L’organizzazione sociale dell’Impero romano in età tardo-antica

L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE DELL’IMPERO ROMANO IN EPOCA TARDO-ANTICA

Diocleziano e Costantino dovettero cercare soluzioni non solo di problemi politici ma anche economici più difficili. La crisi del terzo secolo, le guerre sia interne che estere, il disordine generale dello Stato, furono tutti fattori che nel loro complesso finirono con il distruggere la prosperità dell’Impero. Come se non bastasse i legislatori, la cui preoccupazione principale erano i bisogni del tesoro pubblico, applicarono dei rimedi che nei fatti finirono con l’aggravare più che mitigare i mali. Le leggi mostrano il quadro di uno stato minacciato dal pericolo che molte occupazioni faticose ma necessarie venissero del tutto abbandonate e che i campi venissero lasciati incolti per mancanza di manovali. L’unico rimedio escogitato dagli imperatori per scongiurare tali conseguenze era la coazione, che fu applicata agli agricoltosi, al servizio municipale e a certi altri mestieri. I risultati furono che le persone furono costretti a svolgere lo stesso lavoro del padre, ereditandolo, e la nascita della servitù della gleba. L’autonomia locale delle comunità municipali, delle città e dei paesi, era stata in qualche modo minata sotto il Principato, ma prima di Diocleziano non era stato attuato alcun tentativo di imporre l’uniformità, e ciascuna comunità viveva secondo le proprie regole e tradizioni. La politica di tassazione uniforme, introdotta da Diocleziano, portò al controllo rigoroso degli enti locali da parte del governo imperiale. I magistrati divennero gli agenti del fisco, i municipi persero le loro libertà e gradualmente decaddero.

COAZIONE DEI CONTADINI

Per alcuni secoli c’era stata una tendenza generale a sostituire il lavoro libero al lavoro servile nelle grandi proprietà. La tenuta era suddivisa in poderi che venivano affittati a liberi affittuari, coloni, a varie condizioni, e questo sistema di coltivazione era ritenuto quello più remunerativo. Ma verso la fine del III secolo le condizioni generali dell’Impero sembrerebbero aver determinato un crisi agraria. Molti coloni si trovarono nell’impossibilità di pagare l’affitto e le pesanti tasse, finendo con il rinunciare alle loro fattorie e a cercare altri mezzi di sostentamento. Alcuni proprietari vendettero le loro terre e gli inquilini rifiutarono di tenere le loro fattorie sotto i nuovi proprietari. Così molti campi finirono con l’essere non più coltivati e le entrate fiscali finirono con soffrirne. La legislazione di Costantino, per risolvere questo problema agrario, creò una nuova casta. Legò al suolo i coloni e i loro discendenti. Continuavano ad appartenere legalmente alla classe libera, non a quella servile; avevano molti dei diritti degli uomini liberi, come quello di acquisire proprietà. Ma praticamente non erano liberi ed erano considerati beni mobili. Leggi severe impedivano loro di lasciare le loro fattorie e trattavano i fuggitivi alla stregua di schiavi fuggitivi. La concezione di colono come bene mobile del suo signore emerge esplicitamente in una legge che descrive la sua fuga come un atto di furto; “ruba la sua stessa persona”. Ma gli imperatori, il cui scopo principale nella loro legislazione agraria era quello di salvaguardare gli interessi del reddito, proteggevano i coloni dalle esorbitanti richieste di affitto da parte dei proprietari. E se un proprietario vendeva una parte della sua proprietà, non gli era permesso di trattenere gli inquilini. Allo stesso tempo la condizione degli schiavi rustici era migliorata. Anche qui il governo interferì, per la stessa ragione, e proibì ai padroni di vendere schiavi impiegati nella terra tranne che insieme alla terra su cui lavoravano. Questa limitazione dei diritti dei padroni tendeva ad elevare la condizione dello schiavo a quella di colono.

Il potere del proprietario sui suoi affittuari era accresciuto dal fatto che lo Stato gli affidava il compito di riscuotere le tasse per le quali ogni azienda era soggetta e di eseguire la coscrizione dei soldati che il suo patrimonio era chiamato a fornire allo stato. Amministrava anche la giustizia su questioni insignificanti e controllava i suoi domini. Così i grandi proprietari formarono un’influente aristocrazia terriera, dotati di alcuni dei poteri che i signori feudali dell’Europa occidentale avrebbero esercitato in epoche posteriori. Erano un comodo aiuto del governo, ma erano anche un pericolo. Crebbe la tendenza che gli uomini liberi poveri si mettessero sotto la protezione dei ricchi proprietari terrieri, che non si fecero scrupolo di usare la loro influenza per deviare il corso della giustizia a favore di questi clienti, e potevano corrompere i funzionari del governo. Tale mecenatismo era proibito dalle leggi imperiali, che tuttavia spesso e volentieri non venivano rispettate.

Vigeva da tempo l’usanza degli enti pubblici di concedere i terreni di loro proprietà in locazione perpetua, previo pagamento di una rendita fondiaria (vectigal). Gli ex proprietari continuarono a possedere la loro terra, pur essendo questa soggetta alla proprietà (dominium) del popolo romano e soggetta a una rendita fondiaria. Nel V secolo questa forma di possesso della terra si fuse con un’altra forma di locazione perpetua, l’enfiteusi, che aveva le sue radici non nella storia romana ma nella storia greca. Per enfiteusi si intendeva la coltivazione di terreni incolti piantandoli con ulivi, viti o palme. Per incoraggiare tale coltivazione era entrato in uso un tipo speciale di possesso. Gli enfiteuti si obbligavano per contratto ad attuare determinati miglioramenti sul terreno; pagando un piccolo affitto fisso; il suo mandato era perpetuo e passava agli eredi, scadendo solo se non avesse adempiuto al suo contratto. Nel corso del tempo, tutti i tipi di terra, non solo i terreni delle piantagioni, avrebbero potuto detenuti da un possesso enfiteutico. Legalmente questo accordo non rispondeva pienamente alla concezione romana né di un contratto di locazione né di una vendita, e gli avvocati dibattevano sulla sua natura avendo opinione inconciliabili su di essa. Alla fine fu stabilito che non si trattava né di una vendita né di un contratto di locazione, ma di un contratto sui generis. Questo tipo di locazione era la regola nei domini imperiali. Ma si trovava anche nelle proprietà di privati.

COAZIONE DEI MEMBRI DELLE CORPORAZIONI

I mestieri ai quali fu applicato per primi e più duramente il metodo della coazione erano quelli da cui dipendeva il sostentamento delle capitali, Roma e Costantinopoli: i capitani delle navi che trasportavano le provviste di frummento dall’Africa e dall’Egitto, e i fornai che lo trasformavano in pane. Questi mestieri, come molti altri, erano stati organizzati in corporazioni (collegia), e come regola generale il figlio era probabilmente costretto a ereditare il mestiere del padre. Era la cosa più redditizia che potesse fare, se il capitale di suo padre fosse stato investito nelle navi o nel panificio. Ma le cose cambiarono quando Diocleziano chiese ai conducenti delle navi di trasportare le provviste pubbliche di cibo e rese la loro proprietà responsabile dell’arrivo sicuro delle merci. Dovevano trasportare non solo le provviste per la popolazione della capitale, ma anche le annonae per i soldati. Questo era un fardello che spingeva i figli di un capitano di nave a cercare altri mezzi di sostentamento. Fu quindi introdotta la costrizione e i figli furono vincolati a svolgere il mestiere del padre. Lo stesso principio fu applicato ai fornai e agli altri fornitori di cibo. Nel corso del IV secolo i membri di tutte le corporazioni commerciali furono vincolati alle loro occupazioni. Si può notare che gli operai delle fabbriche pubbliche (fabricae) venivano marchiati, in modo da poter essere facilmente identificati e arrestati in caso di eventuale fuga dalla loro professione.

COAZIONE DEI CURIALI

Nel IV e nel V secolo si verificò inoltre il declino della vita municipale e del cittadino provinciale benestante della classe media. Gli inizi di questo processo andrebbero ricercati nelle condizioni economiche generali, ma fu aggravato e accelerato dalla legislazione imperiale, e, se non fosse stato per la politica del governo, avrebbe forse potuto essere arrestato.

I membri benestanti di una comunità cittadina, i cui mezzi li rendevano idonei per l’appartenenza alla curia o al senato locale e alla magistratura, formavano la classe dei curiales. I membri del senato erano chiamati decuriones. Ma nel periodo di declino i due termini divennero quasi sinonimi. Poiché il numero dei curiali diminuiva, non vi era nessuno di essi che non fosse obbligato prima o poi a ricoprire le sgradite funzioni di un decurione. In passato era stato un ambito onore adempiere ai doveri non remunerati dell’amministrazione locale, ma la legislazione degli imperatori, dalla fine del III secolo in poi, rese questi oneri un fardello quasi intollerabile. I curiali dovevano ora non solo svolgere il loro compito di governo locale, la riscossione delle imposte e tutti i servizi ordinari assolti dai consigli urbani, ma dovevano svolgere anche il lavoro dei funzionari imperiali. Dovevano riscuotere le tasse fondiarie del distretto urbano. Ed erano responsabili per l’intero importo della tassazione, in modo che, in caso di inadempienti, erano collettivamente responsabili per la mancanza. Dovevano anche provvedere alla fornitura di cavalli e muli per l’accampamento imperiale, il cui mantenimento era imposto ai provinciali e si trattava di una corvée molto gravosa.

I fardelli imposti ai curiali divennero più pesanti man mano che il loro numero diminuiva. La riorganizzazione di Diocleziano del servizio statale, con innumerevoli funzionari, incentivò i figli delle famiglie provinciali benestanti, che in tempi antichi si sarebbero accontentati della prospettiva di onori locali, ad abbracciare una carriera ufficiale grazie alla quale avrebbero potuto ottenere la carica di senatore; l’appartenenza al ceto senatorio li avrebbe liberati da tutti gli obblighi curiali.

Nel corso del tempo la difficile situazione dei provinciali della classe media, che erano generalmente proprietari di piccole fattorie nel quartiere della loro città e che soffrivano per le pesanti tasse, divenne così indesiderabile che molti di loro lasciarono le loro case, si arruorono nell’esercito, entrarono a far parte del clero prendendo i voti, o addirittura si ponevano sotto il patrocinio dei ricchi proprietari terrieri della zona. Era imminente il pericolo che l’organizzazione municipale si sarebbe dissolta completamente. Anche qui, per risolvere il problema, gli imperatori fecero ricorso alla costrizione. La condizione di curiale divenne una servitù ereditaria. Gli era proibito di lasciare il suo luogo di nascita, salvo espressa autorizzazione del governatore provinciale. I suoi figli erano costretti a svolgere la sua stessa professione, cioè quella di curiale. Egli poteva fuggire dal suo terreno solo rinunciando a tutta o a parte della sua proprietà. Vennero poste delle restrizioni ai suoi diritti ordinari di cittadino romano, ad esempio di vendere la sua terra o di lasciarla per testamento a sua discrezione.

Il potere dei magistrati locali era diminuito nel II secolo a causa dell’istituzione del curator civitatis, il cui compito era quello di sovrintendere alle finanze del municipio. Questi era nominato dal governatore provinciale. Verso la metà del IV secolo il suo prestigio era diminuito perché il diritto di nominarlo era stato trasferito alla curia stessa. Fu messo in ombra dal nuovo ufficio di defensor civitatis istituito da Valentiniano I per proteggere gli interessi delle classi più povere contro l’oppressione dei potenti. Il difensore doveva essere nominato dal prefetto del pretorio. Ma l’istituzione non si rivelò un successo. Era difficile trovare le persone adatte per ricoprire tale incarico, che fu affidato spesso e volentieri a individui corrotti e inadatti. Teodosio il Grande cercò di rimediare trasferendo la nomina del difensore ai curiali. Il prestigio della carica declinò immediatamente e la difesa come la curatela divenne un ulteriore fardello imposto alla classe curiale gravemente afflitta, senza alcun potere reale che potesse compensarne gli oneri. L’influenza di tutte le magistrature urbane, che era diventata tutt’altro che un onore, fu presto oscurata da quella del vescovo. E questo ci riconduce a un altro aspetto del declino della vita comunale che merita di essere menzionato.

L’espansione e il trionfo del cristianesimo nel terzo e quarto secolo hanno reso quel periodo un’autentica epoca di transizione, che fu segnata da angoscia e distruzione. La vita municipale romana e greca era inestricabilmente legata alle istituzioni pagane: templi, culti, giochi. Gli interessi e le abitudini delle comunità cittadine erano associati a queste istituzioni e quando il cristianesimo le soppresse, la vita municipale fu privata di un elemento vitale. Infatti la Chiesa non riuscì a portare le proprie istituzioni e pratiche nella stessa intima connessione con l’organizzazione municipale.

COAZIONE DEL SERVIZIO MILITARE

Il principio della coazione è stato esteso al servizio militare. I figli dei veterani erano obbligati a seguire la professione dei loro padri, con l’alternativa poco gradevole di essere iscritti alla classe dei decurioni. Erano stati definitivamente esclusi da una eventuale carriera nel servizio civile. Anche i figli dei funzionari pubblici avrebbero dovuto seguire la carriera dei loro padri.