La riorganizzazione dell’Italia (554-568)

Nel frattempo, nell’anno 554, Giustiniano aveva promulgato a Costantinopoli la Prammatica Sanzione, con cui estendeva le leggi dell’Impero all’Italia. L’Italia continuò ad essere organizzata in prefettura, con un prefetto del pretorio a Ravenna, un praefectus urbi e un vicarius urbi a Roma e un vicarius Italiae a Milano. La suddivisione in province non subì particolari novità. Come generalissimo rimase, con autorità speciale, Narsete a governare la penisola. Appunto a lui e al prefetto del pretorio Antioco fu destinata la Prammatica Sanzione. La Prammatica Sanzione provvide a riportare l’ordine preesistente alla guerra, con gli atti legislativi e le concessioni di re Totila, definito un “tiranno”, annullate e i servi affrancati dal re ostrogoto costretti a tornare a servire i propri padroni. La Prammatica Sanzione stabilì inoltre che Roma e l’Italia avrebbero avuto fondi per la ricostruzione dai danni della guerra e per la rifioritura della cultura. L’importante documento garantì inoltre ai Vescovi e ai notabili locali il diritto di eleggere i governatori provinciali, e promise la correzione degli abusi nella riscossione delle tasse. Giustiniano cercò quindi di risollevare l’Italia dalla crisi in cui era sprofondata a causa della ventennale crisi. Ma non fu possibile fare molto.

Narsete e i suoi sottoposti invero si sforzarono di risollevare l’Italia dalla rovina in cui si era sprofondata: Milano, distrutta dagli Ostrogoti nel 539, risorse dalle sue ceneri per merito di Narsete, e lo stesso accadde per numerose altre città (Mario Aventicense, Chronicon, s.a. 568). Un ponte di Roma, distrutto dagli Ostrogoti, venne riparato per volere di Narsete, come ricorda un’epigrafe. Narsete inoltre compì opere di restauro architettonico anche a Napoli, riparandone le mura, danneggiate dagli Ostrogoti di Totila, e ampliandole in direzione del porto (Anonimo, Vita di Atanasio Vescovo di Napoli). Secondo alcune fonti, che taluni studiosi hanno tacciato di essere propagandistiche, in dodici anni di governo Narsete “ aveva amministrato l’Italia fiorentissimamente, restaurato le città e le mura al loro antico decoro per 12 anni e protetto sotto il suo governo le popolazioni”, riportando inoltre, una volta espulsi gli Ostrogoti, “le popolazioni di tutta l’Italia all’antica felicità” (Auctari Auniensi Extrema, 3-4). Questa felicità, se è mai esistita, dovette durare poco, visto che agli inizi del regno di Giustino II, i Romani si lamentarono per l’oppressione fiscale sotto il governo dell’eunuco Narsete, rimpiangendo i tempi della dominazione ostrogota e minacciando addirittura, in caso di mancato richiamo dell’eunuco a Costantinopoli, la consegna di Roma e dell’Italia intera ai Barbari (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II,5)! Le stesse fonti narrano che Narsete si fosse arricchito a tal punto da accumulare dentro un immensa cisterna un tesoro così immenso che quando venne scoperto, tra il 574 al 582, dall’Imperatore Tiberio, ci vollero giorni interi per tirarlo fuori dalla cisterna (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III,12)! Insomma Narsete si era davvero arricchito molto, lamentano le fonti, con l’oppressione del popolo.

Del resto, se è vero quanto afferma la Prammatica Sanzione, che le tasse non furono aumentate rispetto al periodo ostrogoto, le devastazioni belliche, rovinando i campi, dovettero davvero rendere difficile pagare le tasse rispetto al periodo precedente, giustificando così le lamentele contro l’eunuco Narsete. Secondo Procopio, pur tenendo conto delle esagerazioni retoriche volte a diffamare l’odiato Giustiniano, l’Italia, dopo la guerra, era diventata un deserto, come l’Africa. E tale amaro giudizio è confermato dalle Epistole di Papa Pelagio I, divenuto papa nel 555 con il sostegno di Narsete. Nel 556, scrisse amaramente in una lettera indirizzata al vescovo di Arelate, “le campagne sono talmente devastate, che nessuno è in grado di recuperare”; proprio a causa della difficile situazione in cui versava l’Italia in quel periodo, Pelagio si era visto costretto a scrivere al vescovo in  questione, chiedendogli di inviargli i raccolti dei patrimoni pontefici nella Gallia meridionale, oltre a una fornitura di vesti, per i poveri della Città Eterna (Papa Pelagio I, Epistola 4). E ancora sei anni dopo, nel 562, la situazione economica della penisola era talmente critica che, come lamentò in quell’anno lo stesso Papa al prefetto del pretorio d’Africa Boezio, la Chiesa riceveva ormai proventi dai suoi possedimenti solo dalle isole o dall’estero, essendo impossibile, dopo venticinque anni continui di guerra, ricavarli dalla penisola desolata; e, visto che i proventi della Chiesa servivano per sfamare la popolazione povera di Roma, anch’essi avrebbero risentito della difficile situazione (Papa Pelagio I, Epistola 85).

A peggiorare la situazione contribuirono carestie e pestilenze: dopo il 542, la peste tornò più volte periodicamente a flagellare il Mediterraneo, e colpì anche l’Italia, alcuni anni prima dell’arrivo dei Longobardi. Paolo Diacono narra che, ai tempi di Narsete, scoppiò una gravissima pestilenza, principalmente nella provincia della Liguria, la quale mietè tantissime vittime (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II,4). Roma stessa si era ridotta a non più di 30.000 abitanti. Insomma, nonostante gli sforzi di Narsete e dei suoi sottoposti nel restaurare le città, l’Italia si trovava in una situazione davvero disperata, flagellata da carestie ed epidemie, ma il peggio doveva ancora venire: nel 568 essa fu invasa dai Longobardi, che vi portarono di nuovo la guerra.