La politica religiosa di Giustiniano

LA POLITICA RELIGIOSA DI GIUSTINIANO

L’imperatore Giustiniano I con il suo seguito, Ravenna, Basilica di San Vitale.

Giustiniano interferì e intervenne nelle questioni religiose più di ogni suo predecessore. Secondo la sua concezione autocratica e cesaropapista l’imperatore era a capo sia delle questioni secolari che di quelle religiose. Perseguitò tutte le minoranze religiose, dai Cristiani Eretici ai Samaritani e agli Ebrei e Pagani, con leggi discriminatorie che restringevano i loro diritti civili. Secondo la sua concezione l’Imperatore aveva il dovere di correggere coloro che avevano scelto la religione “sbagliata” e di costringerli alla conversione all’unica accettata, il Cristianesimo così come definito dal Concilio di Calcedonia del 451.

Giustiniano incrementò l’autorità dei vescovi conferendo loro poteri giudiziari e amministrativi e affidando loro mansioni tipiche dei “defensores civitatis”. Favorì inoltre lo sviluppo del Monachesimo e la nascita di nuovi monasteri in tutto l’Impero. Giustiniano inoltre divise in due il vicariato ecclesiastico dell’Illirico in modo da incrementare il prestigio di Iustiniana Prima (città fondata dallo stesso Giustiniano nei pressi del suo villaggio natale) che divenne la sede di uno dei due vicari. L’Illirico rimase comunque sotto la giurisdizione del Papa ma fu diviso in due vicariati.

LA PERSECUZIONE DEL PAGANESIMO

Giustiniano perseguitò anche i Pagani. Nel 542 inviò il vescovo monofisita Giovanni da Efeso in Asia, Frigia, Lidia e Caria con il compito di convertire i pagani. Nella sua storia ecclesiastica Giovanni da Efeso si vantò di aver convertito 70.000 pagani, di aver distrutto i loro templi, di aver edificato 96 chiese e 12 monasteri. Anche gli ultimi templi pagani in Egitto furono chiusi.

Nel 529 Giustiniano chiuse l’Accademia di Atene, dopo che i suoi professori avevano rifiutato di abbracciare pubblicamente il Cristianesimo avendo convinzioni pagane. I professori dell’Accademia cercarono asilo in Persia alla corte dello scià Cosroe I il quale si sentì onorato del loro arrivo e li pregò di rimanere promettendo loro grandi onori. Tuttavia, con il passare del tempo, i professori rimpiansero di essere migrati in Persia e chiesero di tornare in territorio romano-orientale. Cosroe acconsentì e volle che nella pace del 532 fosse inserita una clausola con il quale Giustiniano si impegnava a permettere il ritorno dei professori dell’Accademia e a non perseguitarli.

I RAPPORTI CON I MONOFISITI E LA CONTROVERSIA DEI TRE CAPITOLI

Il rapporto tra Giustiniano e i Monofisiti fu controverso. Se da un lato li avversava, dall’altro cercò di trovare un compromesso con loro, complice anche il fatto che sua moglie, l’imperatrice Teodora, essendo ella stessa monofisita, li proteggeva.

Nel 529 Giustiniano tentò di riconciliarsi con i monofisiti revocando l’esilio dei loro vescovi. Intendeva convocare una riunione, non un sinodo vero e proprio, dove discutere la controversa. La riunione si tenne nel 531 ma non portò a risultati e Leonzio rifiutò di prendervi parte, malgrado i continui solleciti dell’imperatore. Malgrado questo primo fallimento Giustiniano non si arrese e cercò di proporre una formula teologica compromissoria, la cosiddetta dottrina teopaschita, ma senza risultati.

Nei primi anni della guerra gotica combattuta contro i Goti per la riconquista dell’Italia, l’Imperatore, evidentemente per mantenere il favore degli italici di fede calcedoniana, abbandonò ogni tentativo di compromesso avviando una nuova persecuzione contro i monofisiti. Nel 536, su pressioni di Papa Agapito I, il patriarca di Costantinopoli Antimo, monofisita, venne deposto e sostituito dal calcedoniano Mena, che nel maggio dello stesso anno convocò un sinodo che condannò gli scritti dei patriarchi monofisiti Antimo e Severo (eletti per volere di Teodora). Gli atti del sinodo vennero poi ratificati con un editto dall’Imperatore, che proibì con la stessa legge ai deposti patriarchi Antimo e Severo di risiedere nelle grandi città.

Fu in quel momento che l’Imperatrice Teodora, convinta monofisita, si oppose alla politica ostile del marito ponendo sotto la sua protezione i membri più eminenti della Chiesa monofisita e tramando per porre sul seggio papale un pontefice che appoggiasse il monofisismo. Si mise in contatto con l’apocrisario papale Vigilio, promettendogli che avrebbe fatto in modo che divenisse Papa ma solo a condizione che avrebbe ripudiato il Concilio di Calcedonia e avrebbe ristabilito Antimo come patriarca. Nello stesso tempo ordinò al generale Belisario e a sua moglie Antonina, in quel momento a Roma (che avevano strappato ai Goti), di deporre con l’accusa di tradimento Papa Silverio. Nel 537, durante l’assedio ostrogoto di Roma, Papa Silverio, accusato di collusione con gli assedianti, fu deposto dalle truppe imperiali occupanti. Il suo posto fu preso da Papa Vigilio, il quale fu imposto dall’Imperatrice Teodora, alla quale il nuovo pontefice aveva giurato di favorire i Monofisiti. In realtà, una volta salito al soglio pontificio, Papa Vigilio si tenne fedele al Concilio di Calcedonia, pur riuscendo a mantenersi in rapporti amichevoli con Teodora, grazie all’abilità diplomatica del futuro papa Pelagio.

Successivamente scoppiò la controversia dei Tre Capitoli, che significò nuovi contrasti con Roma. L’Imperatore fu infatti convinto che, per ottenere la conciliazione con i monofisiti, bisognasse condannare gli scritti di Teodoreto di Cirro, di Iba di Edessa e di Teodoro di Mopsuestia, in quanto, pur essendo stati accettati dal concilio di Calcedonia, erano accusati dai monofisiti di essere nestoriani. Seppur con iniziali esitazioni, i patriarchi orientali approvarono la condanna dei Tre Capitoli, ma a condizione che anche il Papa fosse d’accordo. La condanna di questi scritti non fu però accettata in Occidente, e di fronte al silenzio papale, Giustiniano passò alle maniere forti. Nel 545 Papa Vigilio fu fatto prigioniero dalle truppe imperiali e deportato a Costantinopoli. Giustiniano intendeva costringerlo ad approvare l’editto dei Tre Capitoli.

Nel 548 infine, Vigilio, cedendo alle pressioni dell’Imperatore, approvò la condanna seppur con riserve, anche se la protesta dei vescovi occidentali (che minacciavano lo scisma) lo spinse a tornare sui propri passi, riuscendo a persuadere l’Imperatore a convocare un concilio che ponesse fine alla questione evitando al contempo un possibile scisma. Prima di convocare tale concilio, però, l’Imperatore si volle assicurare che nulla andasse contro i suoi piani e, a tal fine, depose i patriarchi di Alessandria e di Gerusalemme perché rei di non aver approvato la condanna. Nel 551, infine, emise un nuovo editto dei Tre Capitoli, che però non ricevette l’approvazione del Papa, il quale per questo motivo subì un tentativo di aggressione da parte della polizia imperiale e venne trattato per i successivi due anni come un prigioniero. Nel 553, infine, si tenne il concilio di Costantinopoli II, che, in assenza del papa (che si era rifiutato di prendere parte al concilio), sancì la condanna dei Tre Capitoli.

Papa Vigilio acconsentì controvoglia ad accettare i verdetti del concilio e a condannare i Tre Capitoli e l’Imperatore gli consentì di tornare in Italia. Il pontefice tuttavia perì nel 555 durante il tragitto. Il suo successore, Papa Pelagio, accettò di condannare i Tre Capitoli per salire al soglio pontificio. La controversia provocò il cosiddetto scisma tricapitolino. Le diocesi di Milano e di Aquileia, infatti, rifiutarono di accettare la condanna dei Tre Capitoli. Anche se Milano si riappacificò con la Chiesa di Roma in seguito all’invasione longobarda, non accadde lo stesso per Aquileia.

I Tre Capitoli non furono l’ultima impresa teologica di Giustiniano. Nel 565 adottò il dogma dell’aftardocetismo. Il patriarca di Costantinopoli Eutichio si oppose e pagò ciò con l’esilio. Anche il patriarca di Antiochia si oppose all’editto. Giustiniano perì, tuttavia, nello stesso anno, prima che potesse avviare una nuova persecuzione.