Stilicone, i conflitti con l’Oriente romano e i saccheggi di Alarico nell’Illirico

STILICONE, RUFINO E ALARICO
Teodosio I si spense a Milano il 17 gennaio 395. Gli succedettero i figli Arcadio in Oriente e Onorio in Occidente. Entrambi si rivelarono deboli e poco adatti al governo di uno stato e, pur regnando, di fatto non governarono, demandando gli affari di stato ai loro ministri. Parimenti, non presero mai l’iniziativa di condurre in battaglia l’esercito romano, ma preferirono gli agi della vita di corte, dove le notizie venivano deformate ad arte dai loro ministri, che approfittarono della debolezza e dell’inettitudine dei due imperatori per governare lo stato in vece loro. E così lo stato, pur essendo retto nominalmente da Arcadio e Onorio, si trovò di fatto ad essere governato in realtà dal prefetto del pretorio Rufino in Oriente e dal generale Stilicone in Occidente.

Dittico di Stilicone. Raffigurati anche la moglie Serena e il figlio Eucherio.


Quest’ultimo era un generale di origine vandalica che aveva scalato rapidamente le gerarchie dell’esercito romano sotto Teodosio I, arrivando addirittura a sposarne la nipote, Serena. Quando Teodosio I spirò, essendo Onorio ancora undicenne e quindi incapace di reggere da solo uno stato, lo pose sotto la tutela di Stilicone, di cui Teodosio si fidava enormemente. Stilicone, che era molto ambizioso, asserì che Teodosio gli avesse affidato anche la tutela di Arcadio, Imperatore d’Oriente, ma potrebbe essere stata una menzogna diffusa ad arte da Stilicone per potere assumere un enorme potere anche nella parte orientale dell’Impero. Inoltre, asseriva che Teodosio, spirando, avesse assegnato ad Onorio la prefettura del pretorio dell’Illirico, con le diocesi di Dacia e Macedonia, che tuttavia appartenevano all’epoca all’Impero d’Oriente. Le pretese di Stilicone, sia di divenire tutore anche di Arcadio, sia che tutto l’Illirico venisse assegnato all’Occidente, gli provocarono l’ostilità dei primi ministri di Arcadio, primo tra tutti Rufino, e la rottura dei rapporti tra le due metà dell’Impero portarono, per forza di cose, ad un ulteriore indebolimento dello stato romano.

Arcadio, asceso al trono all’età di diciasette anni, era un imperatore debole e imbelle, facilmente influenzabile dai suoi ministri. Nei fatti, agli inizi del 395, il potere effettivo in Oriente era detenuto dal prefetto del pretorio d’Oriente, Flavio Rufino, originario dalla Gallia Aquitania. Rufino viene descritto dalle fonti come un politico corrotto, e viene da esse accusato di aver tramato di impossessarsi del trono, giungendo persino a sobillare i barbari ad invadere l’Impero, in modo che gli riuscisse più facile detronizzare Arcadio. Queste voci di tradimento, tuttavia, potrebbero benissimo essere infondate.

Certo è comunque che Rufino intendesse imparentarsi con la famiglia imperiale, tentando di convincere Arcadio a sposare la sua figlia unica: in questo modo sarebbe diventato suocero dell’Imperatore d’Oriente, e avrebbe potuto così esercitare una presa più salda del potere. Non aveva però fatto i conti con Eutropio, un cortigiano eunuco suo rivale che convinse l’Imperatore a sposare piuttosto Eudossia, la figlia del generale Bautone. Le nozze furono celebrate il 27 aprile 395 e indebolirono la posizione di Rufino, che pur tuttavia rimaneva l’uomo più potente dell’Oriente romano.

Nel frattempo, i Foederati Goti, eletto loro capo Alarico, si rivoltarono. Essi erano quei Goti che si erano insediati all’interno dei confini dell’Impero, più precisamente in Mesia, in seguito al trattato del 382: in cambio del permesso di insediarsi intra fines godendo di parziale autonomia dall’Impero in virtù delle sconfitte inflitte ai Romani sotto Valente e lo stesso Teodosio, erano obbligati a fornire truppe mercenarie alle armate romane con la qualifica di Foederati. I Foederati Visigoti avevano combattuto per Teodosio I nella battaglia del Frigido, e avevano subito perdite consistenti nella battaglia; sorse in loro il sospetto che l’Imperatore li avesse schierati in prima linea per indebolirli al punto da poter riscrivere il trattato del 382 in modo favorevole ai Romani, cancellando ogni loro autonomia. Per questi e per altri motivi, i Goti, dopo aver eletto un nuovo capo unico, Alarico, in aperta violazione del trattato del 382, si rivoltarono: i loro obbiettivi erano riscrivere il trattato del 382 a condizioni ancora più favorevoli per essi, e costringere Arcadio a nominare il loro capo, Alarico, magister militum. Quest’ultima richiesta era dovuta alle ambizioni del loro nuovo capo: secondo Zosimo, Alarico, che aveva servito come federato l’Imperatore Teodosio I nella battaglia del Frigido, era adirato con l’Impero perché Teodosio I gli aveva promesso la carica di magister militum, promessa poi non mantenuta, e, ora, a quanto pare, intendeva, con la rivolta, costringere l’Impero a concedergli la carica da lui tanto bramata.

I Goti devastarono la Tracia senza opposizione, approfittando del fatto che l’esercito di campo dell’Impero d’Oriente era in quel momento in Italia con Stilicone, e non aveva ancora fatto ritorno in Oriente. Essi evitarono con molta cura di saccheggiare i possedimenti di Rufino, e ciò suscitò i sospetti che Rufino fosse colluso con i Goti. Alla fine Rufino, travestito da goto, si recò nell’accampamento di Alarico e lo convinse ad allontanarsi da Costantinopoli, dirigendo la sua orda in direzione della Grecia: Costantinopoli era salva. I dettagli dell’incontro tra Alarico e Rufino non sono noti, ma, secondo il Burns, è possibile che Rufino lo abbia sobillato ad occupare la Grecia con il compito di fermare l’eventuale avanzata di Stilicone verso Costantinopoli. Rufino aveva infatti il timore che Stilicone tramasse di marciare su Costantinopoli per sostituirsi a lui nell’amministrazione dell’Impero d’Oriente, e pensò che, con Alarico in possesso dell’Illirico orientale, per Stilicone sarebbe stato arduo raggiungere Costantinopoli, in quanto avrebbe dovuto prima affrontare i Visigoti. Inoltre, Rufino era a conoscenza delle mire di Stilicone sull’Illirico orientale: il generalissimo d’Occidente sosteneva che Teodosio avesse, poco prima di spirare, espresso il desiderio che l’intero Illirico fosse assegnato all’Occidente, e Rufino temeva che effettivamente, prima o poi, Stilicone avrebbe invaso quelle regioni per unirle ai domini di Onorio. Rufino non aveva truppe a sufficienza né per fermare i Goti, né per opporsi alle mire di Stilicone, né per fermare i saccheggi degli Unni nelle province asiatiche. Pensò dunque di usare i Goti contro Stilicone, in modo da allontanare Alarico da Costantinopoli e al contempo ostacolare le mire del generalissimo d’Occidente. La Cesa, invece, contesta la validità della congettura dell’accordo segreto tra Rufino e Alarico, e nega che già in questo frangente Rufino avesse già concesso ad Alarico la carica di magister militum e ai Goti le terre di insediamento bramate, supponendo che al più avrà pagato un riscatto per allontanare il barbaro dalla capitale. Stretto o meno un qualche accordo con Rufino, dunque, Alarico si diresse verso la Grecia.

Nel frattempo, Stilicone, alla fine della primavera del 395, marciò in direzione di Costantinopoli alla testa degli eserciti di campo sia d’Occidente che d’Oriente: il generalissimo d’Occidente motivò la spedizione con l’intenzione di reprimere la rivolta dei Foederati di Alarico, ma è plausibile che avesse anche altri motivi. Stilicone rivendicava infatti per l’Occidente le diocesi di Dacia e Macedonia, appartenute all’Occidente fino al 379, ma che poi erano state trasferite all’Impero d’Oriente sotto Teodosio I. L’Illirico Orientale aveva da sempre fornito all’Impero ottimi soldati, e Stilicone mirava a costringere Costantinopoli a restituire all’Occidente romano le due diocesi contese in modo da poter rinforzare il suo esercito. L’esercito di Stilicone, attraversando la Dalmazia, giunse in prossimità degli accampamenti dei Goti verso la fine del 395, e sembrava sul punto di scontrarsi con essi, quando all’accampamento di Stilicone giunsero ambasciatori inviati da Arcadio: le lettere portate da essi contenevano l’ordine per Stilicone di rispedire le truppe orientali a Costantinopoli e di ritornare egli stesso in Italia. Stilicone eseguì l’ordine immediatamente, non si sa per quali motivi: è plausibile che temesse che nel caso non avesse eseguito l’ordine, la moglie Serena e i suoi figli, che si trovavano in Oriente in quel momento, avrebbero potuto subire la rappresaglia da parte di Rufino; oppure potrebbe aver perso il controllo del suo esercito. Insomma, Rufino, persuadendo Arcadio a scrivere quelle lettere a Stilicone, aveva ottenuto il ritiro del rivale.

Non aveva, tuttavia, fatto i conti con Stilicone, che ordinò alle truppe orientali che aveva rimandato in Oriente, comandate dal generale di origini gotiche Gainas, di uccidere, al loro ritorno, proprio Rufino. Secondo la tradizione, l’esercito sarebbe stato ricevuto dall’Imperatore e dalla sua corte nei pressi del Campo Marzio all’Hebdomon. Non appena Rufino si avvicinò alle truppe esse lo circondarono e lo uccisero. Era il 27 novembre 395.

In quell’anno, il 395, l’Impero d’Oriente dovette fronteggiare non solo la rivolta dei Foederati Goti, ma anche le invasioni degli Unni, che stavano devastando Siria e Palestina senza trovare opposizione. L’Impero d’Oriente si trovava, insomma, in guai seri.

L’ASCESA AL POTERE DI EUTROPIO
In seguito all’uccisione di Rufino, assunse un enorme influenza a corte Eutropio, un eunuco di corte che divenne di fatto l’uomo più potente dell’Impero d’Oriente. Per rafforzare la propria autorità, ridusse l’autorità del prefetto del pretorio, trasferendo alcune delle sue prerogative al magister officiorum. Eutropio viene descritto come crudele e corrotto: venne accusato di vendere le cariche, e di essere crudele e vendicativo. Giunse al punto di escludere l’intera popolazione della Licia dall’assunzione di cariche pubbliche, semplicemente perché un licio, tal Taziano, lo aveva ingiuriato. Anche due generali valorosi, Timasio e Abundanzio, furono vittime della vendetta di Eutropio: Timasio fu in particolare accusato falsamente di tradimento e condannato all’esilio all’Oasi, pena equivalente, a dire delle fonti, alla pena capitale.

Nel frattempo, mentre Stilicone si recava sulla frontiera del Reno per rinnovare i patti di alleanza con le tribù barbare confinanti e ottenere da esse nuove reclute, all’inizio del 396 i Goti di Alarico invasero la Grecia, occupandola senza trovare opposizione. Le fonti accusano Geronzio, il comandante della guarnigione delle Termopili, e Antioco, il proconsole di Acaia, di collusione con i Goti di Alarico. Alcuni studiosi moderni, come il Burns, hanno congetturato quindi che l’invasione di Alarico in realtà non era un’invasione: Alarico avrebbe ottenuto il permesso dal governo di Costantinopoli di occupare l’Illirico orientale con l’incarico di difenderlo da Stilicone, che mirava a unirlo all’Occidente romano. In questo modo si spiegherebbe perché Eutropio usò le truppe orientali rimandate a Costantinopoli da Stilicone per combattere gli Unni in Asia, ma non per opporsi all’occupazione della Grecia ad opera dei Goti di Alarico. E’ anche vero, tuttavia, che le fonti fanno menzione a saccheggi e massacri da parte dei Goti di Alarico. In ogni modo ciò non esclude la possibilità che l’occupazione della Grecia fosse stata autorizzata da Costantinopoli, in quanto in altre occasioni capitò che un esercito mercenario saccheggiasse gli stessi cittadini che in teoria era tenuto a difendere: ad esempio gli Unni ingaggiati da Ezio tra il 435 e il 439 per difendere la Gallia da Visigoti, Burgundi e separatisti Bagaudi. Secondo alcuni studiosi, che i Goti compirono devastazioni rilevanti in Grecia nel 395-397, sembrerebbe essere smentito da dati archeologici: le possibili devastazioni devono essersi limitate alle campagne e ai luoghi di culto pagani, e non dovettero essere troppo gravi. Altri studiosi, cone la Cesa, come già detto, contestano questa teoria revisionista.

Questo è il resoconto dell’incursione in Grecia di Alarico nel 396 secondo le fonti antiche. Una volta giunti in Grecia, essi immediatamente cominciarono a devastare la regione e a saccheggiare tutte le città, uccidendo gli uomini adulti, che fossero giovani o vecchi, e trasportando in cattività donne e fanciulli, insieme a tutto il denaro. In questa incursione, tutta la Beozia, e qualunque regione della Grecia colpita dalle scorrerie dei Goti, furono pesantemente devastate. La sola Tebe scampò al disastro, in parte per la propria forza, in parte per l’impazienza da parte di Alarico di marciare su Atene, che fece sì che decise di non perdere tempo nell’assediare Tebe. Alarico marciò quindi su Atene, aspettandosi di espugnare agevolmente la città, in quanto non possedeva grandi difese, anche perché non era contigua al Pireo. Secondo alcuni autori pagani (Zosimo e probabilmente anche Eunapio), che riportano assurde dicerie da respingere assolutamente, Alarico avrebbe rinunciato a saccheggiare Atene in quanto gli sarebbero apparsi Minerva e Achille, pronti a difendere la città. Ma queste sono fantasie senza fondamento. Alarico, in ogni modo, desistette da ogni tentativo di espugnare la città, e inviò proposte di pace. Essendo esse accettate, e giuramenti mutualmente scambiati, Alarico entrò ad Atene con un piccolo numero di truppe. Egli si trattenne venendo trattato con tutti i riguardi e con grande ospitalità; dopo aver ricevuto alcuni doni, partì, lasciando la città e tutta l’Attica senza priva di danni. In questo modo Atene scampò a tale disastro.

Alarico ad Atene.

Alarico, dopo aver lasciato non saccheggiata l’intera Attica, procedette a Megara, che espugnò al primo tentativo. Da lì, non trovando la minima resistenza, attraversò il Peloponneso. Geronzio gli permise quindi di attraversare l’istmo di Corinto, oltre il quale le città, essendo prive di fortificazioni a causa della sicurezza derivatane dall’Istmo, furono prese senza alcuna difficoltà. Per questa ragione Corinto fu facilmente espugnata, insieme ai borghi nelle vicinanze, come anche Argo, con tutti i luoghi tra essa e Lacedemone. Secondo Zosimo, persino Sparta condivise la comune cattività della Grecia, essendo non più difesa da difensori bellicosi, ma, a causa dell’avarizia dei Romani, esposta a magistrati proditori, che prontamente diedero il loro assenso alle inclinazioni del loro governatore (il proconsole di Acaia Geronzio, accusato da Zosimo di collusione di Alarico) in tutto ciò che avrebbe condotto alla rovina pubblica.

Nella primavera del 397, tuttavia, Stilicone, alla testa di una nuova armata, sbarcò in Acaia, ufficialmente per liberarla dai Goti di Alarico, ma in realtà per annetterla ai domini di Onorio. Sbarcato a Corinto, circondò l’esercito goto intorno a un colle. Ma esitò per ragioni ignote ad annientarlo e Alarico riuscì a trovare una via di fuga non sorvegliata da cui riuscì a sfuggire all’accerchiamento. Come se non bastasse, Stilicone perse il controllo dei suoi soldati indisciplinati, costituiti prevalentemente da Germani reclutati da oltre Reno, che cominciarono a saccheggiare gli stessi provinciali della Grecia che in teoria avrebbero dovuto difendere da Alarico. Insomma, alla fine, mentre Alarico si era ritirato in Epiro, Stilicone, fallita la sua impresa di impadronirsi dell’Illirico, imbarcò di nuovo la sua armata per l’Italia, senza aver ottenuto nulla a parte aver perso il controllo dei suoi soldati non riuscendo a impedire loro di saccheggiare ciò che i Goti stessi non avevano saccheggiato.

Mentre Alarico era in Epiro, ottenne dal governo orientale la carica di magister militum per Illyricum, mentre i Goti ottennero in Macedonia nuove terre dove insediarsi a condizioni maggiormente vantaggiose rispetto al trattato del 382. Ora, secondo Claudiano, panegirista di Stilicone, “il devastatore dell’Acaia e dell’Epiro”, ovvero Alarico, “entra come governatore nelle città che poco tempo prima aveva assediato per giudicare i casi di quei mariti le cui mogli ha violentato e i cui figli ha ucciso”, chiedendosi retoricamente se questa fosse la punizione da riservare a un nemico dello stato; lo stesso Claudiano asserisce che Alarico sfruttò la carica di magister militum per Illyricum per rinforzare il suo esercito munendolo di armi prese dagli armamenti romani, accusando di questo il governo di Costantinopoli, troppo accondiscendente nei suoi riguardi.

In ogni modo, è innegabile che la concessione ai Goti di insediarsi nell’Illirico sia pure come Foederati, e quindi, formalmente, soldati romani, presentava aspetti molto negativi: significava, in pratica, indebolire l’autorità romana in quella regione a tutto vantaggio di alleati barbari della cui lealtà si poteva a ragione dubitare. Il rischio era la formazione di un regno federato visigoto nell’Illirico, solo formalmente dipendente dall’Impero. Comunque, per la carenza di truppe a disposizione, e per la minaccia degli Unni in Asia, difficilmente si poteva fare di meglio: le autorità romane furono per forza di cose costrette a venire a patti, almeno per il momento, con Alarico.

Nel frattempo, l’intromissione di Stilicone negli affari orientali, nonché i saccheggi compiuti dal suo esercito ai danni dei provinciali della Grecia, indussero Eutropio a far dichiarare dal senato bizantino Stilicone nemico pubblico dell’Impero d’Oriente. I possedimenti di Stilicone in Oriente furono così confiscati per suo ordine. Una volta fatto dichiarare Stilicone nemico pubblico, Eutropio pensò bene di indebolirlo, sobillando il Comes Africae, Gildone, alla rivolta. Gildone, sobillato da Eutropio, interruppe così i rifornimenti di grano che Roma riceveva da secoli dall’Africa, dichiarando di voler passare sotto la giurisdizione dell’Impero d’Oriente. Stilicone intervenne prontamente per reprimere la rivolta di Gildone: inviò in Africa un’armata comandata da Mascelzel, che ebbe successo sul ribelle. Stilicone, tuttavia, invece di premiare Mascelzel per aver sconfitto Gildone, decise di tramare la sua uccisione: mentre Mascelzel stava attraversando su un ponte un fiume, i soldati al suo seguito, per ordine di Stilicone, lo gettarono in acqua, uccidendolo. Stilicone probabilmente non si fidava di lui, e preferiva affidare il governo dell’Africa a una persona di fiducia, difatti nominò Comes Africae proprio un suo parente, Batanario.

Nel frattempo Eutropio, constatato che i generali che aveva inviato contro le incursioni unne in Oriente si erano rivelati incompetenti, decise di assumere egli stesso il comando dell’esercito. Nel corso del 398 Eutropio riuscì a liberare quelle province dalle incursioni degli Unni, venendo ricompensato, all’inizio del 399, con il consolato. Eutropio aveva così raggiunto il culmine del suo potere. Si era fatto tuttavia molti nemici. In Occidente il suo consolato non fu riconosciuto. In Oriente si era formata una forte opposizione intorno a lui che aspettava il momento propizio per deporlo. E il momento propizio giunse presto.