Reazione antigermanica a Costantinopoli? Le rivolte di Gainas e di Tribigildo

UN PARTITO ANTIGERMANICO A COSTANTINOPOLI?

Nel 398 Sinesio di Cirene, retore e letterato proveniente dalla Cirenaica, si recò in ambasceria alla corte dell’Imperatore Arcadio a Costantinopoli per chiedere una riduzione delle tasse per le città della Pentapoli. Il discorso recitato di fronte all’Imperatore Arcadio fu poi pubblicato con il titolo di “De regno”. Nel “De regno” di Sinesio traspare un profondo sentimento antigermanico. Scrive Sinesio infatti:

Ammesso ciò, in compagnia di quale razza di soldati dovrebbe un filosofo devoto al suo sovrano desiderare che dovesse allenare il suo corpo […]? Evidentemente quelli provenienti dalle campagne e delle città, in una parola delle terre in cui regna, che gli fornisce combattenti e li seleziona come guardie dello stato, e per le leggi a […] cui sono stati educati, perché quelli sono quelli che Platone preferiva persino ai cani da guardia. Ma il pastore non deve mischiare i lupi con i suoi cani […]; perché nel momento in cui essi noteranno ogni debolezza […] nei cani li attaccheranno, il gregge e anche il pastore. […] Nel caso delle città […], dobbiamo separare le parti estranee […]. Ma non organizzare una forza per fronteggiare questi uomini, e garantire immunità dal servizio militare a coloro che lo richiedono, e permettere ai contadini di dedicarsi ad altre necessità, come se quell’esercito barbaro fosse la nostra produzione nativa, tutto ciò non è l’atto di uomini che stanno accelerando la loro rovina? Invece di permettere agli Sciti di servire nel nostro esercito, dovremmo cercare dall’agricoltura così cara a costoro gli uomini che combatterebbero per difenderlo […]. Prima che le cose volgano al peggio, come stanno ora tendendo, dovremmo recuperare il coraggio degno dei Romani, e abituarci di nuovo a ottenere da soli le nostre vittorie, non ammettendo l’amicizia con questi stranieri, ma impedendo la loro partecipazione in ogni rango. Prima di tutto bisognerebbe escluderli dalle magistrature […] uomini […] come quello che si toglie la pelliccia da pecora […] per assumere la toga, ed entra nel senato per deliberare su questioni di stato con i magistrati romani, disponendo di un posto a sedere prominente forse accanto a quello del console, mentre gli uomini retti siedono dietro di lui. Questi tali, quando lasciano l’assemblea, si rivestono delle loro pellicce da pecora, e una volta in compagnia dei loro seguaci, deridono la toga, e sostengono che indossandola non riescono nemmeno a sguainare la spada. Da parte mia mi meraviglio di molte altre cose, ma non di meno per la nostra condotta assurda. Tutto questo alla faccia che ogni casa, anche modesta, ha uno servo scita […] ed è stato provato […] che la loro è la razza più utile, e più idonea a servire i Romani. Ma che questi […] dovrebbero essere servi in privato a quegli stessi uomini che essi governano in pubblico, questo è strano, forse la cosa più incredibile […]. Se, come suppongo, è nella natura delle cose che ogni servo è il nemico del suo signore poiché ha speranze di sopraffarlo, accadrà ciò anche con noi? Stiamo noi facendo germogliare a una scala molto più grande i germi di guai inauditi? Si rammenti che nel nostro caso non sono meramente due uomini, o degli individui disonorati a condurre una ribellione, ma grandi e perniciose armate che, connazionali dei nostri stessi servi, hanno per scherzo malvagio del destino ridotto in cattivo stato l’Impero romano, e hanno fornito generali di grande reputazione sia tra di noi che tra loro stessi, “per la nostra stessa natura codarda”. È necessario ridurre la loro forza, è necessario rimuovere la causa straniera della malattia […] perché i mali devono essere curati al principio della loro insorgenza, perché quando si sviluppano è troppo tardi per arrestarli. L’esercito deve essere purificato dall’Imperatore […]. (De regno, 14-15)

Riguardo ai Foederati Goti insediati nel 382 all’interno dell’Impero Sinesio scrive:

Ma in questi giorni [i Goti] si sono presentati di fronte a noi, non per sfidarci in battaglia, ma come supplicanti, perché erano stati scacciati dal loro paese [dagli Unni]. […] Quando loro avevano pagato la pena per la loro condotta grazie a tuo padre [Teodosio], che aveva preso le armi contro loro, essi di nuovo divennero oggetto di compassione, e si prostrarono ai suoi piedi supplicanti insieme alle loro donne, e colui che era stato il loro conquistatore in guerra, fu sopraffatto dalla pietà. Li sollevò dalla loro posizione prostrante, li rese suoi alleati, e li ritenne degni della cittadinanza. Inoltre, aprì loro l’accesso agli uffici pubblici, e consegnò nelle loro mani […] parte del territorio romano […]. Fin dall’inizio questi uomini ci hanno trattato con derisione, sapendo cosa meritavano di subire per nostra mano, e cosa dovrebbero meritare; e questa nostra reputazione ha incoraggiato i loro vicini […] a implorare […] indulgenza usando come precedente il caso di queste canaglie. […] È necessaria quindi l’ira contro questi uomini, ed essi o areranno il suolo in obbedienza agli ordini […] o percorreranno di nuovo la stessa strada per fuggire, e annunciare a coloro al di là del fiume che la loro precedente gentilezza non sopravvive più presso i Romani, perché una persona giovane e di nobile nascita [Arcadio] è alla loro testa […]. (De regno, 15)

Due anni dopo, nel 400, Sinesio scrisse una seconda opera, De Aegyptus sive de Providentia, nella quale mescola fatti storici veramente accaduti (le rivolte di Gainas e di Tribigildo del 399-400) con il mito di Osiride e Tifone narrato tra gli altri da Plutarco. L’opera De Providentia narra della lotta per il trono d’Egitto tra Osiride, il quale nutre un atteggiamento ostile nei confronti dei Barbari, e Tifone, che invece è amico dei Barbari. Tifone, con l’aiuto dei Barbari, riesce a detronizzare e a esiliare il fratello Osiride e a impossessarsi del trono d’Egitto, ma nella sua capitale, Tebe, scoppia un’insurrezione antibarbarica e alla fine i Barbari vengono scacciati, Tifone viene deposto e Osiride viene richiamato dall’esilio.

Basandosi su queste due opere di Sinesio, molti studiosi moderni, a partire da Otto Seeck, hanno supposto che alla fine del IV secolo si fosse formato a Costantinopoli una sorta di “partito antigermanico”, costituito da senatori ostili a Eutropio e all’eccessivo imbarbarimento dell’esercito. Questo presunto “partito antigermanico” avrebbe avuto per capo Aureliano, prefetto del pretorio d’Oriente nel 399-400 e console per l’anno 400, da identificare con l’Osiride dell’opera di Sinesio. Contrapposto al partito antigermanico vi sarebbe stato, secondo tale teoria, un partito filogermanico condotto presumibilmente da Cesario (il “Tifone” dell’opera di Sinesio). Nel contesto di una lotta tra partito filogermanico e antigermanico tali studiosi inquadrano le rivolte dei generali goti Gainas e Tribigildo. Più recentemente, studiosi come Alan Cameron, hanno messo in discussione siffatta teoria del partito antigermanico, interpretando in maniera diversa questi avvenimenti.

LA RIVOLTA DI TRIBIGILDO

Nel 399, secondo Zosimo, tutto l’ordine senatoriale era gravato da come procedevano gli affari, e in particolar modo il generale Gainas, che era adirato nei confronti di Eutropio, non essendo mai stato ricompensato con grandi onori nonostante i suoi grandi servigi. Secondo Zosimo, si sarebbe alleato quindi con Tribigildo, che era un uomo di audacia straordinaria e pronto a ogni impresa perigliosa. Tribigildo aveva sotto il suo comando non Romani ma Barbari, i Goti Greutungi, che erano stazionati in Frigia, e la cui cura gli era stata affidata dall’Imperatore. Claudiano ci informa Tribigildo, fiero comandante dello squadrone gotico, era appena tornato a mani vuote da un incontro con Eutropio; delusione e indignazione aveva aggravato la sua ira, in quanto non si sentiva sufficientemente ricompensato per i suoi servigi. Notava con invidia che chi rompeva i trattati, come Alarico, otteneva ricompense; e ciò lo spinse alla rivolta, persuaso che solo in questo modo poteva ottenere ciò che gli spettava di diritto. Diversi studiosi moderni tendono a diffidare di Zosimo per quanto riguarda la presunta collusione tra Gainas e Tribigildo, considerandole illazioni senza alcuna certezza. E’ possibile che Tribigildo si fosse rivoltato senza essere stato istigato a sua volta da Gainas, e solo in seguito Gainas avrebbe sfruttato la rivolta di Tribigildo per tramare la rovina di Eutropio.

Secondo il racconto di Zosimo, poco prima della rivolta, Tribigildo lasciò Costantinopoli recandosi in Frigia con il pretesto di ispezionare i Barbari sotto il suo comando. Giunto in Frigia, sobillò i suoi soldati alla rivolta, attaccando tutte le città e gli abitanti in cui si imbatteva lungo la sua marcia, e non astenendosi dall’uccidere uomini, donne e fanciulli. In breve tempo a lui si unirono numerosi schiavi e altri uomini disperati, con l’aiuto dei quali minacciò l’intera Asia Minore. Non solo riempì la Lidia di tumulto, costringendo i suoi abitanti a cercare riparo sulle coste, e da lì tentare la salvezza con le loro famiglie salpando per le isole, o qualunque altra provincia; ma l’intera Asia Minore fu colta dal panico.

Quando la notizia della rivolta di Tribigildo e delle devastazioni da lui compiute in Frigia e in Lidia raggiunsero l’Imperatore Arcadio, costui né si preoccupò troppo della calamità generale, né riuscì a comprendere come agire correttamente per risolvere la crisi, tanto stolto era questo Imperatore, ma abbandonò l’intera amministrazione dell’Impero ad Eutropio. Quest’ultimo a sua volta nominò Gainas e Leone suoi generali, intendendo inviare l’ultimo in Asia per attaccare i Barbari ribelli che la devastavano, e Gainas in Tracia e nell’Ellesposto per difendere quelle regioni in caso di attacco nemico. Gainas fu inviato in Tracia per impedire a Tribigildo e ai suoi seguaci di attraversare l’Ellesponto, o, eventualmente, affrontarlo in una battaglia navale. Quando i due comandanti ricevettero le opportune istruzioni, essi condussero le loro truppe nelle loro rispettive stazioni.

Leone, che era stato assunto per liberare l’Asia Minore dai saccheggi nemici, era un uomo privo di talento militare, e non meritava di essere elevato al suo rango presente, se non per essere amico intimo di Eutropio. Solo per tale ragione ottenne tale alta carica. Comandate da un comandante così inetto, le legioni furono dominate dal disordine e dall’indisciplina. Secondo Claudiano, sotto il comando di Leone, non più la cavalleria cavalcava davanti alla fanteria; non veniva scelto terreno adatto agli accampamenti; nessun cambiamento costante di sentinelle garantiva la sicurezza generale, né esploratori erano inviati in avanguardia per scoprire quali strade prendere e quali evitare; le manovre erano effettuate con incuria e indisciplina, senza prendere precauzioni sufficienti per evitare imboscate in foreste e in stretti passi.

Nel frattempo Tribigildo, avendo devastato tutta la Frigia, invase la Pisidia, dove non incontrò ostacoli. Saccheggiò l’intera provincia e si ritirò. Leone nel frattempo continuava inoperoso a stazionare nei pressi dell’Ellesponto, esitando ad avanzare per confrontarsi con Tribigildo per viltà. Egli giustificò questa sua vergognosa inazione con il pretesto che Tribigildo avrebbe potuto approfittare della partenza di Leone dall’Ellesponto per saccheggiare proprio quella regione. Proprio per questa vergognosa inazione di Leone, a Tribigildo fu consentito di prendere tutte le città senza opposizione, e di uccidere tutti i loro abitanti insieme ai soldati. Non un singolo barbaro avrebbe combattuto per i Romani, ma nei conflitti si unirono ai loro connazionali contro i sudditi dell’Impero.

Tribigildo, nel frattempo, decise di invadere la Panfilia, che confina con la Pisidia. Qui fu costretto a percorrere strade impervie, tramite le quali il suo cavallo non poteva passare. Poichè nessun esercito opponeva resistenza all’avanzata del ribelle, un certo Valentino, un abitante di Selga, una cittadina della Panfilia, non inesperto nell’arte militare, radunò una banda di schiavi e contadini, che era abituato a fronteggiare i banditi della regione. Collocò questi su una collina desiderando tendere un’imboscata all’armata di Tribigildo. Tribigildo e i suoi Barbari, entrando di notte nei campi sotto Selga, furono presi a sassate dall’esercito improvvisato di Valentino collocati sopra di loro, e non c’era via di fuga, essendoci da un lato della strada un lago profondo e dall’altro lato un passaggio molto stretto, che a stento avrebbe potuto far passare due uomini per volta. Inoltre quella strettoia era sorvegliata da soldati sotto il comando di Florenzio per impedire il passaggio a chi lo avesse tentato. I Barbari, essendo rimasti bloccati in quel luogo, ed essendo colpiti da grandi quantità di pietre gigantesche gettate continuamente su di loro, furono uccisi quasi tutti; questo perché erano confinati in un posto talmente piccolo, che le pietre che cadevano su di loro non potevano fallire di uccidere almeno alcuni di loro. Essendo quindi in grandi perplessità, molti di loro si gettarono per la disperazione con i loro cavalli nel lago, e per evitare di perire per lapidazione perirono nell’acqua. Tribigildo, tuttavia, con trecento dei suoi uomini, passò attraverso la strettoia, e corruppe Florenzio e le sue guardie con una grossa somma di denaro affinché permettessero loro di passare. Anche se in questo modo riuscì a fuggire, il suo esercito era stato quasi totalmente distrutto. Quasi tutti gli abitanti delle città limitrofe, armandosi da se, lo circondarono insieme ai suo trecento soldati tra i fiumi Melane e Eurimedone, uno dei quali scorre al di sopra di Sida, e l’altro attraverso Aspendo.

Secondo il racconto di Zosimo, essendo quindi in forte pericolo, Tribigildo implorò l’aiuto di Gainas. Questo comandante, fingendo di non essere colluso con Tribigildo, inviò Leone in assistenza dei Panfili, e per unirsi con Valentino contro Tribigildo per impedire a lui e ai suoi uomini di attraversare i fiumi. Leone, anche se pusillanime e dissoluto di natura, obbedì agli ordini. Tuttavia, essendo timoroso che, anche inviandogli contro un comandante inetto come Leone, Tribigildo avrebbe potuto essere annientato, dato che era circondato da ogni lato, e senza uomini a sufficienza per confrontarsi con il nemico, decise di inviare altre truppe barbare che erano con lui nell’accampamento romano affinché aiutassero Tribigildo a fuggire. Questi Barbari, che Gainas aveva inviato a Leone come ausiliari, attaccarono ogni romano in cui si imbatterono, devastarono il territorio, sconfissero e uccisero in battaglia Leone e tutto il suo esercito, e trasformarono l’intera regione in un deserto. Tribigildo riuscì così a fuggire dalla Panfilia e a devastare le città della Frigia.

LA ROVINA DI EUTROPIO

Gainas non perse l’occasione per magnificare i successi di Tribigildo all’Imperatore, e ad allarmare il senato e l’intera corte, persuadendo loro che Tribigildo avrebbe avanzato fino all’Ellesponto, e avrebbe sovvertito l’Impero, a meno che l’Imperatore non avrebbe accettato le sue richieste. Gainas operava in siffatto modo per ottenere ciò che desiderava tramite le concessioni che Tribigildo avrebbe estorto all’Imperatore. Infatti, era molto dispiaciuto di essere trascurato, mentre al contrario Eutropio aveva conquistato tanto potere, da essere innalzato persino al rango di console e di patrizio. Era l’invidia nei confronti di Eutropio che principalmente spinse Gainas alla rivolta. Gainas desiderava l’esecuzione di Eutropio.

Con tale scopo, mentre era ancora in Frigia, Gainas inviò all’Imperatore un messaggio e lo informò che disperava nella vittoria, essendo Tribigildo un soldato formidabile, e che sarebbe stato pressoché impossibile liberare l’Asia Minore dalle calamità da lui portate, a meno che l’Imperatore non avesse acconsentito a soddisfare la sua richiesta, ovvero, che Eutropio, che era stata la causa principale di quello che era successo, fosse consegnato nelle sue mani. Eutropio si era fatto nel frattempo un altro nemico, l’Imperatrice. Eutropio aveva infatti trattato in un’occasione la moglie di Arcadio con grande indegnità: la minacciò di cacciarla dal palazzo. Allora, l’Imperatrice si presentò all’Imperatore e si lamentò con lui con molte lacrime per il comportamento dell’eunuco. L’Imperatore, pieno di rabbia per questo fatto nei confronti di Eutropio, divenne più disposto ad accettare le richieste di Tribigildo. L’Imperatore Arcadio, per le pressioni ricevute sia da Gainas che da Tribigildo che dalla moglie, oltraggiata dall’eunuco, immediatamente privò Eutropio delle sue dignità e delle sue ricchezze e lo destituì. Eutropio cercò immediatamente riparo in una chiesa cristiana, in cerca di asilo politico. Ma Gainas insistette che Gainas dovesse essere trascinato a forza dalla chiesa in cui si era rifugiato e trasportato in esilio a Cipro sotto rigorosa sorveglianza. Alla fine, le guardie dell’Imperatore riuscirono, con il giuramento che non lo avrebbero giustiziato, a spingere Eutropio a uscire dalla chiesa e lo deportarono in esilio a Cipro.

Tuttavia, dopo poco tempo, in seguito alle continue insistenze di Gainas, i ministri dell’Imperatore violarono il giuramento che avevano fatto a Eutropio, richiamandolo dall’esilio a Cipro. Alcune persone, infatti, lo avevano accusato di aver fatto uso durante il suo consolato di ornamenti che nessuno tranne l’Imperatore poteva legalmente usare, per cui Eutropio fu richiamato per essere processato. Quando i giudici si sedettero nel posto chiamato Pantichium, e Aureliano prefetto del pretorio d’Oriente e tutti gli altri alti magistrati furono incaricati di giudicare il caso, Eutropio fu condannato per i crimini commessi con la pena capitale. Come se i ministri avessero solo giurato che non l’avrebbero giustiziato mentre era a Cipro o a Costantinopoli, lo trasportarono a Calcedonia, e lo giustiziarono lì. La sorte aveva così trattato Eutropio in maniera molto singolare, prima innalzandolo a onori mai concessi prima a un eunuco e poi facendolo giustiziare.

GAINAS PRENDE IL POTERE

Secondo Zosimo, Gainas, non avendo ancora rivelato la collusione con Tribigildo, fece da intermediario nelle negoziazioni di pace tra il generale ribelle e l’Imperatore. Dopo che Gainas e Tribigildo si scambiarono a vicenda giuramenti, Gainas ritornò indietro attraversando la Frigia e la Lidia. Tribigildo lo seguì seguendo lo stesso percorso, marciando attraverso la Lidia ma non passando per Sardi, la metropoli di tale provincia. Gainas e Tribigildo si ricongiunsero a Thyathira. Qui Tribigildo si mostrò pentito per non aver saccheggiato Sardi, in quanto era facile espugnarla, essendo priva di ogni difesa. Decise quindi di tornarvi con Gainas per assaltarla. Il loro piano avrebbe sicuramente avuto successo, se non fosse caduto un diluvio, che riempì i fiumi rendendoli invalicabili. E fu così che il loro viaggio verso Sardi fu reso impraticabile. Allora essi si divisero tra loro il territorio, e Gainas condusse le proprie truppe verso la Bitinia, mentre Tribigildo condusse le sue verso l’Ellesponto, permettendo ai Barbari al suo seguito di saccheggiare tutto quello che trovavano lungo il cammino. Quando l’uno arrivò a Calcedonia mentre l’altro aveva preso possesso di tutti i luoghi presso Lampsaco, Costantinopoli, con l’intera parte orientale dell’Impero, era in estremo pericolo.

Gainas chiese all’Imperatore di recarsi presso di lui per negoziare un accordo di compromesso. Si era nel marzo 400. L’Imperatore Arcadio acconsentì, e si incontrò con Gainas in un luogo nei pressi di Calcedonia, dove è collocata una chiesa dedicata alla martire cristiana Eufemia. Fu concordato che Gainas e Tribigildo potessero entrare nella Capitale, e che le persone più eminenti della corte avrebbero dovuto essere consegnati a loro per essere giustiziati. Tra questi vi era Aureliano, console in quell’anno stesso, Saturnino in precedenza console, e Giovanni, a cui l’Imperatore confidava tutti i suoi segreti, e che si sospettava fosse il vero padre biologico del presunto figlio di Arcadio, Teodosio. L’Imperatore Arcadio acconsentì a questa richiesta tirannica e insolente. Ma Gainas, quando ebbe questi uomini nelle sue mani, si accontentò di condannarli all’esilio. Gainas in seguito lasciò l’Asia per recarsi in Tracia, ordinando Tribigildo di seguirlo. Entrato a Costantinopoli, divenne magister militum praesentalis e comandante di entrambe la fanteria e la cavalleria, diventando dunque la personalità più potente dell’Oriente romano.

I sostenitori della teoria del partito antigermanico, rifacendosi al De providentia di Sinesio, sostengono che il goto Gainas avrebbe richiesto l’esilio di Aureliano, Saturnino e Giovanni in quanto presunti membri dell’altrettanto presunto partito antigermanico. Secondo costoro, in seguito alla deposizione di Eutichiano, il prefetto del pretorio d’Oriente voluto da Eutropio, ci sarebbe stata una disputa tra Aureliano (Osiride) e Cesario (Tifone) per succedergli come prefetto del pretorio d’Oriente. Aureliano sarebbe stato appoggiato dal partito antigermanico, Cesario da quello filogermanico e da Gainas. Quando Aureliano fu nominato prefetto del pretorio d’Oriente e avrebbe annunciato la sua intenzione di condurre una politica antigermanica (di cui il De regno di Sinesio ne sarebbe stato il manifesto, secondo siffatti studiosi), Gainas avrebbe reagito marciando minacciosamente su Costantinopoli e chiedendo e ottenendo la destituzione e l’esilio dei membri eminenti del partito antigermanico, tra cui Aureliano. Altri studiosi, come Cameron, non concordano, sostenendo che Gainas e Aureliano inizialmente collaborarono (per esempio richiamando dall’esilio Eutropio per farlo giustiziare) e che Gainas lo avrebbe fatto deporre non per presunti sentimenti antigermanici del prefetto ma perché Aureliano avrebbe continuato a metterlo in secondo piano non concedendogli cariche di rilievo.

L’INSURREZIONE ANTIGERMANICA A COSTANTINOPOLI

Secondo Zosimo, mentre Gainas risiedeva a Costantinopoli, distribuì i suoi soldati nei diversi quartieri della Capitale, rimuovendo molte delle guardie di corte della città. Diede ai Barbari istruzioni private che quando i soldati sarebbero partiti dalla città essi avrebbero dovuto immediatamente attaccarla, essendo ora priva di ogni protezione, e di consegnargli nelle sue mani l’autorità suprema. Gainas tentava insomma un colpo di stato per insignorirsi del potere.

Sempre secondo Zosimo, Gainas, dopo aver dato questi ordini sotto il suo comando, lasciò la Capitale, con il pretesto che le fatiche della guerra avessero compromesso la sua salute, e che quindi, necessitando di riposo, avrebbe dovuto ritirarsi per qualche tempo in una villa a circa quaranta stadi dalla città. Dopo aver lasciato i Barbari nella città, che considerevolmente eccedevano in numero le guardie di corte, si ritirò nella villa a quaranta stadi dalla città, in attesa di attaccarla.

Se Gainas non fosse stato trascinato dalla impetuosità tipica di un Barbaro, e non avesse anticipato il momento opportuno per l’attacco, i Barbari si sarebbero senza dubbio impadroniti della città e avrebbero consegnato il potere supremo a Gainas. Ma non attendendo il segnale, Gainas condusse i suoi soldati presso le mura troppo in anticipo, permettendo cosi alle sentinelle di dare l’allarme.

In questo modo sorse immediatamente un generale tumulto, in cui gli abitanti si riunirono e attaccarono i Barbari all’interno della città con tutte le armi a disposizione. Essi corsero alle mura armati e, con l’assistenza delle guardie, assalirono le truppe di Gainas, impedendo loro di entrare in città.

Essendo la città scampata al pericolo, ed essendo i Barbari circondati, più di settemila di essi fuggirono in una chiesa cristiana, situata presso il palazzo, intendendo chiedere asilo politico. L’Imperatore comandò tuttavia che fossero uccisi anche in quel luogo, e che quel luogo non poteva permettere loro di proteggerli dalla giusta punizione da essi meritata. Ma anche se l’Imperatore Arcadio diede questo comando, nessuno aveva il coraggio di eseguirlo. Essi, quindi decisero di far cadere il tetto della Chiesa sui Barbari e gettare fuoco su di loro in modo che venissero così uccisi. In questo modo i Barbari furono uccisi nella chiesa. L’aver ucciso dei Barbari in una chiesa apparve tuttavia ai Cristiani il crimine più abominevole che potesse essere commesso in questa grande città.

BATTAGLIA NAVALE TRA GAINAS E FRAVITTA

Gainas, essendogli fallita l’impresa, ora fece aperti preparativi di guerra contro lo stato. Attaccò per prime le campagne della Tracia, ma trovò le città ben protette dalle mura, e ben difese dai loro abitanti e magistrati. Gainas, dopo aver devastato tutti i raccolti e i frutti della regione, non essendo più rimasto nulla da saccheggiare e dovendo trovare nuove risorse per il sostentamento dell’esercito, decise di abbandonare la Tracia, e di dirigersi nel Chersoneso, con l’intenzione di tornare in Asia attraversando lo stretto dell’Ellesponto.

Mentre esitava in queste misure, l’Imperatore e il senato nominarono all’unanimità Fravitta comandante dell’armata da inviare contro Gainas. Fravitta, anche se barbaro di nascita, era greco in tutte le altre cose, non solo nello stile di vita, ma anche nella religione, essendo di fede pagana. Inoltre aveva combattuto molte guerre, e aveva liberato tutto l’Oriente, dalla Cilicia alla Fenicia e Palestina, dalle depredazioni dei briganti.

Non appena Fravitta ebbe ricevuto il comando, marciò contro Gainas, e ostruì il passaggio dei Barbari in Asia attraverso l’Ellesponto. Mentre Gainas si stava preparando allo scontro decisivo, Fravitta, non desiderando che i suoi uomini dovessero essere inattivi, li mantenne in esercizio continuo. Fravitta non solo ispezionò il suo accampamento giorno e notte, ma controllava di continuo anche i movimenti del nemico. Allo stesso modo, si fece procurare una flotta di liburne, un tipo di navi che prende il nome da Liburnia, una città dell’Italia.

Gainas, dopo aver marciato lungo le Lunghe Mura nel Chersoneso, aveva disposto le sue truppe lungo l’intera lunghezza della costa elevata nella Tracia, che si estende dall’opposta Parium, fino a Lampsaco, Abydos, e nella parte più stretta dello stretto. Il generale romano Fravitta, dall’altra parte, teneva sempre sott’occhio le mosse nemiche.

Gainas, in cerca di provviste, fece fabbricare ai propri soldati delle zattere in grado di contenere sia uomini che cavalli facendo tagliare gli alberi delle foreste del Chersoneso. Queste zattere non erano in grado di essere guidate con remi. Con queste zattere rudimentali tentò di sfidare le correnti dello stretto ordinando ai suoi soldati di tentare la traversata con esse. Egli stesso rimase sulla costa, nelle speranze di ottenere una vittoria, supponendo che i Romani non potessero competere con le sue truppe in uno scontro.

Il generale romano Fravitta non era incauto, e ordinò alla sua flotta di scontrarsi con quella nemica. Capendo che le rudimentali zattere nemiche venivano condotte dalla corrente in qualunque direzione volesse, attaccò per prime quelle davanti a tutte, affondandole tutte agevolmente. Quando gli equipaggi delle altre navi della flotta di Fravitta videro questo primo successo, emularono l’esempio, e così facendo inflissero ulteriori perdite al nemico, affondando le zattere e facendo annegare gli uomini a bordo di esse. Gainas, non essendogli riuscita l’impresa, e avendo perso molte delle proprie truppe, abbandonò il Chersoneso per tornare in Tracia.

L’INTERVENTO DEGLI UNNI DI ULDINO

Fravitta non ritenne opportuno inseguire Gainas, accontentandosi della vittoria già ottenuto. Fravitta fu pesantemente criticato per non aver inseguito Gainas, ma per averlo risparmiato, e vi è chi insinuò addirittura che Fravitta lo avrebbe risparmiato in quanto connazionali. Infatti sia Fravitta che Gainas erano Goti. Ma Fravitta, ignaro delle critiche e delle insinuazioni che gli venivano mosse, tornò al cospetto dell’Imperatore, fiero della sua vittoria, che attribuì all’intercessione delle divinità pagane. E non si vergognò, persino in presenza dell’Imperatore, di ammettere che continuava a venerare e a onorare le divinità pagane. L’Imperatore lo ricevette con grande gentilezza, e lo nominò console per l’anno successivo.

Nel frattempo Gainas, avendo perso la maggior parte della propria armata come già ho riferito, fuggì con i soldati rimanenti verso il fiume Danubio. Trovando la Tracia già devastata dalle precedenti incursioni, saccheggiò tutto ciò che gli fu possibile. Apprendendo tuttavia che un’altra armata romana lo avrebbe seguito, e avrebbe attaccato i suoi Barbari, che erano solo un piccolo numero, e sospettando dei Romani presenti nel suo esercito, li fece uccidere, prima che si fossero resi conto della sua intenzione.

Poi attraversò il Danubio con i suoi Barbari, con l’intenzione di ritirarsi nella propria nazione per trascorrervi il resto dei propri giorni. Mentre Gainas così operava, Uldino, che in quel periodo era re degli Unni, considerando insicuro permettere a un Barbaro seguito dal proprio esercito di fissare la propria residenza oltre il Danubio, e supponendo che espellendolo da quel paese avrebbe gratificato l’Imperatore romano, decise di opporsi alla sua avanzata.

Avendo raccolto un considerevole numero di truppe, Uldino le schierò in ordine di battaglia contro il nemico. Dall’altra parte, Gainas, percependo che non poteva né tornare presso i Romani, né sfuggire agli attacchi di Uldino, armò i suoi seguaci e si scontrò con gli Unni. Dopo alcuni conflitti tra le due armate, in alcuni dei quali l’esercito di Gainas fu vittorioso, molti dei suoi uomini furono uccisi, e ben presto fu ucciso lo stesso Gainas, dopo aver combattuto con grande coraggio. Essendo la guerra terminata con l’uccisione di Gainas, Uldino, re degli Unni, spedì la sua testa all’Imperatore Arcadio, e fu ricompensato per tale risultato. Entrò infatti in alleanza con i Romani.

La Tracia fu ulteriormente disturbata da nuove tribolazioni. Una banda di schiavi fuggitivi, a cui si erano uniti alcuni disertori, fingendo di essere Unni, devastarono l’intera regione, e predarono tutto ciò che trovavano al di fuori delle mura. Fravitta marciò contro essi e, sconfiggendoli, liberò gli abitanti dai loro saccheggi.

Nel frattempo, le persone esiliate da Gainas avevano già fatto ritorno nella Capitale. Infatti, i loro carcerieri, dopo averli portati in Epiro, temendo per la loro sicurezza, diedero ai loro carcerati la possibilità di fuggire. Alcuni riferiscono che furono corrotti dai prigionieri che pagarono per ottenere la loro libertà. In qualunque modo essi fossero riusciti a fuggire, essi, in ogni modo, fecero ritorno a Costantinopoli, dove furono ricevuti dall’Imperatore, dal senato e dal popolo.

CONSEGUENZE

Ricostruzione ipotetica della Colonna di Arcadio.

La vittoria di Fravitta su Gainas fu celebrata con l’erezione della colonna di Arcadio, e con la composizione di due poemi epici, la Gainia (redatta da Eusebio Scolastico, discepolo del sofista Troilo, e in quattro libri) e un componimento in versi redatto e recitato dal poeta Ammonio di fronte all’Imperatore Teodosio II nel 437.

Secondo alcuni dei sostenitori della teoria del partito antigermanico, in seguito al ritorno degli esiliati, Cesario (il Tifone di Sinesio) sarebbe stato deposto e imprigionato e Aureliano sarebbe tornato prefetto del pretorio, estromettendo i barbari dall’esercito e dall’amministrazione. Fravitta sarebbe stato una delle vittime di questa presunta purga, venendo giustiziato con l’accusa di tradimento anche in quanto goto. Tuttavia, ciò non trova riscontro. Secondo le leggi del Codice Teodosiano, Cesario continuò a rimanere prefetto del pretorio d’Oriente fino al 404, e Aureliano tornò in carica solo nel 414, provando l’insussistenza di siffatte teorie. Inoltre Fravitta fu giustiziato probabilmente tra il 404 e il 405 e in tutt’altro contesto (quello della deposizione del patriarca di Costantinopoli Giovanni Crisostomo e dei rinnovati disaccordi tra le due partes). Secondo Cameron, anche negli anni successivi, continuarono ad essere nominati comandanti dell’esercito di origine barbarica. Quello che si fece è di fare a meno dei Foederati, reggimenti di alleati mercenari barbari che servivano sotto i loro capi tribali (come Alarico) e che erano sostanzialmente non sottomessi (potevano benissimo rivoltarsi quando più conveniva loro e devastare l’Impero invece di difenderlo). Non a caso i Goti di Alarico in quegli anni si spostarono in Occidente, alcuni studiosi moderni insinuano (molto probabilmente a torto) istigati dai primi ministri di Arcadio che in questo modo avrebbero danneggiato l’odiato Stilicone e al contempo liberati di scomodi e infidi alleati. In realtà le fonti provano che nel periodo tra il 401 e il 403 i rapporti tra Occidente e Oriente romano divennero relativamente buoni, e ciò contrasta con la teoria del complotto dei primi ministri di Arcadio che avrebbero istigato Alarico a spostarsi nell’Occidente romano. Più probabilmente Arcadio chiese agli Unni di Uldino, i suoi nuovi alleati, di attaccare Alarico. Il re dei Goti avrebbe preferito allora, temendo la minaccia unna, invadere l’Italia. Di tale invasione se ne parlerà nel seguito.