Odoacre, Zenone e Teodorico

L’AMBASCERIA DEL SENATO ROMANO PRESSO ZENONE

Odoacre, una volta detronizzato Romolo Augusto, fu proclamato re dalle proprie truppe mercenarie germaniche. Ma se era considerato un re dai suoi commilitoni, non era con tale titolo che intendeva governare i suoi sudditi Romani; infatti, Odoacre non era minimamente intenzionato distaccare l’Italia dall’Impero, ma voleva governare i suoi sudditi Romani in qualità di funzionario dell’Imperatore romano residente a Costantinopoli, Zenone. Quello che però fece, fu quello di rinunciare alla farsa di proclamare un imperatore fantoccio che di fatto avrebbe obbedito a ogni suo ordine e che avrebbe avuto un potere pressoché nullo; invece di tenere in vita stancamente un Impero d’Occidente che di fatto non esisteva più fin da prima del 476, preferì rinunciare alla figura inutile dell’Imperatore e governare direttamente lui. Il trono d’Occidente rimase così vacante. Non era la prima volta che accadeva: tra il 465 e il 467, non vi fu un imperatore in Occidente e in quel biennio l’Imperatore d’Oriente fu formalmente l’Imperatore anche delle province occidentali. Ma questa vacanza sarebbe stata destinata a diventare definitiva.

Odoacre intendeva ora ottenere da Zenone il riconoscimento della carica di patrizio e della carica di governatore d’Italia (probabilmente come magister militum). A tal fine, inviò un’ambasceria del senato romano, formalmente a nome di Romolo Augusto, presso Zenone. Zenone aveva appena recuperato il trono usurpatogli da Basilisco. L’ambasceria gli comunicò che la città di Roma non necessitava più di un proprio imperatore, ma che ne era sufficiente uno solo, quello di Costantinopoli, per governare entrambe le parti; e che, inoltre, Romolo Augusto aveva affidato il governo dell’Italia a Odoacre, una persona definita dagli ambasciatori come idonea a procurare la pubblica salvezza in quanto eccellente nell’amministrazione dello stato e abile nell’arte militare. L’ambasceria pregò quindi Zenone di ornare Odoacre della dignità di patrizio e di affidargli il governo della diocesi d’Italia. Nel frattempo, arrivò presso Zenone una ulteriore ambasceria, questa volta proveniente da Giulio Nepote, che, in seguito all’usurpazione di Romolo Augusto, era fuggito in Dalmazia. L’ambasceria di Nepote, dopo essersi congratulato con Zenone per essere riuscito a recuperare il trono all’usurpatore Basilisco, lo supplicò di inviargli aiuti, consistenti sia in denaro che in eserciti, per recuperare il trono d’Occidente. Zenone rispose in questo modo alla ambasceria di Odoacre: che i Romani d’Occidente avevano riservato una pessima sorte ai due Imperatori designati da Costantinopoli per reggere l’Occidente romano, con il primo (Antemio) che fu ucciso e il secondo (Nepote) costretto a fuggire in Dalmazia; quanto a Odoacre, rispose che se lui avesse voluto la dignità di patrizio, non era a lui che doveva richiederla bensì all’Imperatore Giulio Nepote; tuttavia, poi, negli stessi dispacci imperiali, in cui gli aveva comunicato il rifiuto della dignità di patrizio, si riferì a lui con l’epiteto di “patrizio”. Inoltre, nonostante Zenone compatisse le sciagure di Nepote, non gli inviò di fatto aiuti per recuperare il trono d’Occidente.

ASSASSINIO DI NEPOTE

Nel 480 (le fonti forniscono tre date discordanti, il 22 giugno, il 25 aprile e il 9 maggio, probabilmente perché in realtà potrebbero essere le date in cui era giunta la notizia della morte di Nepote in luoghi diversi) Giulio Nepote, mentre regnava in Dalmazia, fu assassinato dai suoi stessi sostenitori. Malco sostenne che Glicerio, ex imperatore d’Occidente e in quel momento vescovo di Salona, fosse coinvolto nella congiura.

Odoacre ne approfittò per invadere la Dalmazia. Il comes di Dalmazia, un certo Ovida, tentò di resistere all’invasore alla testa del suo esercito, ma fu sconfitto in battaglia da Odoacre e ucciso il 9 dicembre 480. Odoacre aveva così conquistato la Dalmazia.

GOVERNO DI ODOACRE

Odoacre mantenne e rispettò le istituzioni romane, avviando una fruttuosa collaborazione con il senato romano, che gli fu fedele per tutta la durata del suo regno. All’epoca i senatori che contavano davvero dal punto di vista politico appartenevano a poche gentes opulente e prestigiose, come i Decii e gli Anicii. I membri più importanti di queste gentes ricevettero alti onori e cariche da Odoacre. Per esempio Basilio, Decio, Venanzio, e Manlio Boezio detennero il consolato e furono o prefetti dell’Urbe di Roma o prefetti del pretorio; Simmaco e Sividio furono consoli e prefetti di Roma, mentre Cassiodoro fu nominato ministro delle finanze. Tuttavia Odoacre limitò la durata del mandato dei prefetti a un anno solo, in modo da impedire a tali prefetti di acquisire una potenzialmente pericolosa influenza politica.

Nonostante gli alti onori e le alte cariche riservati da Odoacre ai più influenti senatori, essi ebbero uno scotto da pagare. Odoacre confiscò loro un terzo delle loro proprietà terriere per attribuirle ai foederati barbari sotto il suo comando e alle loro famiglie. Tuttavia è possibile che i bisogni dell’esercito fossero stati soddisfatti senza applicare drasticamente il principio della spartizioni. Se infatti i proprietari terrieri fossero stati mutilati su larga scala, non risulterebbe credibile che avessero accettato di collaborare con il re e gli fossero stati fedeli come risulta dalle fonti.

Subito dopo la sua ascesa al potere, Odoacre conseguì un grande successo diplomatico convincendo Genserico, che morì nel gennaio 477, a cedergli l’isola di Sicilia. In cambio fu pagato un tributo annuale ai Vandali che poterono inoltre mantenere il possesso della fortezza di Lilybaeum nella Sicilia occidentale. Nel 480 Odoacre conquistò la Dalmazia con il pretesto di vendicare l’assassinio di Giulio Nepote. L’assassinio di Nepote rese inoltre più rilassati e amichevoli tra Odoacre e l’Imperatore Zenone a Costantinopoli. Dopo l’assassinio di Nepote, Costantinopoli riconobbe i consoli occidentali designati da Odoacre. Ma le relazioni tra Zenone e Odoacre (formalmente magister militum alle sue dipendenze) furono sempre tese, e nel 486 vi fu un’aperta rottura. Zenone cominciò a sospettare che vi fossero stati contatti proditori tra Odoacre e il generale ribelle Illo, e inoltre Odoacre avviò i preparativi per una spedizione nelle province illiriche, all’epoca devastate dagli Ostrogoti. Zenone, per sventarla, istigò i Rugi di stanza nel Norico a invadere l’Italia. Odoacre tuttavia prevenne l’attacco dei Rugi marciando per il Norico e attaccandoli nel loro territorio al di là del Danubio nel corso della stagione invernale del 487-488. La campagna di Odoacre contro i Rugi ebbe successo: il re Feleteo e la sua consorte furono deportati in Italia e decapitati, e la potenza dei Rugi fu distrutta in seguito a una sua seconda spedizione contro di essi.

Odoacre, pur essendo ariano, non perseguitò i cristiani calcedoniani. Mantenne inalterate le istituzioni tardoantiche e governò i suoi sudditi romani in qualità di “viceré” del distante imperatore romano avente sede a Costantinopoli.

L’IMPERO D’ORIENTE E GLI OSTROGOTI

Nel frattempo l’Impero romano d’Oriente, governato da Zenone, si trovò di fronte a una grave grana, quella costituita dai foederati ostrogoti insediati nell’Illirico. Vi erano due gruppi di foederati ostrogoti insediati all’interno dell’Impero d’Oriente, gli Ostrogoti di Mesia condotti da Teodorico il Grande, figlio di Teodemiro, e gli Ostrogoti di Tracia condotti da Teodorico Strabone.

L’origine degli Ostrogoti di Tracia è incerta. Alcuni sostengono che sarebbero stati insediati dal governo centrale in Tracia dopo la campagna condotta dai Romani in Pannonia contro gli Unni nel 427. In altre parole gli Ostrogoti di Tracia vivevano in Pannonia come sudditi degli Unni e, in seguito alla campagna del 427, furono catturati e insediati dai Romani in Tracia. Altri sostengono che sarebbero migrati in Tracia intorno al 450 in seguito al collasso dell’Impero degli Unni. Per quanto riguarda gli Ostrogoti di Mesia, condotti da Teodorico il Grande, si hanno maggiori informazioni sulle loro origini. Nel 454 fu riconosciuto loro dall’Imperatore Marciano il possesso della Pannonia in qualità di Foederati. Spentosi Marciano, il suo successore Leone I rifiutò di continuare a pagare il tributo di 100 libbre d’oro agli Ostrogoti con la conseguenza che essi si rivoltarono e invasero l’Impero, saccheggiando la città di Dyrrhachium. Nel 461 l’Impero fu costretto a riprendere a pagare il tributo in cambio della pace. Il re ostrogoto Teodemiro inviò suo figlio Teodorico a Costantinopoli come ostaggio. Teodorico succedette al padre nel 474 e nel giro di pochi anni condusse il suo popolo a insediarsi nella Mesia Inferiore, è ignoto se con l’approvazione o meno dell’imperatore.

I due Teodorico diedero delle noie all’Imperatore Zenone, a tratti assistendo l’Impero e a tratti saccheggiandolo, e la politica imperiale fu quella di metterli l’uno contro l’altro in modo da indebolirli senza alcun costo per l’Impero. Il problema era che i due Teodorico non erano stupidi e ben presto si resero conto delle reali intenzioni dell’imperatore.

ZENONE E I DUE TEODORICO

L’assassinio (nel 471) del generale Aspare cagionò la rivolta di Teodorico Strabone, proclamato re dalle proprie truppe di foederati ostrogoti. L’Imperatore Leone spedì l’ambasciatore Logio Silenziario presso i foederati Goti di Tracia, i quali lo accolsero di buon grado, e inviarono all’Imperatore una triplice richiesta in cambio della pace:

  • Che Teodorico Strabone, figlio di Triario e loro comandante, godesse di tutto il retaggio lasciatogli di Aspare.
  • Che potesse abitare la Tracia.
  • Che gli fosse accordato il comando di quelle truppe cui presiedeva lo stesso Aspare.

Leone però gli negò le prime due richieste, anche se acconsentì alla terza, cioè di nominarlo comandante. Quando gli ambasciatori fecero ritorno presso Teodorico Strabone, comunicandogli il rifiuto delle prime due richieste, il capo ostrogoto reagì con la guerra inviando parte delle sue truppe a devastare i campi mentre con il resto cinse d’assedio Arcadiopoli, non prima di essersi procurato tutto l’occorrente per attaccarla. Alla fine la città fu presa per fame, in quanto gli abitanti, dopo aver atteso invano soccorsi da Costantinopoli e ridotti ormai agli stenti, aprirono le porte al nemico. Quelli poi spediti ai campi Filippi si limitarono a incendiare le sole adiacenze della città. Mentre i barbari devastavano la Tracia, furono anch’essi ridotti alla fame, tanto che dovettero inviare un’ambasceria all’Imperatore per ristabilire la pace, e la ottennero nel 473 alle seguenti condizioni:

  • Che sarebbero state versate ai Goti duemila libbre d’oro.
  • Che Teodorico Strabone sarebbe stato nominato magister utriusque militiae (comandante sia della fanteria che della cavalleria), e fosse riconosciuto anche come re dei Goti.
  • Che nessuno di quelli che avessero tentato di sottrarsi al suo dominio avrebbe trovato accoglienza presso l’Imperatore, a favore del quale Teodorico Strabone avrebbe dovuto combattere contro tutti i popoli che l’Imperatore gli avrebbe ordinato di combattere, ad eccezione dei Vandali.

Nella guerra civile del 475-476 tra l’imperatore legittimo Zenone e l’usurpatore Basilisco, Teodorico Strabone prese le parti dell’usurpatore, mentre Teodorico il Grande appoggiò Zenone. Quando Zenone recuperò il trono, nel 476, destituì dal comando Teodorico Strabone in favore di Teodorico il Grande; quest’ultimo fu inoltre nominato patrizio e addirittura adottato dall’imperatore, che riconobbe agli Ostrogoti le terre occupate in Mesia Inferiore e gli promise uno stipendio annuale.

Nel corso del secondo anno dal ristabilimento di Zenone sul trono d’Oriente (477-478), giunsero degli oratori inviati dai Goti insediati in Tracia in qualità di Foederati (alleati) dell’Impero. Costoro gli chiesero di riappacificarsi con Teodorico Strabone, che giurava che non avrebbe più molestato lo stato romano. Inoltre gli chiesero di rammentare i danni cagionati ai Romani da Teodorico il Grande, che aveva distrutto numerose città. L’Imperatore chiese dunque al senato di Costantinopoli consiglio sulla deliberazione da prendere. I senatori asserirono che l’erario pubblico non era sufficientemente al mantenimento di entrambi i Teodorico, e a pagare i loro soldati con contribuzioni e stipendi. Dopo aver radunato la soldatesca e tutte le scholae, Zenone cominciò a proferire molte lamentele nei confronti di Teodorico Strabone, reo di aver saccheggiato le popolazioni della Tracia e di essere stato in concerto con Armazio, e inoltre aveva sterminato agricoltori, aveva appoggiato l’usurpazione di Basilisco.  I soldati, udite le accuse dell’Imperatore rivolte nei confronti di Teodorico Strabone, acclamarono tutti il figlio di Triario nemico dei Romani. Zenone però non diede immediatamente risposta agli ambasciatori, ma attese notizie più sicure. Aveva intanto fatto arrestare il medico Antimo, Marcellino e Stefano, rei di aver fornito informazioni sulla città a Teodorico e di avervi mantenuto contatti proditori. Tre del senato furono esaminati e, dopo molte bastonate, furono condannati a un esilio perpetuo, poiché Zenone non pronunciava mai una sentenza capitale e si asteneva dalle stragi.

Nel frattempo, probabilmente nel 478, l’Imperatore Zenone, notando che a Teodorico il Grande venivano meno sia le forze che la potenza, mentre il Teodorico figlio di Triario accresceva sempre di più la sua potenza militare, ritenne opportuno adottare l’espediente di riappacificarsi con Teodorico Strabone a condizioni vantaggiose, nella speranza che questi le accettasse. A Teodorico Strabone sarebbe stato concesso di conservare gli averi predati in passato; in cambio, però, il comandante barbaro avrebbe dovuto dare in ostaggio al governo romano suo figlio e ritirarsi a vita privata, astenendosi dal provocare ulteriori danni allo stato romano. Le trattative, tuttavia, non andarono in porto: Teodorico Strabone, infatti, negò di dare in ostaggio suo figlio e inoltre asserì di non essere in grado con le sue ricchezze di vivere a vita privata, in quanto, essendo a capo di un grande esercito, era obbligato a procurare con una guerra continua il cibo e le risorse necessarie al sostentamento dei suoi soldati.

L’imperatore, udita la risposta, decise di prepararsi con somma cura e diligenza alla guerra. Fece pertanto retrocedere le legioni sia dal Ponto che quelle di stanza nelle province orientali e asiatiche, e si assicurò gli approvvigionamenti occorrenti per sostentare l’esercito. Poiché queste legioni mancavano tuttavia di disciplina, Zenone, per disciplinarle, ne affidò il comando a Marciano. Inviò quindi ambasciatori a Teodorico il Grande, alleato dei Romani, sollecitandolo a non indugiare più nella battaglia, ma ad affrontare in combattimento l’esercito di Teodorico Strabone. Teodorico il Grande, per tutta risposta, inviò ambasciatori a Costantinopoli affinché riferissero che egli non avrebbe accettato di venire a battaglia con Teodorico Strabone finché l’Imperatore e il senato non gli avessero giurato che non si sarebbero mai più alleati con l’altro Teodorico. I senatori fecero il giuramento richiesto, e così anche l’Imperatore, a patto che Teodorico non fosse stato il primo a violarlo. Dopo il giuramento fu deliberato che Teodorico figlio di Triario sarebbe partito con tutte le sue truppe accampate presso Marcianopoli, e gli fu promesso che avrebbe incontrato alle gole del monte Emo duemila cavalieri e diecimila fanti in suo rinforzo. Gli fu inoltre promesso che, passato il monte, a Teodorico si sarebbero riuniti seimila cavalieri e ventimila fanti provenienti dall’Ebro e da Adrianopoli. Inoltre gli fu promesso che altre legioni da Eraclea e da altre città nei dintorni di Costantinopoli sarebbero accorse per assisterlo nella guerra contro Teodorico Strabone. Zenone, con tali promesse, accomiatò gli ambasciatori.

Teodorico, allora, dopo essere avanzato con l’esercito come pattuito, giunse alle strette dell’Emo, ma non trovò ad attenderlo il comandante di Tracia, né quelli che sarebbero dovuti partire dall’Ebro. Giunto nei pressi dell’accampamento nemico, nei pressi di un poggio alto, scosceso, insormontabile, qui il figlio di Triario, Teodorico Strabone, cavalcando verso di lui, cominciò a rimproverare Teodorico il Grande, oltraggiandolo e insultandolo, rivolgendogli gli epiteti di spergiuro, fanciullo, folle, nemico e traditore della patria, inetto nel comprendere le reali intenzioni dei Romani, che miravano al divide et impera, ovvero lasciare che i due comandanti goti si distruggessero a vicenda combattendosi tra loro per poi attaccarli una volta indebolitesi. Teodorico il Grande, avendo appurato che i rinforzi promessigli da Zenone non erano arrivati, e convinto dalle sue stesse truppe, ritenne fondato il ragionamento di Teodorico Strabone e rinunciò a combatterlo, anzi alleandosi con lui.  I due Teodorico si portarono sulle rive opposte di un fiume, e separati dal suddetto fiume, giurarono di non guerreggiare più tra loro finché lo avrebbero ritenuto di profitto comune; e, dopo aver giurato a vicenda l’accordo, inviarono un’ambasceria a Costantinopoli.

Teodorico il Grande accusò, tramite l’ambasceria, l’Imperatore di tradimento e di spergiuro, e gli annunciò che ora si era alleato con Teodorico Strabone. Le richieste di Teodorico il Grande in cambio della pace erano nuove terre per il suo popolo, frumento bastevole ad alimentare il proprio esercito fino alla nuova raccolta, e un tributo. Se i Romani si fossero rifiutati di acconsentire alle sue richieste, Teodorico il Grande minacciava di procurarsi i viveri occorrenti per il sostentamento del proprio popolo saccheggiando il territorio romano. Teodorico Strabone voleva che fossero mantenute tutte le promesse fattegli da Leone, e pretese gli stipendi arretrati, e fece altre richieste. Zenone, alle accuse di Teodorico il Grande, rispose accusandolo di tradimento sostenendo che Teodorico aveva già stretto amicizia con Teodorico Strabone e che quando il comandante di Tracia e tutti gli altri rinforzi promessigli lo vennero sapere non osarono più unirsi a lui portandogli rinforzi temendo insidie. Zenone, comunque, riferì che se Teodorico il Grande avesse intenzione di cambiare idea e di combattere Teodorico Strabone, in caso di vittoria, avrebbe ricevuto in premio dall’Impero mille libbre d’oro e diecimila d’argento, una rendita di diecimila aurei, e avrebbe ricevuto in sposa la figlia di Olibrio, o qualunque altra nobildonna romana. Zenone disdegnò gli ambasciatori speditegli, anche se onorevoli per dignità, e inviò come ambasciatori prima Filosseno e poi Giuliano, per cercare di convincere Teodorico il Grande a rompere l’alleanza con Teodorico Strabone e venire a battaglia con lui. Persa ogni speranza di riuscirci, Zenone si preparò alla guerra radunando le truppe ed esortandole, affermando che le avrebbe condotte egli stesso, l’Imperatore in persona, e giurando che si sarebbe esposto durante le battaglie a rischi più di ogni altro soldato. Zenone però si rimangiò la parola data, rinunciando a condurre di persona l’esercito in battaglia. Le truppe sdegnate si rivoltarono. Marciano, scoperto l’ammutinamento, informò di ciò Zenone persuadendolo a sciogliere con ogni prontezza l’esercito, onde impedire un peggioramento ulteriore della situazione; Zenone ordinò dunque ai soldati di fare ritorno ai loro quartieri invernali.

Zenone, una volta sciolto l’esercito, inviò un’ambasceria a Teodorico Strabone per concludere con lui la pace. Teodorico il Grande nel frattempo condusse le proprie truppe nei dintorni di Rodope depredandone i dintorni. Teodorico Strabone, informato di ciò, si rallegrò che un amico dei Romani e un loro figliuolo, come definiva se stesso Teodorico il Grande, operasse in tale modo. Giunti gli ambasciatori, Teodorico Strabone accettò di riappacificarsi con l’Imperatore a patto che l’Imperatore desse vettovaglia e stipendio a tredicimila guerrieri sotto il comando di Teodorico Strabone, che sarebbe diventato inoltre comes di due scholae; inoltre, Teodorico Strabone fu risarcito di ogni perdita subita, ricevette la carica di magister militum praesentalis, sia della fanteria che della cavalleria, e ritornò in possesso di tutte le dignità ottenute sotto l’usurpatore Basilisco. Riappacificatosi con Teodorico Strabone, Zenone destituì Teodorico il Grande sostituendolo con l’altro Teodorico, e spedì il denaro da versare ai Goti.

Teodorico il Grande si incollerì non poco alla notizia di essere stato destituito del comando dell’esercito a tutto vantaggio dell’altro Teodorico, e rivoltandosi ai Romani, devastò per prima Stobos, città della Macedonia. Quando Teodorico si avvicinò minacciosamente a Tessalonica, gli abitanti della città, sospettando inganni e che Zenone e il prefetto del pretorio dell’Illirico intendessero abbandonare al barbaro sia la città che i suoi abitanti, si rivoltarono atterrando tutte le statue, assalendo il prefetto e incendiando il pretorio. Il clero accorse e sottrasse il prefetto dallo sdegno popolare, asserendo che non era né il prefetto né l’Imperatore ad essere causa di tali sciagure, salvandogli la vita. Ricevute dal prefetto le chiavi della città, esse furono consegnate all’arcivescovo di Tessalonica, il quale ebbe il comando delle truppe a presidio della città e organizzò le difese il meglio che poté.

Zenone, nel frattempo, inviò Artemidoro e Foca come ambasciatori presso Teodorico, per tentare di persuaderlo alla pace e all’alleanza piuttosto che alla sovversione e alla rovina della città. Essi, giunti al cospetto di Teodorico, gli fecero notare che l’Imperatore lo aveva ornato di dignità illustrissime presso i Romani, lo aveva posto alla testa di grandissimi eserciti, senza mai diffidare di lui, nonostante fosse barbaro; ma che lui, indotto dalla frode  per gli inganni degli avversari comuni, mise a repentaglio la sua persona e le cose sue dichiarandosene debitore ad altri; e inoltre non era giusto adirarsi contro l’Imperatore, e incolparlo di cose di cui Teodorico era l’unico responsabile; gli chiesero pertanto di astenersi dal recare ingiurie e danni alle città e alle popolazioni locali, e di negoziare un compromesso. Teodorico, persuaso alla negoziazione, inviò alcuni dei suoi uomini a Costantinopoli, proibendo nel frattempo al proprio esercito di bruciare e di uccidere. Una volta partito, giunse quindi a Eraclea, una città della Macedonia, dove, dopo aver ricevuto moltissimi doni dall’arcivescovo, si astenne dal saccheggiare tutta la regione e di molestare abitante alcuno, avendo ordinato ai suoi soldati di usare moderazione e temperanza con essi.

La sua ambasceria, avvicinatasi nel frattempo a Costantinopoli, avvertì Zenone di inviare al più presto un ambasciatore per negoziare con Teodorico il Grande, il quale ormai non sapeva più come fare per trattenere i suoi soldati dall’astenersi a commettere danni. Zenone scelse come ambasciatore Adamanzio, figlio di Viviano. Adamanzio era un patrizio ed era stato più volte prefetto dell’urbe di Costantinopoli, ed era inoltre di dignità consolare. Zenone inviò Adamanzio con l’ordine di proporre a Teodorico la pace in cambio alla cessione di territorio nella Pentalia. Riteneva l’alleanza con Teodorico il Grande utile in quanto, nel caso Teodorico Strabone si fosse rivoltato di nuovo, gli avrebbe potuto mettere contro l’altro Teodorico; e, anche nel caso in cui Teodorico il Grande avesse violato gli accordi e turbato la pace, sarebbe stato più facile controllarlo circondandolo da due eserciti, quello dell’Illirico e di Tracia. E affinché Teodorico non avesse problemi a sfamare il proprio esercito, essendo la Pautalia priva di raccolti, consegnò all’ambasciatore duecento libbre d’oro affinché le affidasse al prefetto di quella regione in modo che fosse trasportato sufficiente grano per soddisfare le necessità dell’esercito gotico di Teodorico. Ma ancora prima che Adamanzio partisse dalla città, le truppe a presidio di Tessalonica, notando l’uscita del prefetto Giovanni, lo aggredirono.

Mentre i Tessalonicesi operavano in questa maniera, Teodorico il Grande, mentre si trovava nei pressi di Eraclea, inviò ambasciatori a Sidimunto nell’Epiro. Sidimunto era nipote di Edingo, amico di Berene e posto a capo dei domestici, ed era al servizio dell’imperatore nonostante fosse ostrogoto. L’ambasceria di Teodorico, richiamando le comuni origini e l’antica parentela, tentò di convincerlo ad aiutare Teodorico nell’impadronirsi della città di Epidamno e dell’intero Epiro. L’ambasceria riuscì nel suo scopo, e Sidimunto, approfittando della fiducia goduta presso la popolazione di Epidamno, convinse gli abitanti della città di fuggire nelle isole o nelle altre città portando con sé tutti i loro beni, asserendo che in breve tempo Teodorico avrebbe assaltato Epidamno per ordine di Zenone. Nella città vi era una guarnigione di 2.000 soldati, che sarebbero stati in teoria sufficienti a difendere la città da un assalto nemico, ma anch’essa accettò di evacuare la città, temendo di contrariare l’imperatore.

Nel frattempo Teodorico si trovava a Eraclea, in attesa di notizie da Sidimunto, anche se aveva annunciato pubblicamente che la sosta fosse dovuta alle condizioni di salute della sorella, e che fosse in attesa dell’ambasciatore dell’Imperatore. Teodorico saccheggiò Eraclea, la cui popolazione si era rifugiata in una forte e munitissima rocca, munita di molto frumento e vino. Dopo aver rinunciato ad assediare la rocca, Teodorico prese l’arduo e angusto sentiero che portava nel nuovo Epiro. Mandati in avanguardia i cavalieri, l’esercito ostrogoto avanzò con Teodorico alla testa, Socis, secondo a Teodorico nel grado, a condurre il centro, e Teodemundo alla coda. Teodorico alle guardie dei carri ed a tutta la salmeria di avanzare, e nel frattempo continuò a saccheggiare altre città. Assaltò Luenedo ma senza successo in quanto era situata in un luogo erto e difficile da espugnare, piena di acque sorgenti, e ben munita di frumento. Distrusse Carpia, da tempo evacuata, e poi assalì e prese Epidamno. Tuttavia Adamanzio, non appena lo seppe, inviò uno uno dei cavalieri imperiali affinché rimproverasse Teodorico di essere venuto meno alla parola data all’ambasceria e gli intimasse di fermarsi fino al suo arrivo. Adamanzio dunque abbandonò Tessalonica e giunse a Edessa accompagnato da Filosseno. A Edessa dimorava Sabiniano, che nominarono comandante delle truppe, e si discusse sul da farsi. Non si ritenne opportuno attaccare i barbari mentre erano in ritirata, disponendo Sabiniano soltanto di un esiguo numero di soldati, per di più mercenari e raccolti tra i suoi domestici e i famigliari. Quelli facenti parte delle legioni ordinarie e pagati con pubblico soldo erano o sparsi per le città o partiti con Onulfo. Si deliberò pertanto di richiamare con bandi il maggior numero possibile di soldati. Nel frattempo ritornò il cavaliere in compagnia di un prete dei barbari per riferire Adamanzio che Teodorico aveva accettato di incontrarlo. Adamanzio e Sabiniano, con un seguito di 200 armati, si recarono dunque a Luenedo. Giunto qui Adamanzio inviò un altro ambasciatore a Epidamno per riferire a Teodorico di avvicinarsi alle porte della città di Luenedo, scortato da pochi, volendo discutere con lui. In alternativa Adamanzio si mostrò disposto a recarsi a Epidamno, a condizione che il capo ostrogoto avesse inviato a Luenedo due ostaggi goti come garanzia che Adamanzio sarebbe tornato sano e salvo. Alla fine Adamanzio si avviò con duecento soldati per ripe inaccessibili, per erti colli, e arrivò a un forte nei pressi di Epidamno, posto su un poggio scosceso, e nelle cui vicinanze vi era un burrone sotto il quale scorreva un vorticoso fiume. L’incontro con Teodorico avvenne nei pressi di questo luogo. Il comandante ostrogoto accusò i Romani di essere infidi e sleali nonché spergiuri. Infatti non avevano mantenuto la promessa di inviargli rinforzi nella guerra contro Teodorico Strabone e probabilmente, asseriva Teodorico il Grande, il loro scopo era quello di lasciare che i due Teodorico si combattessero a vicenda in modo poi da indebolirli e poi poterli annientare più facilmente. A tale accuse Adamanzio rispose rammentando gli onori conferiti a Teodorico dall’Imperatore (era stato nominato patrizio e comandante) e le conseguenti ricchezze e doni ricevuti, e lo accusò di ingratitudine perché stava saccheggiando l’Impero nei confronti dei quali avrebbe dovuto essere riconoscente. Adamanzio, dopo aver rammentato al barbaro la forza dell’esercito romano pronto non appena possibile ad affrontarlo e a vincerlo, esortò il barbaro a più miti propositi, proponendogli di ritirarsi dai territori saccheggiati od occupati e di ritirarsi in Dardania, dove avrebbe trovato un suolo bisognoso di agricoltori che gli avrebbe fornito tutti i prodotti necessari ad alimentare e sostenere il suo esercito. Teodorico obiettò che non gli era possibile al momento trasferirsi in Dardania con l’esercito, troppo stanco per compiere tale spostamento, e chiese che gli fosse concesso di svernare nel luogo in cui si trovava in quel momento, promettendo in cambio che si sarebbe astenuto dal saccheggiare o dall’assaltare altre città. Si mostrò d’accordo sul trasferirsi in primavera in Dardania, chiedendo però in cambio che gli fosse concesso di stabilirsi con il suo esercito e il popolo in una città della regione a scelta dell’Imperatore; in cambio Teodorico avrebbe dato in ostaggio madre e sorella a garanzia delle sue promesse. Teodorico il Grande prometteva che avrebbe combattuto gli Ostrogoti di Tracia al comando di Teodorico Strabone, ma chiedeva in cambio di ricevere la carica di magister militum praesentalis e grandi onori; inoltre si era mostrato disposto a marciare in Dalmazia per favorire la causa di Giulio Nepote. Adamanzio riferì che avrebbe riferito le sue condizioni all’Imperatore e gli avrebbe fatto sapere la risposta di Zenone, e i due si congedarono.

Nel frattempo, però, Sabiniano assalì con la sua armata parte dell’esercito ostrogoto, sotto il comando di Teodemunto, prendendo duemila carri e facendo oltre cinquemila prigionieri. Teodemunto riuscì a trovare riparo in una fortezza. Nel frattempo Adamanzio comunicò per lettera a Zenone le condizioni di Teodorico. Anche Sabiniano e il prefetto Giovanni scrissero all’Imperatore, consigliandogli di non cedere alle condizioni del barbaro, ritenendosi in grado di vincerlo, come dimostrava la recente vittoria. Zenone, convinto da Sabiniano, preferì la guerra a una pace disonorevole e ordinò a Sabiniano e Gentone (un comandante romano di origini gote) di proseguire la guerra con tutte le forze militari disponibili, senza accettare ulteriori negoziazioni con il barbaro. Sabiniano riuscì effettivamente a combattere efficacemente Teodorico ma nel 481 morì per un intrigo di corte.

Verso la fine del 479 avvenne la rivolta del generale Marciano. Teodorico Strabone ne approfittò per marciare con il suo esercito di barbari su Costantinopoli, con il pretesto di difenderla da Marciano ma con il proposito segreto di saccheggiarla. Zenone, intuiti i reali propositi del capo barbaro, gli scrisse lodandone il coraggio e la volontà di soccorrerlo ma al contempo ordinandogli di ritirarsi. Teodorico Strabone rispose che avrebbe voluto obbedire all’Imperatore, ma che non poteva condurre indietro anche solo parte del suo esercito senza accordargli qualche ristoro. Zenone gli inviò allora Pelagio con molto denaro da spartire tra il capo e l’intero suo esercito gotico, con promesse di ulteriori doni. In questo modo riuscì a ottenere il ritiro di Teodorico.

Dopo aver estorto denaro a Zenone, Teodorico Strabone ricevette tuttavia due dei cospiratori nel suo accampamento e rifiutò di consegnarli. Fu dunque ancora una volta privato delle sue dignità e dichiarato nemico pubblico. Entrò di nuovo in alleanza con Teodorico il Grande e si diede a devastare la Tracia. Il ricorso di Zenone ai Bulgari si rivelò vano, dato che furono sconfitti da Teodorico Strabone, che a questo punto marciò su Costantinopoli (anno 481). Il tentativo di insignorirsi della capitale fu però sventato dal generale Illo. Teodorico Strabone tentò allora di sbarcare in Bitinia, ma fu sconfitto in una battaglia navale, e fu costretto a ripiegare verso la Grecia, forte di un esercito di 30.000 soldati, ma morì durante la marcia in seguito a un’accidentale caduta da cavallo (anno 481). Gli succedette il figlio Recitaco che continuò a devastare la Tracia, “compiendo atti più oltraggiosi persino di quelli compiuti dal padre”. Tre anni dopo, nel 484, Recitaco fu ucciso da Teodorico il Grande su istigazione di Zenone.

TEODORICO E ZENONE: RAPPORTO DI AMORE E ODIO

Il rapporto tra Zenone e Teodorico ebbe alti e bassi, con il re ostrogoto che a tratti assisteva l’Impero e a tratti lo saccheggiava. Nel 482 Teodorico, avendo ormai mano libera in seguito all’assassinio di Sabiniano avvenuto l’anno prima, saccheggiò le province della Macedonia e della Tessaglia, espugnando la città di Larissa. Nel 483 Zenone fu costretto a venire a patti con Teodorico, accettando di cedere parti della Mesia e della Dacia Ripense agli Ostrogoti, e di nominare Teodorico magister militum. Teodorico, pacificato con l’imperatore, nel 484 rivestì il consolato e assistette Zenone nella guerra contro il generale ribelle Illo. Ma i rapporti si deteriorarono di nuovo. Nel 486 Teodorico devastò la Tracia e l’anno successivo marciò sulla stessa Costantinopoli, dopo aver occupato le città di Rhegium e di Melantias. Ma l’intervento di sua sorella, che si trovava alla corte di Zenone, lo indusse a ritirarsi in Mesia. Poco tempo dopo, Zenone lo istigò a invadere l’Italia per detronizzare Odoacre.

TEODORICO INVADE E CONQUISTA L’ITALIA

Come già detto, vi era ormai aperta ostilità tra Odoacre e Zenone, e il re d’Italia aveva appena sconfitto i Rugi che Zenone aveva istigato contro di lui. Nel frattempo Teodorico e i suoi Ostrogoti continuavano a turbare l’ordine nelle province illiriche. Zenone e i suoi ministri ebbero dunque la brillante idea di punire Odoacre e al contempo liberare le province illiriche dalla minacciosa presenza degli Ostrogoti affidando a Teodorico il compito di detronizzare Odoacre. Teodorico accettò la proposta. Fu concordato che “nel caso Odoacre fosse stato sottomesso, Teodorico avrebbe, come ricompensa per i suoi servigi, governato in luogo di Odoacre, fino alla venuta dello stesso Zenone”. Dunque Zenone non rinunciava ai suoi diritti di sovranità sull’Italia.

Teodorico dunque abbandonò la Mesia nell’autunno del 488 con l’intero suo popolo, che forse arrivava ad annoverare all’incirca 100.000 persone. Lungo la sua avanzata passò per Viminacium e Singidinum, ma nei pressi di Sirmio fu costretto ad affrontare in battaglia i Gepidi, che all’epoca detenevano la città. Sirmio fu presa dopo un duro combattimento, ma i Goti decisero di non porvi una guarnigione dopo averla saccheggiata e i Gepidi la rioccuparono. A questo punto, per ragioni ignote, l’avanzata degli Ostrogoti rallentò considerevolmente e solo alla fine di agosto del 489 gli Ostrogoti attraversarono le Alpi Giulie e raggiunsero il fiume Isonzo. Trovò già Odoacre pronto ad attenderlo in un accampamento fortificato e a dargli battaglia. Odoacre aveva ricevuto rinforzi dalle altre potenze barbare, tra cui forse i Burgundi. La battaglia, combattuta tra l’Isonzo e il Frigido il 28 agosto 489, vide la vittoria di Teodorico. Odoacre, costretto a ripiegare sull’Adige, allestì un accampamento fortificato nei pressi di Verona. Fu qui che ebbe luogo la seconda battaglia della guerra (il 29 settembre 489), che vide ancora una volta una vittoria per Teodorico, con pesanti perdite da ambedue le parti. In seguito alla disfatta, Odoacre fuggì a Ravenna mentre la maggior parte del suo esercito, alla guida di Tufa, si arrese a Teodorico, che a questo punto marciò su Milano.

A questo punto sembrava che Teodorico avesse ormai la vittoria in pugno e che gli rimanesse solo la conquista di Ravenna per vincere la guerra, ma il tradimento di Tufa cambiò la situazione. Teodorico, fidandosi prudentemente di lui, lo aveva inviato contro Odoacre, ma a Faenza passò di nuovo dalla parte del suo ex padrone e gli consegnò i Goti del suo esercito, che furono fatti prigionieri. Teodorico svernò a Pavia, cercando di stringere buoni rapporti con il vescovo cittadino Epifanio che aveva grande influenza su Odoacre. L’anno successivo Odoacre passò al contrattacco espugnando Cremona e Milano e bloccando il nemico a Pavia. A questo punto i Visigoti inviarono un esercito in Italia in soccorso agli Ostrogoti, riuscendo a liberare Pavia dall’assedio di Odoacre. La battaglia decisiva si combatté nei pressi del fiume Adda l’11 agosto 490 e vide la vittoria di Teodorico. Odoacre fu costretto a fuggire di nuovo a Ravenna, mentre il senato romano, visto l’esito della battaglia, decise di sposare la causa di Teodorico rendendolo padrone di Roma, dell’Italia Meridionale e della Sicilia.

Nel frattempo, poco prima la battaglia dell’Adda, Odoacre nominò Cesare suo figlio Tela, atto equivalente a dichiarare l’Italia indipendente da Costantinopoli. Probabilmente Odoacre intendeva approfittare dei rapporti conflittuali tra i cristiani calcedoniani italici e l’Oriente romano, a causa delle divergenze religiose. Ritenne che la decisione di rompere ogni legame tra l’Italia e Costantinopoli avrebbe ricevuto il benvenuto a Roma e nelle province. La disfatta di Odoacre nella battaglia dell’Adda rovinò tutto, spingendo il senato romano a sposare la causa di Teodorico. Verso la vine dell’anno Festo, caput senatus, si recò a Costantinopoli per annunciare a Zenone il successo di Teodorico.

Tuttavia Teodorico dovette fronteggiare nel frattempo altre difficoltà. Odoacre aveva ancora a disposizione le truppe di Tufa. Nel frattempo il re burgundo Gundobado aveva inviato un esercito a devastare l’Italia Settentrionale mentre i Vandali decisero di approfittare della situazione invadendo la Sicilia nel tentativo di riconquistarla. Teodorico tuttavia respinse i Vandali e li costrinse a cedergli la fortezza di Lilybaeum.

Nel frattempo Teodorico prese la terribile decisione di massacrare le guarnigioni militari al servizio di Odoacre. La popolazione italica era favorevole alla causa di Teodorico, e ordini segreti furono inviati ai cittadini di massacrare i soldati a un giorno concordato. Teodorico probabilmente intendeva vendicarsi dell’esercito di Odoacre per essere dapprima passato dalla sua parte per poi disertare e tradirlo. Il piano andò in porto. A questo punto a Teodorico non rimaneva che conquistare Ravenna. L’assedio di Ravenna si protrasse per circa tre anni. Il 25 febbraio 493, infine, si raggiunse un accordo: Odoacre e Teodorico avrebbero governato l’Italia congiuntamente. Teodorico entrò a Ravenna il 5 marzo 493. Tuttavia, alcuni giorni dopo, il 15 marzo 493, Teodorico assassinò con le proprie mani Odoacre, con il pretesto di un presunto complotto ordito da Odoacre ai suoi danni. Nello stesso giorno tutti i soldati di Odoacre furono trucidati.

Dopo l’assassinio di Odoacre, Teodorico emanò un editto che privava di tutti i diritti civili tutti quei italici che avevano osato non sposare la sua causa. Tuttavia il vescovo di Pavia, Epifanio, persuase il re ostrogoto ad abrogare l’editto e a promettere che non ci sarebbero state esecuzioni.

La guerra nel frattempo aveva cagionato numerosi danni ai campi dell’Italia, danneggiando la produttività agricola della penisola. La Liguria era stata devastata dai Burgundi che avevano deportato nella loro patria migliaia di prigionieri, con la conseguenza che non era rimasto nessuno (o quasi) a coltivare i campi perché molti erano stati fatti prigionieri dai Burgundi. Teodorico affidò a Epifanio l’incarico di persuadere Gundobado a liberare i prigionieri mediante riscatto. Nel marzo 494 Epifanio attraversò le Alpi e fu ricevuto dal re burgundo a Lione. La sua missione diplomatica ebbe successo: Gundobado liberò tutti i prigionieri, e tutti gli schiavi furono riscattati. Più di seimila prigionieri fecero ritorno in Italia.