L’anarchia e il periodo dei duchi (572-584)

L’ASSASSINIO DI RE ALBOINO E IL REGNO DI CLEFI
Dopo la conquista di Pavia, Alboino trasferì la capitale (che finora era stata Verona) lì. Ma a Verona fu ucciso in una congiura orchestrata dalla moglie Rosmunda e Elmichi. Paolo Diacono (Historia Langobardorum, II, 28-29) ne fornisce una versione romanzata, non granché attendibile. Secondo Paolo Diacono l’assassinio fu tramato da Rosmunda, moglie di Alboino, con la complicità del nobile Elmichi (a cui fu promesso il trono) e di Peredeo (a cui fu affidato il compito di uccidere di persona Alboino).  Alboino fu assassinato, ma i nobili del regno disapprovarono l’assassinio di Alboino e, lungi dall’innalzare al trono Elmichi, lo costrinsero alla fuga, insieme a Rosmunda e agli altri congiurati, a Ravenna, sede del prefetto del pretorio Longino, evidentemente coinvolto nella congiura. Secondo la versione romanzata di Paolo Diacono, Longino avrebbe poi corteggiato Rosmunda istigandola ad avvelenare Elmichi ma, quest’ultimo, sentendosi male e intuendo di aver appena bevuto del veleno, costrinse l’avvelenatrice a bere gli ultimi sorsi del veleno, e così entrambi perirono. Sbarazzatosi in un sol colpo di Rosmunda e Elmichi, Longino inviò a Costantinopoli gli altri congiurati e il tesoro dei Longobardi.

Nel frattempo i duchi longobardi elessero re Clefi, che regnò solo per un anno e mezzo, venendo ucciso nel 574.

IL PERIODO DEI DUCHI

Da allora – e per dieci anni – i Longobardi non elessero un re, determinando la frammentazione del Regno in 35 ducati indipendenti tra di loro. Sotto il periodo dei duchi le violenze contro la popolazione romana – o romanica – aumentarono notevolmente:

His diebus multi nobilium Romanorum ob cupiditatem interfecti sunt. Reliqui vero per hospites divisi, ut tertiam partem suarum frugum Langobardis persolverent, tributarii efficiuntur. Per hos Langobardorum duces, septimo anno ab adventu Alboin et totius gentis, spoliatis ecclesiis, sacerdotibus interfectis, civitatibus subrutis populisque, qui more segetum excreverant, extinctis, exceptis his regionibus quas Alboin ceperat, Italia ex maxima parte capta et a Langobardis subiugata est. In questi giorni molti nobili Romani furono uccisi per cupidigia. Gli altri poi, divisi tra i Longobardi secondo il sistema dell’ospitalità, vengono resi tributari con l’obbligo di versare la terza parte dei loro raccolti ai Longobardi. Per opera di questi duchi, nel settimo anno dall’arrivo di Alboino e di tutta la sua gente, l’Italia fu per la massima parte – eccettuate le regioni che aveva conquistato Alboino presa e soggiogata dai Longobardi, dopo che questi ebbero spogliato le chiese, ucciso i sacerdoti, rovinato le città e decimato le popolazioni che erano cresciute come messi sui campi. (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 32)

Bisanzio provò ad approfittare delle divisioni dei Longobardi, e nel 575 venne inviato in Italia il generale Baduario, con il compito di scacciare dalla penisola gli invasori. Si è talvolta congetturato che alla spedizione di Baduario presero parte numerosi contingenti di mercenari Longobardi, inviati in Italia per combattere i loro stessi connazionali; Giovanni da Efeso conferma che, ancora nel 575, 60.000 Longobardi combattevano ancora al servizio dell’Impero contro i Persiani (Giovanni da Efeso, Historia Ecclesiastica, Libro VI). E’ dunque possibile, anche se non confermato dalle fonti, che una parte di questi mercenari Longobardi abbiano seguito Baduario in Italia, dove il generale romeo poteva contare anche sull’appoggio dei foederati longobardi al servizio dell’Impero a Spoleto e a Benevento, oltre che ovviamente i residui numeri (=reggimenti di 500 soldati) già acquartierati in Italia (cfr. Bavant, Le duché byzantin de Rome. Origine, durée et extension géographique, p. 46). La spedizione di Baduario del 576 si risolse tuttavia in una disfatta e Baduario stesso “fu vinto dai Longobardi e non molto tempo dopo trovò qui la fine della sua vita” (cfr. G. Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004. p. 77).

Il fallimento della controffensiva bizantina deve aver incoraggiato i Longobardi ad espandersi, giacché è proprio in questi anni che i Longobardi costituirono in Italia meridionale i ducati di Spoleto e Benevento (cfr. Jarnut, Storia dei Longobardi, p. 34). E’ sempre stato un mistero per gli storici individuare il come si siano generati questi due ducati, dato che le fonti primarie non sono molto chiare in proposito. Se fonti più datate sostengono che i due ducati furono fondati da Faroaldo e Zottone durante il regno di Alboino, studi più recenti ritengono che Faroaldo e Zottone sarebbero stati soldati foederati longobardi al servizio dell’esercito bizantino rimasti in Italia dopo la guerra gotica (cfr. Bavant, ibidem, p. 46). I due si sarebbero poi rivoltati (forse dopo la sconfitta di Baduario) all’autorità bizantina costituendo questi due ducati semi-indipendenti (cfr. Bavant, ibidem, p. 47). L’espansione dei Longobardi ai danni dei Bizantini (furono conquistate varie città dell’Emilia: Piacenza, Reggio, Modena, Mantova) non fu indolore per le popolazioni locali: il vescovo di Populonia fuggì sull’Isola d’Elba, i monaci della provincia di Valeria furono violentati dai guerrieri longobardi e Aquino (occupata nel 577 da Zottone) fu talmente devastata che a distanza di qualche anno era senza popolo e senza vescovo (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 78). Tra il 575 e il 579 numerose città furono costrette ad arrendersi per fame ai Longobardi, mentre l’intervento militare di Bisanzio, impegnato contro i Persiani, era latitante. Nel 578, poco prima di un fallito tentativo dei Longobardi di espugnare Roma, il senato romano inviò un ambasceria, condotta da Pamfronio (un senatore importante, in precedenza (555 ca.) praefectus urbi di Roma, e all’epoca dell’ambasciata con ogni probabilità, caput senatus), alla corte del piissimo imperatore Tiberio II. L’intento dell’ambasceria, formalmente venuta a Costantinopoli per consegnare in dono all’Imperatore 3.000 libbre d’oro come omaggio per la sua ascesa al trono, era cercare di convincere l’Imperatore a non abbandonare Roma al suo destino, inviando nuove truppe contro i Longobardi. Ma Tiberio II, nonostante la sua bontà d’animo, dovette rispondere negativamente:

“Cesare [Tiberio II] mandò in Italia grande quantità di oro, non meno di tremila libbre, ricevuto dall’antica Roma col mezzo di un patrizio di nome Pamfronio, il quale si recò alla reggia per supplicare l’imperatore di restituire la libertà all’Italia, oppressa dalle scorrerie dei Longobardi. Ma costui, tutto occupato nella guerra persiana, e oltre a lei nulla montandogli il resto, non potè spedirvi un esercito, e stabilì non doversi guerreggiare nello stesso tempo nelle orientali ed occidentali parti. Diede pur tuttavia a Pamfronio denaro affinché lo utilizzasse per indurre, con destrezza, alcuni dei nemici a farsi colle truppe loro partigiani di Roma, senza più conturbare l’Italia; e tali s’appaleserebbero in volgendo le armi contro l’Oriente e col prestare soccorrevole mano all’impero. Se poi quegli non accettassero, com’era verisimile, ad una guerra fuori stato, desse opera a trar dalla sua con mercede alcuni dei comandanti franchi, onde per ‘essi affievolire ed abbattere la potenza de’Longobardi.”

(Menandro Protettore, Frammento 49 Muller)

Un’analoga ambasceria fu inviata l’anno successivo e questa volta Tiberio inviò (poche) truppe in Italia:

“Messa Italia, quasi che tutta, a sacco e rovina dai Longobardi, i senatori dell’ antica Roma e sacerdoti, deputati dal pontefice sommo, furono spediti ambasciatori a Cesare onde pregassero di aiutare le oppresse regioni. Guerreggiandosi però nell’Armenia e nell’Oriente, nè punto scemando il marzial furore, anzi animandosi di più in più la contésa, Cesare non potè soccorrerli con idonee truppe, ma non di meno fattane leva a tenor delle circostanze, inviò loro alla meglio un esercito, nè risparmiò cura e diligenza a meritare con doni l’affetto de’comandanti longobardi, e ad incitarli, colla
promessa di grandi premj a favoreggiare sue parti. E così molti de’ loro potenti colla speranza de’ guiderdoni voltaronsi a pro dei Romani.”

(Menandro Protettore, Frammento 62 Muller)

Tuttavia il tentativo di comprare i duchi longobardi oppure di convincere i Franchi a combattere i Longobardi non diedero molti frutti, e l’espansione dei Longobardi poté procedere senza ostacoli. Nel 580 si impadronirono di Fermo e di Osimo, tra il 578 e il 582 di Classe (il porto di Ravenna) e nel 581 fu assediata inutilmente Napoli. Le fonti ecclesiastiche esprimono indignazione per le continue profanazioni e stragi dei Longobardi che una volta uccisero decine di contadini per non aver voluto prestarsi ai riti pagani degli invasori (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 80).

CONSEGUENZE DELL’INVASIONE

L’esercito longobardo che aveva invaso l’Italia era all’epoca suddiviso in fare, l’unità fondamentale dell’esercito longobardo ognuna corrispondente a un raggruppamento familiare. Ma la fara non va interpretata solo come unità militare dell’esercito, ma come “associazione in movimento” comprendente anche donne e bambini che, oltre a combattere doveva provvedere anche al sostentamento della comunità: in pratica la fara può essere definita come “la comunità di vita di una società in movimento, senza patria” (cfr. Jarnut, ibidem, p. 45).

Quando i Longobardi si stanziarono in Italia, mantennero il sistema delle fare, ognuna delle quali si stanziò a presidio di una determinata fortezza o punto strategico. I guerrieri longobardi scacciarono o uccisero gran parte dei proprietari terrieri romanici prendendosi le loro terre (lavorate da contadini romanici, costretti a versare un tributo) e i proprietari terrieri rimasti furono costretti a pagare un tributo corrispondente a 1/3 del loro raccolto. I Romanici sottomessi erano costretti a pagare un tributo e a lavorare per le fare in luoghi fortificati dette Salae (cfr. Jarnut, ibidem, pp. 46-48). In pratica una minoranza di Longobardi si era impadronita di tutte le posizioni chiave della società e sfruttava economicamente una grande massa di Romanici, costretti a pagare tributi senza alcun vantaggio per sé stessi.

I Bizantini furono costretti dall’invasione longobarda a militarizzare i territori a loro rimasti. Nacque così l’Esarcato.