La rottura della pace eterna e la guerra lazica

LE CAUSE DI UNA NUOVA GUERRA

In seguito alla stipula della pace eterna tra l’Impero e la Persia, Giustiniano provvide a rinforzare le difese della frontiera orientale, facendo riparare le fortificazioni della Mesopotamia e dell’Osroene in cattivo stato, nonché quelle sulla frontiera del Ponto o dell’Armenia. Giustiniano, nel frattempo, aveva compiuto una importante riforma amministrativa, revocando la semiautonomia concessa all’Armenia romana a est dell’Eufrate, fino a quel momento retta da satrapi nativi. I satrapi furono rovesciati e il loro territorio divenne una regolare provincia romana, quella di “Armenia IV”, con capoluogo Martiropoli.

Nel frattempo l’Imperatore approfittò della “Pace Eterna” con i Persiani per mettere in atto i suoi piani di conquista dei territori un tempo appartenenti alla parte occidentale dell’Impero romano. In sette anni (dal 532 al 539) Giustiniano conquistò il regno africano dei Vandali, sottomettendo i Mauri, e inoltre la riconquista dell’Italia agli Ostrogoti era a un buon punto; come se non bastasse i Goti di Crimea ricaddero nella sfera di influenza romana insieme agli Omeriti dell’Arabia meridionale. Cosroe guardò con allarme alle conquiste occidentali di Giustiniano, temendo un rinforzamento delle armate romane e in un futuro attacco alla Persia una volta terminata la conquista dell’Occidente romano. Di conseguenza tentò di trovare dei pretesti per riprendere le ostilità.

Le dispute tra Ghassanidi e Lakhmidi, i regni cliente arabi rispettivamente dell’Impero romano e della Persia, sembrarono fornire a Cosroe il pretesto desiderato. Il territorio conteso tra Ghassanidi e Lakjmidi era un tratto di terra deserta chiamata “Strata”, usata come pascolo. Il filarca (sovrano) ghassanide Areta rivendicava per sé questo terreno, con l’argomentazione che il nome “Strata” avesse origini latine, e che gli uomini più anziani della sua tribù potessero testimoniare che quel pascolo appartenesse in tempi antichi ai Ghassanidi. Alamundaro, il sovrano lakhmide, rivendicava il terreno per sé con l’argomentazione che da anni ormai i pastori della regione gli pagavano un tributo. Giustiniano inviò due arbitri per tentare di conciliare le due parti in causa e trovare un compromesso, il comes sacrarum largitionum Strategio e il dux Palestinae Summo. Per tutta risposta Cosroe accusò Summo di aver tentato di corrompere Alamundaro tentando di spingerlo a tradire la Persia e farlo passare dalla parte dei Romani, e affermò inoltre di avere in suo possesso una lettera di Giustiniano agli Eftaliti, con la quale li istigava a invadere i territori persiani.

Nel frattempo, nel 539, arrivò alla corte persiana un’ambasceria inviata dal re ostrogoto Vitige, messo alle strette da Belisario, con cui istigava Cosroe a riprendere le ostilità contro i Romani, il loro nemico comune. Un’altra ambasceria arrivò dagli Armeni che si erano rivoltati contro il malgoverno romano, implorandogli di liberarli dal giogo di Giustiniano. La rivolta degli Armeni fu cagionata dalla rapacità del governatore assunto da Giustiniano, Acacio, che aveva imposto un tributo intollerabile, e fu di conseguenza assassinato dalla popolazione in rivolta.  Giustiniano incaricò al suo magister militum per Armeniam, Sitta, di soffocare la rivolta, ma Sitta fu accidentamente ucciso in battaglia. Gli Armeni, comunque, non potendo resistere ancora a lungo contro le armate romane, si rivolsero a Cosroe, implorandogli di rompere la pace eterna e di soccorrerli contro l’oppressore romano. Cosroe di conseguenza decise, nell’autunno del 539, di riprendere le ostilità nella primavera successiva. La guerra che cominciò durò cinque anni.

LA SECONDA GUERRA TRA GIUSTINIANO E LA PERSIA (540-545)

Alla testa di un’armata consistente, Cosroe avanzò lungo la riva destra dell’Eufrate, passando vicino alla città di Circesium, senza tuttavia provare ad assaltarla, a causa della resistenza delle fortificazioni. Assediò la città fortificata di Sura, espugnandola con un espediente. La città fu saccheggiata e rasa al suolo, e la popolazione o fu massacrata o deportata in cattività in territorio persiano. Nel frattempo il generale romano Buze si trovava a Ierapoli. Giustiniano aveva diviso il comando delle truppe tra Buze e Belisario (quest’ultimo ancora non tornato dall’Italia), assegnando al primo le province al di là dell’Eufrate e al secondo la Siria e l’Asia Minore. Poiché Belisario non aveva ancora fatto ritorno dall’Italia, l’intero esercito fu posto sotto il comando di Buze. Nel frattempo Germano, il cugino di Giustiniano, fu inviato ad Antiochia con 300 soldati. Anche se le parti più basse della città erano adeguatamente protette dal fiume Oronte e quelle più alte da fortificazioni apparentemente solide, al di fuori delle mura della cittadella vi era una roccia ad esse adiacente che poteva essere usata a vantaggio degli assediatori per espugnare le mura della città. Purtroppo gli ingegneri comunicarono a Germano che non vi era tempo sufficiente per distruggere la roccia prima dell’arrivo di Cosroe, per cui il cugino di Giustiniano inviò Megas, il vescovo di Beroea, presso Cosroe per tentare di rallentare la marcia dei Persiani su Antiochia. L’armata di Cosroe aveva già attraversato l’Eufrate e si stava avvicinando a Ierapoli nel momento in cui Megas lo raggiunse. Fu informato dal gran re delle sue intenzioni di sottomettere la Siria e la Cilicia e fu costretto ad accompagnare l’armata a Ierapoli, che riuscì a indurre gli assedianti a levare l’assedio pagando 2000 libbre d’argento. Cosroe comunicò a Megas che avrebbe risparmiato Antiochia dall’assedio e dall’eventuale saccheggio in cambio di 1000 libbre d’oro. Cosroe assediò Beroea richiedendo agli abitanti il doppio di quanto chiesto a Ierapoli; gli abitanti gli diedero la metà della somma richiesta, affermando che fosse tutto ciò che possedevano; Cosroe, per niente soddisfatto, rase al suolo la città. Da lì giunse nei pressi di Antiochia, richiedendo le 1000 libre d’oro. Gli abitanti di Antiochia, indotti dall’arrivo del segretario imperiale Giuliano, contrario al pagamento, e di 6000 soldati dalla Fenicia Libanense in loro soccorso, decisero di non cedere all’estorsione e per di più insultarono Cosroe dalle mura. Germano e il patriarca di Antiochia erano già fuggiti in Cilicia. L’assedio fu breve e si concluse con l’espugnazione e il saccheggio della città per mano persiana. La città fu quasi completamente distrutta per ordine di Cosroe che deportò la popolazione in territorio persiano dove fu fondata una nuova Antiochia nelle vicinanze di Ctesifonte.

Nel frattempo Cosroe ricevette degli ambasciatori di Giustiniano giunti per trattare la pace. Le richieste di Cosroe consistevano nel pagamento immediato di 5000 libbre d’oro ai Persiani e di una somma annuale di 500 libbre da intendersi come contributo per la difesa delle Porte Caspie. Mentre gli ambasciatori ritornarono a Costantinopoli per riferire a Giustiniano le richieste di Cosroe, lo scià persiano passò per Seleucia (porto di Antiochia), Daphnae e poi Apamea e Calcide. Dopo aver estorto denaro e saccheggiato le province a ovest dell’Eufrate, Cosroe decise di invadere la Mesopotamia. Rinunciò all’assedio di Edessa, che comunque gli pagò 200 libbre d’oro in cambio della rinuncia della devastazione dei territori circostanti. Mentre si trovava nei pressi di Edessa, fu raggiunto dagli ambasciatori di Giustiniano che gli comunicarono che Giustiniano aveva accettato le sue richieste. Nonostante ciò Cosroe tentò invano di assediare la città di Dara nel corso del viaggio di ritorno nel territorio persiano, e questa violazione del trattato lo rese nullo per Giustiniano. La guerra di conseguenza proseguì.

La regione della Lazica in età tardo-antica (VI secolo).

Nel frattempo, gli abitanti della Lazica, regno cliente (“vassallo”) dei Romani, implorarono l’intervento di Cosroe I per liberarli dall’oppressione romana. Il responsabile dell’oppressione degli abitanti della Lazica era Giovanni Tzibo, generale romano a cui era stata affidata la difesa della Lazica, reo di aver stabilito un monopolio sul commercio a scapito della popolazione locale. Tale monopolio potrebbe essere giustificato dal fatto che si trattava dell’unica maniera praticabile per imporre una tassa agli abitanti della Lazica, come compenso per la difesa del territorio compiuta dai Romani, seppur andrebbe rimarcato che la guarnigione romana stessa era sgradita agli abitanti della Lazica. Esasperato dalle estorsioni di Giovanni Tzibo, il re della Lazica, Gubaze, richiese l’intervento di Cosroe, implorandolo di liberarli dal giogo dei Romani e facendogli notare i vantaggi del controllo della regione; se Cosroe fosse riuscito a scacciare i Romani dalla Lazica avrebbe ottenuto l’accesso all’Eusino, permettendogli contatti più agevoli con altri nemici di Roma, cioè i barbari a nord del Caucaso. Nel 541 l’esercito persiano condotto da Cosroe invase la Lazica, assediando Petra e riuscendo infine a espugnarla. Dopo aver sottomesso la regione, Cosroe si affrettò a tornare in territorio persiano, informato che Belisario stava per invadere l’Assiria.

Nel frattempo nella primavera del 541 Belisario aveva assunto il comando dell’esercito orientale nella Mesopotamia. Poiché era stato informato dalle spie che nessuna invasione era in programma da parte di Cosroe, Belisario decise di invadere il territorio persiano con l’intero esercito, truppe Ghassanidi di Areta comprese. L’armata da Dara si diresse a Nisibi, che tuttavia era troppo resistente per poter essere assaltata con successo, e da lì assediò la fortezza di Sisaurana. Nel frattempo aveva inviato le truppe Ghassanidi di Areta a devastare l’Assiria insieme a 1200 uomini del suo seguito. Sisaurana, a corto di approvigionamenti, si arrese. La fortezza fu rasa al suolo e tutti i Cristiani furono lasciati liberi. Nel frattempo i soldati imperiali, non abituati al caldo torrido, accusarono dei malori e costrinsero il generale a tornare in territorio imperiale. Belisario fu poi accusato dai suoi nemici di aver colpevolmente mancato una grande opportunità. Insinuarono che se, dopo la presa di Sisaurana, fosse avanzato al di là del Tigri, avrebbe potuto avanzare fino a Ctesifonte, ma rifiutò di avanzare a più di un giorno di marcia dalla frontiera per problemi di natura coniugate (aveva appena scoperto che sua moglie Antonina lo tradiva e intendeva punirla).

Nel 542 Cosroe invase di nuovo l’Impero attraversando l’Eufrate. Intendeva marciare su Sergiopoli per punire il vescovo locale Candido, reo di non aver ancora pagato il riscatto per la liberazione di alcuni prigionieri due anni prima. A causa del clima desertico gli assedianti (6000 uomini) dovettero levare presto l’assedio di Sergiopoli. Cosroe, non intendendo perdere tempo nel saccheggio della provincia di Eufratense, stabilì di invadere la Palestina e impadronirsi dei tesori di Gerusalemme. Tuttavia, per il diffondersi della peste in Persia e forse in parte anche per l’intervento di Belisario, i Persiani decisero presto di tornare nei loro territori. Cosroe inviò un ambasciatore, Abandane, presso Belisario (che all’epoca si trovava con l’esercito a Europo sull’Eufrate) con il pretesto di chiedere spiegazioni sul mancato arrivo di ambasciatori da Giustiniano per negoziare la pace. Belisario, informato dell’arrivo imminente di Abandane, schierò l’esercito in maniera tale che potesse destare una enorme impressione di temibilità all’ambasciatore persiano. Alla fine fu stipulata una tregua e Cosroe si ritirò nei suoi territori. Lungo la marcia di ritorno, tuttavia, assaltò a tradimento la città fortificata di Callinicum radendola al suolo.

Nel 543, nonostante la peste, Cosroe invase l’Armenia romana, in particolare l’Atropatene. Rimase per qualche tempo in attesa di un’ambasceria imperiale, che tuttavia non arrivò perché uno dei due ambasciatori era caduto malato lungo il tragitto. Nel frattempo la peste colpì anche l’esercito di Cosroe, che si lamentò mediante messaggeri (inviati al magister militum per Armeniam Valeriano) per il mancato arrivo degli ambasciatori. I messaggeri persiani (un vescovo cristiano e suo fratello) comunicarono segretamente a Valeriano dei problemi di Cosroe per via del diffondersi della peste e della rivolta di uno dei suoi figli. Giustiniano, informato, ordinò ai generali di stanza in Oriente di unire le forze per invadere la Persarmenia, essendo questa un’occasione troppo ghiotta per non essere sfruttata.

Con Belisario caduto in disgrazia accusato di tradimento, Giustiniano aveva affidato il comando delle truppe romane sul fronte orientale a Martino, nominandolo magister militum per Orientem. Le divisioni tra i generali dell’esercito imperiale contribuirono al fallimento della campagna militare. Ad Anglon l’esercito romano, caduto in un’imboscata, conobbe una pesante sconfitta, seguita dal ritiro delle truppe superstiti.

Nel 544 l’armata persiana, condotta da Cosroe, invase la Mesopotamia e assediò Edessa. Il lungo assedio tuttavia fallì a causa della strenua resistenza della guarnigione e le forti difese.

Nell’anno successivo i Romani e i Persiani conclusero una tregua quinquennale, non valida tuttavia per la Lazica. Giustiniano in cambio acconsentì a pagare ai Persiani 2000 libbre d’oro.

LA GUERRA LAZICA (549-557)

Nel frattempo gli abitanti della Lazica si resero conto che stavano meglio sotto i Romani che non sotto i Persiani e si pentirono della scelta fatta nel 541. I Persiani avviarono una persecuzione della popolazione cristiana della Lazica, volendola forzatamente convertire al Zoroastrismo, e sembra che Cosroe volesse deportare altrove gli abitanti della Lazica ripopolando la regione con Persiani. Il re della Lazica, Gubaze, dopo aver scoperto un complotto alla sua vita ordito da Cosroe, implorò il perdono e la protezione di Giustiniano. Nel 549 un esercito di 7000 Romani fu inviato in Lazica, comandato da Dagisteo, con l’obiettivo di recuperare la fortezza di Petra, presidiata da 1500 Persiani.

Petra era stata ben rifornita di derrate alimentari ed era in grado di resistere a lungo a un eventuale assedio. Per di più Dagisteo commise la negligenza di non occupare i passi dall’Iberia alla Lazica, che avrebbe prevenuto il possibile arrivo di rinforzi persiani. L’assedio si protrasse a lungo e la guarnigione era sul punto di arrendersi quando l’arrivo di rinforzi sotto il comando del generale persiano Mermeroe costrinse Dagisteo a levare l’assedio. Mermeroe lasciò 3000 soldati a Petra e la rifornì di derrate alimentari. Si ritirò in Persarmenia, dove però cadde in un agguato tesogli da Dagisteo e Gubaze, subendo pesanti perdite (solo pochi soldati del suo esercito riuscirono a mettersi in salvo con la fuga).

Nella primavera del 550 si combattè una battaglia nei pressi del fiume Hippis, in cui i Romani, condotti da Dagisteo, riportarono la vittoria. Dagisteo fu tuttavia destituito e arrestato con l’accusa di negligenza per come avesse malcondotto l’assedio di Petra. Al suo posto fu nominato comandante Bessa. Nel frattempo, la tregua quinquennale era scaduta nell’aprile 550, con conseguenze ripresa delle negoziazioni tra le corti di Costantinopoli e di Ctesifonte. Per prima cosa Bessa represse la rivolta di una popolazione locale, gli Abasgi. Poi riuscì nella primavera 551 in ciò in cui aveva fallito Dagisteo, cioè espugnare Petra. Mermeroe, che stava accorrendo in soccorso di Petra, alla notizia della sua caduta, tornò indietro e tentò invano di espugnare Archeopoli e le città sulla riva destra del Phasis. Nel frattempo, nell’autunno 551 la tregua quinquennale (non valida per la Lazica) fu rinnovata per altri cinque anni, dietro pagamento da parte dei Romani di 2600 libbre d’oro.

Nel frattempo nel 552 gli abitanti della Suania, regione a nord della Lazica, defezionarono in favore dei Persiani, che occuparono prontamente il territorio. Tra il 552 e il 554 Mermeroe riuscì a espugnare solo alcune fortezze minori, prima di morire nell’autunno del 554. Dopo la sua morte il comando delle truppe persiane fu affidato a Nacoragano.

Nel frattempo Gubaze, dopo frequenti litigi con i comandanti imperiali, inviò un messaggio di lamentela a Giustiniano accusando alcuni di essi (Bessa, Martino e Rustico) di negligenza nel condurre la guerra. Di conseguenza l’Imperatore destituì Bessa, ma assegnò il comando supremo delle truppe a Martino e non richiamò Rustico. Di conseguenza Martino e Rustico tramarono la vendetta. Dapprima insinuarono di fronte l’Imperatore che Gubaze avesse intenzione di tradire l’Impero passando di nuovo dalla parte dei Persiani, infine lo uccisero proditoriamente (furono Giovanni e Rustico gli esecutori). Gli abitanti della Lazica, indignati, presero in considerazione l’opportunità di defezionare in favore dei Persiani, ma poi decisero di rimanere fedeli all’Impero a patto che fosse condotta un’inchiesta per punire i responsabili dell’uccisione proditoria di Gubaze.  Rustico e Giovanni furono arrestati in attesa del processo. Nell’autunno 555 furono processati e, proclamati colpevoli, giustiziati. Anche se non vi erano prove della partecipazione di Martino al complotto, Giustiniano decise di destituirlo sostituendolo con Giustino, figlio di Germano.

Nel frattempo, mentre l’inchiesta era in corso, la guerra era proseguita con la grave sconfitta patita dai Romani nei pressi della fortezza di Onoguris (anno 554). Nella primavera dell’anno successivo Nacoragane attaccò la fortezza di Phasis, ma fu sconfitto in battaglia da Martino che così riscattò l’ignominosa sconfitta a Onoguris. Sempre nel 555 i Misimiani, popolo limitrofo, uccisero proditoriamente un inviato romano per poi trovare riparo in Persia. Per tutta risposta nel 556 i Romani intrapresero una spedizione punitiva nel territorio dei Misimiani costringendoli a sottomettersi e a implorare perdono. Questa spedizione fu l’ultimo episodio della Guerra Lazica.

Nel frattempo, infatti, la tregua quinquennale era scaduta di nuovo nell’autunno 556, e Cosroe inviò l’ambasciatore Isdigune a Costantinopoli per negoziare il rinnovo della tregua. Il rinnovo della tregua fu concluso nel 557 e questa volta fu estesa anche alla Lazica, con la decisione che ognuna delle due potenze avrebbe conservato il possesso delle fortezze di cui erano in possesso al momento della conclusione della tregua. In questo modo l’Impero impedì ai Persiani di ottenere l’accesso all’Eusino.

LA CONCLUSIONE DELLA PACE

La frontiera tra l’Impero e la Persia nel 565.

Nel 562 il magister officiorum Pietro e l’ambasciatore Isdigune si incontrarono alle frontiere tra le due potenze per concludere la pace definitiva. I Persiani acconsentirono alla cessione della Lazica ai Romani e in cambio i Romani si impegnavano a pagare loro un pesante tributo annuale. Lakhmidi e Ghassanidi erano inclusi nel trattato di pace. Inoltre i Persiani si sarebbero impegnati a impedire l’accesso ai passi del Caucaso alle popolazioni barbariche che avessero voluto devastare il territorio romano, e in cambio i Romani si impegnavano a non inviare un esercito in quelle regioni o in qualunque altra parte del territorio persiano. I Romani si impegnavano a non munire Dara di una consistente guarnigione e a non farvi risiedere il magister militum per Orientem. Il trattato fu concluso ma l’anno successivo (563) i Romani pretesero invano la restituzione della Suania (che i Persiani avevano occupato nel 552).