L’amministrazione civile dell’Impero romano in età tardo-antica

L’AMMINISTRAZIONE CIVILE DELL’IMPERO ROMANO IN EPOCA TARDO-ANTICA

Diocleziano riformò drasticamente l’Impero romano dal punto di vista amministrativo. Ritenendo gravoso gestire da solo un impero immenso, associò al potere nominando co-imperatore, con il titolo di Augusto, Massimiano, e nel 293 istituì la Tetrarchia, nominando Cesari (imperatori di livello inferiore, e designati successori dei due Augusti) Costanzo Cloro e Galerio. Alla morte o abdicazione degli Augusti i Cesari sarebbero loro succeduti come Augusti e avrebbero nominato altri due Cesari designandoli loro successori. In questo modo, stabilendo un criterio chiaro per la successione al trono, si volevano evitare le guerre di successione che avevano sconvolto l’Impero nei decenni precedenti. In questo tuttavia il sistema tetrarchico non funzionò e la stessa Tetrarchia fu abolita subito dopo l’abdicazione di Diocleziano e Massimiano nel 305 (anche se la suddivisione dell’Impero in due parti divenne permanente dopo il 395). Con la conseguente suddivisione dell’Impero in quattro parti si rese necessaria una notevole riforma a livello amministrativo.

Un passo dello scrittore cristiano Lattanzio (ostile nei confronti dell’imperatore a causa della persecuzione dei cristiani) critica la riforma dioclezianea dell’amministrazione:

(LA)«4. Et ut omnia terrore complerentur, provinciae quoque in frusta concisae; multi praesides et plura officia singulis regionibus ac paene iam civitatibus incubare, item rationales multi et magistri et vicarii praefectorum, quibus omnibus civiles actus admodum rari, sed condemnationes tantum et proscriptiones frequentes, exactiones rerum innumerabilium non dicam crebrae, sed perpetuae, et in exactionibus iniuriae non ferendae.» (IT)«E, affinché fossero tutti pieni di terrore, [sotto Diocleziano] si sminuzzarono pure le province: una pletora di governatori e ancora più uffici presiedevano ogni singola regione e quasi ogni città, come anche molti contabili e magistri e vicari dei prefetti, i cui atti civili erano in tutto oltremodo rari, ma le condanne tante e le proscrizioni frequenti, le confische innumerevoli, non dirò frequenti ma perpetue, e, nelle riscossioni delle tasse, le ingiurie intollerabili.»
(Lattanzio, De mortibus persecutorum, VII, 4.)

Quello che sembrerebbe aver fatto Diocleziano fu quella di separare l’autorità civile da quella militare. La prima fu affidata al prefetto del pretorio, la seconda al magister militum. L’Impero romano sarebbe stato suddiviso in quattro prefetture del pretorio, quella d’Italia, delle Gallie, dell’Illirico e dell’Oriente. Ogni prefettura del pretorio era suddivisa in diocesi, che raggruppava ciascuna più province. Le nuove province erano di estensione molto inferiore a quelle antiche, suddivise in più parti da Diocleziano. Sotto Diocleziano si ebbe inoltre l’effettiva parificazione dell’Italia alle province. Infatti le maggiori spese dovute al mantenimento non più di due corti ma di ben quattro comportarono la necessità di abolire i privilegi fiscali dell’Italia costringendo anche gli italici a pagare il tributo nelle modalità previste per le province. Aurelio Vittore critica aspramente l’Imperatore per aver esteso all’Italia il gran male dei tributi:

(LA)«Et quoniam bellorum moles, de qua supra memoravimus, acrius urguebat, quadripartito imperio cuncta, quae trans Alpes Galliae sunt, Constantio commissa, Africa Italiaque Herculio, Illyrici ora adusque Ponti fretum Galerio; cetera Valerius retentavit. Hinc denique parti Italiae invectum tributorum ingens malum. Nam cum omnis [scil. Italia] eadem functione moderateque ageret, quo exercitus atque imperator, qui semper aut maxima parte aderant, ali possent, pensionibus inducta lex nova. Quae sane illorum temporum modestia tolerabilis in perniciem processit his tempestatibus.» (IT)«Poiché il peso delle guerre, che abbiamo ricordato sopra, incalzava in modo sempre più acuto, diviso l’Impero in quattro parti, tutte le Gallie al di là delle Alpi furono affidate a Costanzo, l’Africa e l’Italia all’Erculio [Massimiano], l’Illirico fino agli stretti del Ponto a Galerio, il resto lo tenne Valerio [Diocleziano]. Per questo da allora alla parte dell’Impero detta Italia fu esteso il gran male dei tributi. Infatti, mentre tutta [l’Italia] era sottoposta allo stesso prelievo e in forme leggere, grazie al quale era possibile nutrire l’esercito e l’imperatore, che sempre o per la maggior parte del tempo vi si trovavano, fu introdotta una nuova regolamentazione dei versamenti fiscali. Essa, che davvero a quei tempi era tollerabile per la sua misurata incidenza, è peggiorata rovinosamente nei tempi presenti.»
(Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus, 39, 30-32.)
La suddivisione amministrativa dell’Impero all’epoca della Tetrarchia di Diocleziano secondo la storiografia più datata.

Studi più recenti hanno permesso di modificare parzialmente questa visione. Per esempio è stata contestata la tesi secondo cui l’istituzione delle diocesi sia da attribuire da Diocleziano. E’ vero che Lattanzio attesta l’esistenza all’epoca dioclezianea di vicarii praefectorum e che altre fonti coeve di età dioclezianea menzionino degli agentes vices praefectorum praetorio (cioè dei vicari), ma queste fonti non provano che questi vicari del prefetto del pretorio fossero già titolari di diocesi con una giurisdizione territoriale ben definita o stabile. Secondo Zuckerman, la costituzione delle diocesi sarebbe da datare intorno al 313-314, in seguito all’annessione dell’Armenia all’Impero romano e l’incontro di Milano tra gli Augusti Costantino e Licinio. Inoltre è stato messo in dubbio dal Porena che i prefetti del pretorio di età dioclezianea fossero quattro. Secondo il Porena i prefetti del pretorio in età dioclezianea erano due, uno per ogni augusto. Il Porena porta a prova di quanto sostenuto un’iscrizione rinvenuta a Brescia e un passo dello storico Zosimo:

«I prefetti del pretorio erano due ed esercitavano insieme la carica; alla cura e all’autorità di costoro non solo erano affidate le truppe di corte, ma anche quelle che avevano il compito di difendere la città, nonché i contingenti che presidiavano tutti i confini; infatti i prefetti, che erano secondi soltanto all’imperatore, provvedevano alle donazioni di cibo e reprimevano con opportune punizioni le trasgressioni commesse nell’addestramento militare.»
(Zosimo, Storia Nuova, II, 32.2 (traduzione di Fabrizio Conca).)

Secondo Zosimo la divisione dell’Impero nelle quattro prefetture delle Gallie, d’Italia, dell’Illirico e dell’Oriente sarebbe da attribuirsi a Costantino:

«Costantino, variando quanto era stato ben stabilito, divise un’unica magistratura in quattro funzionari. A un prefetto infatti affidò tutto l’Egitto, con la Pentapoli di Libia, l’oriente fino alla Mesopotamia, e inoltre la Cilicia, la Cappadocia, l’Armenia e tutta la costa dalla Panfilia sino a Trapezunte e alle fortezze presso i Fasi; gli affidò pure la Tracia, limitata dalla Misia sino all’Asemo e dal Rodope, sino alla città di Topero, Cipro e le isole Cicladi, a eccezione di Lemno, Imbro e Samotracia. All’altro assegnò la Macedonia, la Tessaglia, Creta, l’Ellade e le isole circostanti, e i due Epiri; inoltre, l’Illiria, la Dacia, il territorio dei Triballi, la Pannonia sino alla Valeria, e in più la Mesia superiore; al terzo diede tutta l’Italia, la Sicilia e le isole vicine, e ancora la Sardegna, la Corsica e l’Africa, dalle Sirti alla Mauritania cesarense; al quarto toccò la Spagna oltre all’isola britannica.»
(Zosimo, Storia Nuova, II,33.1-2 (traduzione di Fabrizio Conca).)

In realtà gli studiosi dubitano della correttezza di tale passo, sostenendo che tale suddivisione si stabilizzò soltanto all’epoca del regno congiunto di Valentiniano I (364-375) e Valente (364-378). In realtà l’imperatore unico Costantino I, nella parte finale del suo regno, rinunciò alla prassi di nominare un solo prefetto del pretorio per imperatore, suddividendo l’Impero in cinque prefetture del pretorio: Gallie, Africa, Italia, Illirico e Oriente. Tuttavia, alla morte di Costantino nel 337, l’Impero fu suddiviso tra i tre figli, e si tornò alla tradizionale prassi di un solo prefetto del pretorio per imperatore. L’impero si trovò così diviso in tre parti: la prefettura delle Gallie ad occidente (affidata a Costantino II), quella centrale o d’Italia (affidata a Costante I) e quella orientale (affidata a Costanzo II). Tuttavia, quando nel 340 l’Imperatore Costante I si annesse i domini gallici del fratello Costantino II, mantenne la prefettura del pretorio delle Gallie, con il risultato che ora controllava due prefetture. Lo stesso fece Costanzo II quando sconfisse l’usurpatore Magnenzio e unificò l’Impero: mantenne la suddivisione in tre prefetture del pretorio nonostante fosse diventato ormai imperatore unico. Sotto Costanzo II e i suoi due fratelli Costante I e Costantino II, dunque, la suddivisione in prefetture divenne gradualmente permanente. La prefettura d’Illirico viene attestata per la prima volta dalle fonti a partire dal 356-357.

La suddivisione dell’Impero romano in prefetture del pretorio, diocesi e province intorno all’anno 400.

Alla fine del IV secolo l’intero impero era suddiviso in quattro prefetture del pretorio, quella delle Gallie, dell’Italia, dell’Illirico e dell’Oriente. L’Imperatore d’Occidente controllava le prefetture d’Italia e delle Gallie, quello d’Oriente quelle dell’Illirico e dell’Oriente. Quella delle Gallie comprendeva le diocesi di Britannia, Gallia, Septem Provinciae (la Gallia a sud della Loira) e Spagna. Quella d’Italia comprendeva le diocesi d’Italia (suddivisa a sua volta nei vicariati di Italia Suburbicaria e Italia Annonaria), di Africa e di Pannonia. La prefettura del pretorio d’Illirico comprendeva le diocesi di Dacia (in realtà la Mesia) e di Macedonia, mentre la prefettura del pretorio d’Oriente comprendeva le diocesi di Tracia, Asia, Ponto, Oriente (cioè Siria e Palestina) ed Egitto. La massima autorità civile di ogni diocesi deteneva il titolo di Vicario, tranne nei casi dell’Oriente in cui era chiamato Comes Orientis, e dell’Egitto dove era chiamato Prefetto Augusteo.

Occorre però prestare attenzione a non semplificare troppo, perché sarebbe fuorviante paragonare il sistema amministrativo tardo-imperiale a una piramide di quattro gradini, con l’Imperatore in cima, il governatore provinciale ai piedi, e il prefetto del pretorio e il vicario in mezzo. Non solo le relazioni tra il governatore provinciale e il prefetto erano dirette, ma l’Imperatore poteva comunicare direttamente sia con il vicario che con il governatore provinciale. Inoltre due province godevano di un privilegio speciale: i proconsoli d’Africa e di Asia ricadevano al di fuori dalla giurisdizione del vicario o del prefetto, essendo controllati direttamente dall’Imperatore.

Il prefetto del pretorio d’Oriente, che risiedeva a Costantinopoli, e quello d’Italia erano i funzionari più alti in grado dell’Impero; subito dopo venivano il prefetto dell’Illirico, che risiedeva a Tessalonica, e il prefetto delle Gallie. Le competenze del prefetto erano sia amministrative, finanziarie, giudiziarie, e finanche legislative. I governatori provinciali erano nominati su sua raccomandazione, e poteva anche destituirli, se l’Imperatore era d’accordo. Il prefetto del pretorio riceveva rapporti regolari dai vicari e dei governatori provinciali. Si occupava inoltre del pagamento e del rifornimento delle armate. Era inoltre un giudice supremo d’appello. Poteva emanare editti pretoriani, a condizione che non potessero alterare leges preesistenti. A conferma dell’alta posizione del prefetto nella gerarchia imperiale era il suo abito di porpora, che differiva da quello del sovrano solo per la lunghezza (raggiungeva le ginocchia invece dei piedi). Al suo ingresso tutti gli ufficiali militari avrebbero dovuto inginocchiarsi, un residuo del fatto che in origine il prefetto del pretorio non era una carica civile bensì militare.

Roma e Costantinopoli, con i loro dintorni immediati, erano al di fuori dal controllo del prefetto del pretorio, essendo sotto la giurisdizione del prefetto della città. Il prefetto di Costantinopoli aveva le stesse funzioni del prefetto di Roma, con alcune differenze minori. Presiedeva il senato, e in rango seguiva i prefetti del pretorio. Si trattava di un funzionario prettamente civile, che indossava una toga. Nella capitale era il giudice criminale supremo. Per tutelare l’ordine il prefetto di Roma controllava una armata di coorti cittadine, mentre non è noto se lo stesso valeva per il prefetto di Costantinopoli. Il prefetto svolgeva inoltre altre mansioni, come la manutenzione degli aquedotti e il rifornimento della città di grano, o il controllo delle corporazioni commerciali della capitale.

Il ministro supremo della legge era il Questore del Sacro Palazzo, che si occupava della redazione delle leggi e dei rescritti imperiali.

Il magister officiorum era una carica importante nella corte tardo-imperiale. Sovrintendeva i dipartimenti di segreteria del palazzo imperiale. Vi erano tre tipi principali di uffici di segreteria (scrinia) ereditati dall’Alto Impero, che conservarono i loro nomi: memoriae, epistularum e libellorum. A Costantinopoli lo scrinia epistularum aveva due dipartimenti, uno per la corrispondenza ufficiale in latino e un altro in greco. La gestione degli affari di segreteria era affidata a magistri scriniorum, che dipendevano direttamente dall’Imperatore e non erano subordinati a nessun funzionario di grado maggiore. Non erano tuttavia i capi degli uffici, i quali, sotto il controllo del magister officiorum, li rifornivano di assistenti e impiegati. In età tardo-imperiale fu introdotto inoltre un quarto scrinium, di grado inferiore, lo scrinium dispositionum, diretto da un comes dispositionum, sempre alle dipendenze del magister officiorum. Il suo compito era quello di programmare gli spostamenti dell’imperatore prendendo gli accordi opportuni.

Il magister officiorum era responsabile delle cerimonie di corte, e controllava il dipartimento ufficiale che si prendeva cura dell’organizzazione delle cerimonie e degli incontri con l’Imperatore. Il ricevimento degli ambasciatori stranieri rientrava nelle sue competenze, e aveva alle sue dipendenze gli interpreti che dovevano tradurre le lingue straniere. Aveva alle sue dipendenze anche gli agentes in rebus, una sorta di agenti segreti che dovevano controllare l’operato dei governatori e segnalarne gli abusi. Ovviamente anch’essi potevano essere corrotti, facendo così fallire il sistema di controllo degli abusi.

Il magister officiorum controllava anche le guardie del corpo delle Scholae, istituite da Costantino, e possedeva anche un certo controllo sui comandanti militari delle province di frontiera, oltre a diriggere le fabbriche d’armi dello stato.

Gli eunuchi e i funzionari di palazzo in generale si trovavano a un livello di uguaglianza con i funzionari di stato. Il Gran ciambellano o preposito del sacro cubicolo era un eunuco ed era un dignitario di alto grado. Nei casi di sovrani imbelli poteva diventare addirittura l’uomo più potente dell’Impero, mentre nel caso di imperatori forti il suo ruolo poteva diventare irrilevante.

I funzionari di corte potevano appartenere a tre classi, a quella degli illustres, a quella degli spectabiles e quella dei clarissimi, ed erano di conseguenza membri dell’ordine senatoriale. I ministri principali, i comandanti supremi delle armate e il Gran Ciambellano erano tutti illustres. Detenevano il grado di spectabiles i proconsoli, i vicari, i governatori militari delle province, i magistri scriniorum, e molti altri. Erano invece clarissimi i governatori provinciali e molti altri funzionari civili di livello ancora inferiore. In seguito a un eccessivo numero di promozioni da clarissimi a spectabiles, che portò a una perdita di importanza del titolo di illustres, prima della metà del VI secolo fu introdotto il titolo di gloriosi, che fu conferito ai funzionari di più alto grado.