrò non aver combinato nulla, mentre Belisario fu nominato magister militum per Orientem. Il resto dell’anno fu trascorso in negoziazioni che non portarono a niente.

LA PRIMA VITTORIA DI BELISARIO

Nel frattempo, nel 530, il magister militum per Orientem Belisario ottenne il suo primo grande successo militare all’età di venticinque anni. Coadiuvato dal magister officiorum Ermogene, radunò a Dara un esercito di 25.000 soldati. Nel frattempo Perozes, mihran o comandante dell’esercito persiano, arrivò a Nisibi nel mese di giugno dell’anno 530 alla testa di 40.000 truppe. Confidente della vittoria, con il suo esercito intendeva espugnare la città fortificata di Dara, difesa da Belisario. A due miglia da Dara, il mihran inviò a Belisario un messaggio sfrontato con cui chiedeva al generale di preparargli il bagno per quando sarebbe entrato da vincitore all’interno di quelle mura.

I Romani si prepararono all’imminente battaglia. I Persiani arrivarono puntualmente, come da preavviso, e trascorsero un’intera giornata in schieramento da battaglia senza avventurarsi ad attaccare i Romani, ben posizionati dal loro generale Belisario. La sera i Persiani si ritirarono al loro accampamento e tornarono all’attacco il mattino successivo. Furono rinforzati da 10.000 soldati da poco giunti da Nisibi.

Questa fu la descrizione della battaglia fattane da Procopio, testimone oculare del conflitto in quanto all’epoca segretario dello stesso Belisario:

Quando Belisario ed Ermogene ebbero finito quest’esortazione, poiché videro i Persiani avanzare contro di loro, schierarono frettolosamente i soldati nello stesso modo di prima. I barbari, giunti prima di loro, presero posizione di fronte ai Romani. Il mirranes, però, non dispose tutti i Persiani contro il nemico, ma soltanto metà di loro, mentre permise che gli altri rimanessero dietro. Questi dovevano sostituire gli uomini che erano in combattimento e piombare sui loro avversari con il proprio vigore intatto, di modo che tutti potessero combattere con una rotazione costante. Ordinò che solo il reparto dei cosiddetti Immortali rimanesse a riposo fino a che egli stesso non avesse dato il segnale. Egli prese posizione al centro dello schieramento, mentre Pityaxes comandò l’ala destra e Baresmanas la sinistra. In questo modo, quindi, entrambi gli eserciti si schierarono. Allora Pharas si recò presso Belisario ed Ermogene e disse: “Non mi sembra che causerò al nemico un così gran danno se rimarrò qui con gli Eruli; ma se ci celassimo su questo pendio, e poi, quando i Persiani avranno cominciato la lotta, ci arrampicassimo su questa collina ed improvvisamente giungessimo sulle loro linee, piombando da dietro, con tutta probabilità causeremmo loro un danno maggiore”. Parlò così, e, essendo piaciuto a Belisario e al suo personale, misero in atto questo piano. Ma fino a mezzogiorno né l’uno né l’altro schieramento cominciò la battaglia. Non appena, in ogni modo, il mezzogiorno fu trascorso, i barbari iniziarono la lotta, dopo aver posticipato lo scontro fino a questo periodo del giorno, poiché sono soliti dividere il cibo soltanto verso sera, mentre i Romani pranzano prima di mezzogiorno; per questo motivo pensarono che i Romani non avrebbero mai resistito così bene, se li avessero assaliti mentre erano affamati. Inizialmente, quindi, entrambi gli schieramenti si scagliarono le frecce a vicenda, ed i dardi per il loro gran numero crearono, come fu, un’ampia nube; molti uomini cominciarono a cadere su entrambi i lati, ma i proietti dei barbari giungevano in numero molto più fitto. Uomini freschi, infatti, andavano sempre a combattere a turno, non permettendo al nemico alcun’occasione d’osservare che cosa stava avvenendo; ma anche così i Romani non ebbero la peggio. Un vento costante, infatti, soffiò dal loro lato contro i barbari, e ridusse in modo considerevole la forza delle loro frecce. Allora, dopo che entrambi i lati ebbero esaurito tutti i loro proiettili, cominciarono ad utilizzare le lance gli uni contro gli altri, e la battaglia sisvolse ancora di più in ambiente ristretto. Dal lato romano l’ala sinistra soffrì particolarmente. I Cadiseni, infatti, che stavano lottando con Pityaxes in quel punto, accorrendo improvvisamente in gran numero, sbaragliarono il loro nemico, e gettandosi duramente sui fuggitivi, ne uccisero molti. Quando questo fu osservato dagli uomini sotto Sunica ed Aïgan, questi si gettarono contro di loro a gran velocità. Ma prima i trecento Eruli sotto Pharas dalla cima della collina giunsero alle spalle del nemico e compirono una meravigliosa mostra di atti valorosi contro tutti e particolarmente contro i Cadiseni. I Persiani, vedendo le forze di Sunica già piombare contro di loro sul fianco, si diedero ad una fuga affrettata. La disfatta divenne completa, dato che i Romani in quel punto unirono le forze con tutti gli altri, e ci fu una grande strage di barbari. Dell’ala destra persiana non meno di tremila uomini perirono in quest’azione, mentre il resto fuggì con difficoltà alla falange e si salvò. I Romani non proseguirono l’inseguimento, ma entrambi i lati presero le loro posizioni volgendosi in linea. Tale fu il corso di questi eventi. Ma il mirranes di nascosto inviò a sinistra un gran corpo di truppe e con loro tutti i cosiddetti Immortali. Quando questi furono notati da Belisario ed Ermogene, ordinarono ai seicento uomini sotto Sunica ed Aïgan di andare all’angolo destro, dove erano state disposte le truppe di Simma e Ascan, e dietro di loro posizionarono molti degli uomini di Belisario. Così i Persiani che stavano tenendo l’ala sinistra sotto la guida di Baresmanas, insieme agli Immortali, si gettarono di corsa sui Romani di fronte a loro, che non riuscirono a sostenere l’attacco e batterono in una ritirata affrettata. Subito dopo i Romani nell’angolo, e tutto quelli che erano dietro di loro, avanzarono con grande ardore contro gli inseguitori. Ma poiché piombarono sui barbari dal lato, tagliarono il loro esercito in due parti, e la maggior parte di esso si trovò alla loro destra, mentre alcuni altri che rimasero dietro furono lasciati alla loro sinistra. Fra questi accadde che si trovasse il porta-stendardo di Baresmanas, che Sunica caricò e colpì con la lancia. I Persiani, che già stavano conducendo l’inseguimento, compresero in che strettezze fossero, e, voltisi indietro, arrestarono l’inseguimento ed andarono contro i loro aggressori, e così furono esposti al nemico da entrambi i lati. Quelli in fuga, infatti, compresero prima di loro che cosa stesse accadendo e si voltarono di nuovo indietro. I Persiani, da parte loro, con il reparto degli Immortali, vedendo lo stendardo inclinato e gettato a terra, corsero velocemente tutti insieme contro i Romani in quel punto con Baresmanas. Là i Romani tennero la loro posizione. Per primo Sunica uccise Baresmanas e lo gettò a terra dal suo cavallo. In conseguenza di ciò i barbari furono assaliti da gran timore e non pensarono più a resistere, ma fuggirono nella totale confusione. I Romani, creato un cerchio intorno a loro, ne uccisero circa cinquemila. Così entrambi gli eserciti si posero in movimento, i Persiani in ritirata ed i Romani all’inseguimento. In questa fase del conflitto tutti i fanti che erano nell’esercito persiano gettarono via i loro scudi e furono colpiti e tranquillamente uccisi dal nemico. Tuttavia, l’inseguimento non fu continuato dai Romani su una gran distanza. Belisario ed Ermogene, infatti, si rifiutarono assolutamente di lasciarli andare più lontano, temendo che i Persiani per una qualche necessità si voltassero indietro e li sgominassero mentre l’inseguivano imprudentemente, sembrò a loro sufficiente conservare la vittoria conseguita. Quel giorno, infatti, i Persiani erano stati sconfitti in battaglia dai Romani, cosa che non accadeva da molto. Così i due eserciti si separarono. I Persiani non vollero più affrontare una battaglia campale con i Romani. Tuttavia, furono portati da entrambi i lati alcuni attacchi improvvisi, in cui i Romani non erano in una posizione sfavorevole. Tale, allora, fu la sorte degli eserciti in Mesopotamia.

Dunque Belisario ottenne una grande vittoria campale sui Persiani a Dara, riuscendo a difendere l’importante fortezza dall’attacco nemico. Al contempo gli eserciti romani conseguirono dei successi in Persarmenia. Dopo la sconfitta di Dara, Kavadh si mostrò più disposto a negoziare la pace e le trattative tra le due corti ripresero. Nel frattempo però, nel 529, i Samaritani, setta religiosa perseguitata dall’impero, si erano rivoltati e pianificavano di consegnare Gerusalemme e la Palestina ai Persiani. Il complotto fu però scoperto e sventato. I Samaritani nel frattempo erano riusciti però a convincere il re persiano a interrompere le negoziazioni appunto nella promessa di assicurargli il possesso di Gerusalemme e della Palestina.

LA SCONFITTA DI CALLINICUM

Nella primavera dell’anno 531, su istigazione del capo dei Lakhmidi, Alamundaro o Mundhir, quindicimila guerrieri persiani attraversarono l’Eufrate nei pressi di Circesium con il proposito di invadere la Siria. Dopo aver saccheggiato alcune città, i Persiani si ritirarono carichi di bottino, inseguiti da Belisario che tuttavia non riteneva prudente venire a battaglia con un nemico che già si stava ritirando. Tuttavia l’esercito si rivoltò ai suoi propositi, desideroso di venire a battaglia, e lo costrinse ad attaccare l’esercito persiano nei pressi di Callinicum il giorno di Pasqua (19 aprile 531). I Persiani conseguirono una vittoria di Pirro, riportando pesanti perdite. Le fonti superstiti sono discordi riguardo le responsabilità di Belisario: Procopio difende l’operato del generale, sostenendo che Belisario smontò da cavallo, e guidò i suoi uomini nell’audace resistenza contro le cariche della cavalleria persiana; altre fonti (Giovanni Malala) attribuiscono questa prova di valore ai comandanti unni Sunicas e Simas, e riferiscono che Belisario fu accusato di essere fuggito vilmente a battaglia ancora in corso e di essersi rifugiato a Callinicum. I Persiani si ritirarono mentre i resti dell’esercito romano trovò riparo a Callinicum. Il magister officiorum Ermogene avvisò immediatamente Giustiniano della sconfitta subita, e l’imperatore inviò Costanziolo per indagare sulle cause della sconfitta. In seguito a tale inchiesta, Belisario fu destituito dalla carica di magister militum per Orientem, sostituito in tale ruolo da Mundo. Nel frattempo però anche il generale persiano Azarete, avendo ottenuto soltanto una vittoria di Pirro e non avendo conquistato Antiochia né alcuna città di rilievo, fu destituito.

LA PACE ETERNA

Il nuovo magister militum per orientem Mundo sventò due tentativi persiani di espugnare Martiropoli, mentre la morte del vecchio re Kavadh, succeduto il 13 settembre 531 da suo figlio Cosroe I, portò alla conclusione della cosiddetta “Pace Eterna”. Le trattative, protrattasi per l’intero inverno 531-532 in quanto i Persiani non erano disposti a rinunciare ai forti conquistati in Lazica, ebbero la loro conclusione con la firma del trattato nella primavera del 532. I Romani restituirono ai Persiani due fortezze importanti nella Persarmenia, accettarono di pagare 11.000 libbre d’oro ai Persiani per la difesa dei passi caucasici, di spostare la sede del dux Mesopotamiae da Dara a Constantina, e di lasciare libera sceltà ai rifugiati iberiani a Costantinopoli se rimanere lì o fare ritorno nella loro patria. Il trattato non alterò le frontiere tra l’Armenia romana e quella persiana.

Giustiniano sfruttò la pace con la Persia per espandere i confini dell’impero con le riconquiste di Africa e di Italia. Prima però dovette fronteggiare una grave insurrezione che mise fortemente a rischio il suo trono. Di tutto ciò se ne tratterà in seguito.