Campagne balcaniche di Attila, re degli Unni

GLI UNNI

Gli Unni erano una popolazione nomade proveniente dall’Asia. La loro origine non è chiara: in passato è stata proposta un identificazione con gli Hsiung-Nu, una popolazione nomade che, riportano fonti cinesi, nel I secolo a.C. minacciava la Cina. Gli Hsiung-Nu, attaccati dai Cinesi, nel 48 a.C. si divisero in due gruppi: uno venne inglobato dall’Impero cinese di Han, divenendo parte dell’esercito degli Han, mentre l’altro continuò ad essere una minaccia per i Cinesi per un altro secolo, fino a quando i Cinesi utilizzarono gli Hsien-Se per attaccare gli Hsiung-Nu, costringendoli a scappare verso occidente (93 d.C.). Da ora in poi gli Hsiung-Nu scompaiono dagli schermi radar dei Cinesi, per non riapparire più. L’ipotesi che gli Unni siano proprio i discendenti degli Hsiung-Nu che avevano terrorizzato la Cina, seppur affascinante, non è comprovata con prove certe. Prima di tutto, gli Unni e gli Hsiung-Nu avevano un organizzazione politica completamente differente: gli Unni nel IV secolo avevano molti re, i due gruppi di Hsiung-Nu avevano invece un unico capo, lo Shan-Yu. Non va dimenticato il diverso modo di legare i capelli: gli Hsiung-Nu legavano i capelli in una coda di cavallo, a differenza degli Unni. Certamente i tre secoli di intervallo possono spiegare un cambiamento del tipo di governo e del look, e del resto entrambi i popoli portavano armi simili, però per il momento questa possibile identificazione tra i due popoli non è ancora certa, e sono emersi dubbi in proposito. Inoltre il rinvenimento di artefatti bronzei Hsiung-Nu del deserto Ordos in Mongolia ha permesso agli studiosi di constatare come i reperti archeologici attribuibili agli Hsiung-Nu siano del tutto diversi a quelli Unni. Otto Maenchen-Helfen, il più autorevole “unnologo”, ha così concluso:

“I bronzi di Ordos furono prodotti da o per gli Hsiung-Nu. Anche controllando a uno a uno tutti i pezzi dell’inventario di Ordos, non saremmo in grado di indicare un solo oggetto da mettere in relazione con un reperto proveniente dal territorio una volta occupato dagli Unni… In questo stile di disegni animali ricorrono motivi ben noti… Non uno dei motivi appartenenti a questo ricco repertorio è mai stato identificato su un oggetto unno.”

Altri reperti archeologici, rinvenuti a Ivolga in Russia nel 1996, mostrano ulteriori differenze tra Hsiung-Nu e Unni, confermando la tesi di Maenchen-Helfen sulla non corrispondenza tra i due popoli. Allora da quale zona provenivano gli Unni, se l’identificazione con gli Hsiung-Nu è alquanto improbabile? Secondo Kelly, è possibile (ma non certo) che gli Unni provenissero dalle steppe dell’odierno Kazakhistan, zona dal clima gelido e dai venti molto intensi. Purtroppo Ammiano, storico romano del IV secolo è piuttosto vago sull’origine degli Unni, sostenendo semplicemente che provenissero da qualche parte “al di là delle paludi meotiche, lungo l’oceano glaciale”, e i rinvenimenti archeologici non aiutano a fare passi in avanti in modo sostanziale, per cui si è obbligati a fare congetture.

Comunque questa popolazione nomade senza origini certe comparve improvvisamente in Europa orientale nel IV secolo. Le fonti romane (e specialmente Ammiano) dipingono con orrore la comparsa di questo nuovo popolo:

“Il popolo degli Unni… supera ogni limite di barbarie. Siccome hanno l’abitudine di solcare profondamente con un coltello ai bambini appena nati, affinché il vigore della barba, quando spunta al momento debito, si indebolisca a causa delle rughe delle cicatrici, invecchiano imberbi, senz’alcuna bellezza e simili ad eunuchi. Hanno membra robuste e salde, grosso collo e sono stranamente brutti e curvi, tanto che si potrebbero ritenere animali bipedi o simili a quei tronchi grossolanamente scolpiti che si trovano sui parapetti dei ponti. …sono così rozzi nel tenore di vita da non aver bisogno né di fuoco né di cibi conditi, ma si nutrono di radici di erbe selvatiche e di carne semicruda di qualsiasi animale, che riscaldano per un po’ di tempo tra le loro cosce e il dorso dei cavalli. … Neppure un tugurio con il tetto di paglia si può trovare presso di loro, ma vagano attraverso montagne e selve, abituati sin dalla nascita a sopportare geli, fame e sete… Adoperano vesti di lino oppure fatte di topi selvatici, né dispongono di una veste di casa e di un’altra per fuori. Ma una volta che abbiano fermato al collo una tunica di colore sbiadito, non la depongono né la mutano finché, logorata dal lungo uso, non sia ridotta a brandelli. Usano berretti ricurvi e coprono le gambe irsute con pelli caprine… Stando a cavallo notte e giorno ognuno in mezzo a questa gente acquista e vende, mangia e beve e, appoggiato sul corto collo del cavallo, si addormenta così profondamente da vedere ogni verità di sogni. E nelle assemblee…, tutti in questo medesimo atteggiamento discutono degli interessi comuni. Non sono retti secondo un severo principio monarchico, ma, contenti della guida di un capo qualsiasi, travolgono tutto ciò che si oppone a loro. Combattono alle volte se sono provocati ed ingaggiano battaglia in schiere a forma di cuneo con urla confuse e veloci… grazie all’eccessiva rapidità attaccano il vallo e saccheggiano l’accampamento romano. Potrebbero poi essere considerati senz’alcuna difficoltà i più temibili tra tutti i guerrieri poiché combattono a distanza con i giavellotti forniti… di ossa aguzze che sono attaccate con arte meravigliosa, dopo aver percorso rapidamente la distanza che li separa dagli avversari, lottano corpo a corpo con la spada senz’alcun riguardo per la propria vita. Mentre i nemici fanno attenzione ai colpi di spada, quelli scagliano su di loro lacci in modo che, legate le membra agli avversari, tolgono loro la possibilità di cavalcare o di camminare. Nessuno di loro ara né tocca mai la stiva di un aratro. Infatti tutti vagano senza aver sedi fisse, senza una casa o una legge o uno stabile tenore di vita. Assomigliano a gente in continua fuga sui carri che fungono loro da abitazione. Quivi le mogli tessono loro le orribili vesti, qui si accoppiano ai figli sino alla pubertà… Sono infidi e incostanti nelle tregue, mobilissimi ad ogni soffio di una nuova speranza e sacrificano ogni sentimento ad un violentissimo furore. Ignorano profondamente, come animali privi di ragione, il bene ed il male, sono ambigui ed oscuri quando parlano, né mai sono legati dal rispetto per una religione o superstizione, ma ardono di un’immensa avidità di oro. A tal punto sono mutevoli di temperamento e facili all’ira, che spesso in un sol giorno, senza alcuna provocazione, più volte tradiscono gli
amici e nello stesso modo, senza bisogno che alcuno li plachi, si rappacificano. Questo popolo indomito e libero nei movimenti, in preda ad un vivissimo desiderio di depredare gli altri, giunse, avanzando tra rapine e stragi dei vicini, fino agli Alani.”

La descrizione di Ammiano non è del tutto attendibile: infatti è improbabile che Ammiano abbia mai conosciuto di persona un unno, e la descrizione che ne fa lo storico (e allo stesso tempo letterato) è influenzata dal topos della contrapposizione tra lo straniero percepito come “rozzo” e “incivile” e i “civili” Romani. Secondo i Romani, tutti i popoli al di fuori del confine romano, ad eccezione forse dei Persiani (comunque anch’essi appellati “Barbari”), erano considerati razze inferiori e senza leggi, dipinti dunque come brutali, disonesti, irrazionali, feroci, senza una buona forma di governo, ma anche senza una vera religione, educazione, cultura o cibo decente. Anche le loro vesti erano talmente brutte da essere ripugnanti. Tutti i popoli al di fuori dell’Impero erano descritti più o meno con questa caratterizzazione. E Ammiano purtroppo non si sforza affatto di andare oltre i soliti stereotipi sui Barbari, fornendoci un resoconto distorto sugli Unni. A differenza di Prisco, storico del V secolo che visitò la corte di Attila, che fa una descrizione maggiormente veritiera e positiva sugli Unni, e che dimostra le distorsioni commesse da Ammiano nel descriverli. Ammiano, essendo un fan dello storico greco Erodoto, invece, nel descrivere gli Unni ricalca la descrizione degli Sciti che faceva Erodoto nelle sue Storie. Era, infatti, antica abitudine degli storici classicheggianti dell’antichità inserire nelle loro Storie citazioni dotte ai loro antichi e illustri predecessori Erodoto e Tucidide, ovviamente adattate al contesto. La descrizione di Ammiano va dunque letta nel contesto della contrapposizione tra civiltà e barbarie, tra Romani e Barbari, non come un esposizione fedele degli usi e costumi degli Unni, ma come digressione letteraria influenzata dagli stereotipi letterari di Erodoto e Omero.
Chiaramente non tutta la descrizione di Ammiano è da buttare. La descrizione degli Unni come “stranamente brutti e curvi” potrebbe essere influenzata dal fatto che gli Unni effettivamente si appiattivano artificialmente la zona frontale del cranio, rendendoli dunque deformi e brutti. Oppure il mancato cambiamento delle vesti “finché, logorata dal lungo uso, non sia ridotta a brandelli”, potrebbe ricollegarsi a un usanza dei Mongoli di Gengis Khan che imponeva ai suoi di non levarsi i propri indumenti e di non lavarli finché non fossero consunti.
Ammiano sostiene, invece, sicuramente il falso, sostenendo che vivessero sempre sui carri, perché ignora l’uso delle tende. Ammiano è altrettanto in errore quando sostiene che gli Unni non avevano “bisogno né di fuoco né di cibi conditi” perché, come dimostrano rinvenimenti archeologici, gli Unni facevano uso di calderoni di rame per cucinare e cuocere la carne. Inoltre il fatto che combattessero con armi abbastanza difficili da produrre come archi denota comunque un certo grado di “civiltà”. Infatti, secondo lo storico egiziano Taibugha:

“La fabbricazione di un arco richiede pazienza, perché non può essere completata a dovere in meno di un anno intero. L’autunno deve essere dedicato al lavoro di intaglio, alla preparazione del nucleo di legno, alla segatura e alla sistemazione del corno. L’inverno é la stagione in cui cominciare a flettere e piegare, mentre all’inizio della primavera si applica il tendine. In seguito, d’estate, l’arco, che non è ancora finito, viene munito di corda e piegato fino a raggiungere la curvatura desiderata. Viene poi verniciato e decorato.”

Si può ben capire come anche la costruzione di un arco richiedesse tempo e un certo grado di civiltà. Secondo Kelly, è possibile che gli Unni fossero abbastanza ben equipaggiati di armi abbastanza “avanzate” grazie alla cattura di artigiani fabbricanti di armi, che poi vennero sfruttati come schiavi “specializzati” per costruire per loro le armi. Oppure potrebbero averle ottenute commerciando con le popolazioni limitrofe. In ogni modo, tutte queste considerazioni permettono di stabilire che, a differenza di quanto sostiene Ammiano, gli Unni non erano un’orda di barbari rozzi e deformi senza meta, che viveva in groppa ai cavalli persino durante il sonno e privi di ogni forma di tecnologia, talmente involuti da essere ignari persino dell’uso del fuoco. Era sicuramente una confederazione di famiglie nomadi e senza insediamento permanente, ma che soprattutto erano ben equipaggiati grazie a contatti con agricoltori e artigiani esperti. Ammiano insomma aveva dato un immagine distorta degli Unni.

LA MIGRAZIONE DEGLI UNNI E LE SUE NEFASTE CONSEGUENZE

Gli Unni erano feroci e abili combattenti, temibili arcieri a cavallo. Il loro arco era costruito in modo particolare e permetteva loro di lanciare frecce con una gittata maggiore, dando loro un enorme vantaggio nelle battaglie e permettendo loro di sottomettere numerose popolazioni barbariche. Spostandosi verso Occidente, probabilmente attratti dalla ricchezza delle steppe a nord del Mar Nero, gli Unni causarono un effetto domino che spinse altre popolazioni a spostarsi verso Occidente per sfuggire all’inarrestabile avanzata unna; ciò risultò in una nuova serie di invasioni barbariche a danni dell’Impero, che alla fine portarono alla caduta della sua metà occidentale. Inizialmente gli Unni si stabilirono a Nord del Mar Nero, dov’erano ancora nel 395, e inviarono bande di saccheggiatori contro Alani e Goti Tervingi e Greutungi. I Goti, ritenendo la regione in cui vivevano troppo insicura (essendo devastata dalle incursioni unne), decisero di migrare in territorio romano (376).

I Visigoti sconfissero e uccisero l’Imperatore Valente insieme a due terzi dell’esercito romano nella battaglia di Adrianopoli (9 agosto 378) e stipularono un trattato di alleanza con l’Imperatore Teodosio accettando di servirlo in battaglia come foederati (alleati) in cambio del permesso di insediarsi all’interno dell’Impero come popolazione sostanzialmente non sottomessa. Sotto Alarico i Visigoti si rivoltarono e finirono per saccheggiare Roma (410). Sotto il loro re Vallia, nel 418 si insediarono come foederati in Gallia Aquitania, acquisendo un’indipendenza sempre maggiore dall’Impero. Nel frattempo a causa dello spostamento degli Unni verso la grande pianura ungherese, tra il 405 e il 408 le popolazioni a ovest dei Carpazi invasero l’Impero: i Goti di Radagaiso invasero l’Italia ma furono sconfitti, mentre invece le invasioni di Vandali, Alani e Svevi ebbero successo e finirono con l’insediarsi in Hispania. Successivamente Vandali e Alani conquistarono l’Africa, mentre gli Svevi in Galizia, condotti da re Rechila, tra il 439 e il 441 conquistò quasi tutta la Spagna romana, ad eccezione della Tarraconense. Le invasioni provocate indirettamente dagli Unni avevano portato la pars occidentis sull’orlo del collasso.

GLI UNNI ALLEATI DELL’IMPERO

Comunque, oltre a invadere l’Impero o a causare indirettamente le invasioni di altre popolazioni, gli Unni a volte accettavano di assistere l’Impero in qualità di guerrieri mercenari. Arcadio aveva stipulato un’alleanza con gli Unni di Uldino nel 400, e lo stesso Uldino assistette la pars occidentis in occasione dell’invasione di Radagaiso: i mercenari unni di Uldino combatterono nella battaglia di Fiesole, in cui Radagaiso fu sconfitto e successivamente ucciso. Ancora nel 409 o 410 Onorio aveva inviato richiesta agli Unni affinché gli fornissero 10.000 guerrieri mercenari per usarli contro Alarico, ma è ignoto se tali guerrieri effettivamente fossero stati inviati.

Ezio fece pesante uso degli Unni, sia per conquistare il potere mettendo a tacere l’opposizione a corte sia per la difesa della Gallia. Per ottenere l’appoggio degli Unni contro Visigoti, Bagaudi (briganti separatisti) e Burgundi Ezio fu costretto però a cedere loro la Pannonia. Grazie agli Unni Ezio riuscì a difendere efficacemente la Gallia contenendo le mire espansionistiche delle popolazioni barbariche lì insediate. L’uso degli Unni come mercenari, seppur avesse portato a taluni successi, non mancò di generare dissensi tra gli scrittori cristiani, il quale mal sopportavano che i guerrieri unni si permettessero a volte di saccheggiare impunemente lo stesso territorio imperiale che essi erano tenuti a difendere; e si scandalizzarono per il fatto che lo stesso Littorio permettesse loro di compiere sacrifici alle proprie divinità pagane e predire il futuro con la scapulimanzia. Il vescovo di Marsiglia Salviano, che scriveva intorno al 440, condannò il fatto che i Romani, invece di fare affidamento su Dio, confidavano nella ferocia del popolo pagano degli Unni per sconfiggere i cristiani (seppur ariani) Visigoti; tale scelta deplorabile avrebbe fatto perdere loro la protezione divina, con il risultato che l’”empio” Littorio, dopo aver rifiutato infinite volte le proposte di pace visigote, perché confidente nella vittoria finale, fu infine vinto e umiliato dagli stessi Visigoti che intendeva umiliare; Salviano sostiene quindi che, nel caso di Littorio, si avverò la citazione biblica “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

La situazione cambiò con l’ascesa al trono unno di Attila (insieme al fratello Bleda), avvenuta tra il 434 e il 439. Secondo lo storico Prisco:

“Attila fu un uomo nato per scuotere le razze del mondo, il terrore di tutte le terre; infatti in un modo o nell’altro tutti erano terrorizzati dalla feroce fama che si spargeva su di lui; era altezzoso sulla sua carrozza, gettava il suo sguardo su tutti i lati, in un modo tale, che il potere della superbia si vedeva nei movimenti stessi del suo corpo. Amante della guerra, partecipava personalmente alle azioni, il più autoritario nei consigli, pietoso per i supplici, e generoso verso coloro ai quali un tempo aveva dato la sua fiducia. Era piccolo di statura, con un largo petto, la testa massiccia, e piccoli occhi. Aveva la barba sottile e spruzzata di grigio, il naso piatto, e la carnagione scura, il che dimostrava i segni delle sue origini.”

Attila invase più volte l’Impero d’Oriente, impedendogli di aiutare la parte occidentale contro i Vandali in Africa, e in questo modo danneggiò pesantemente Ezio.

CAMPAGNE DI ATTILA

Nel 439 Attila e Bleda stipularono con l’Impero d’Oriente gli accordi di Margus. Secondo lo storico Prisco:

Ma essendo morto Roua, e il regno degli Unni passato ad Attila, il senato romano ritenne che Plinthas avrebbe dovuto inviare la sua ambasciata a loro. Quando questo decreto venne ratificato per lui dall’imperatore, Plinthas chiese di avere anche Epigene perché si unisse all’ambasciata, dal momento che era un uomo con una grande reputazione di saggezza, e ricopriva la carica di questore. Plinthas, una volta ottenuta l’approvazione, su tutto quello che aveva richiesto per l’ambasciata, raggiunse Margus 6. Questa è una città della Moesia in Illirico, situata sul fiume Danubio, di fronte al forte di Constantia, che si trova sulla riva opposta, dove le tende reali degli Sciti (Unni) erano state piantate. Questi tennero una riunione, fuori dalla città, in sella ai loro cavalli, perché non sembra che i barbari siano abituati a conferire dopo aver smontato da cavallo, e così gli ambasciatori romani, memori della propria dignità, vollero seguire la stessa prassi degli Sciti, al fine di non trovarsi a piedi, in discussione con altri uomini a cavallo. [Venne concordato che in futuro i romani non avrebbero ricevuto] coloro che fossero fuggiti dalla Scizia e, inoltre, che coloro che fossero già fuggiti, insieme con i prigionieri romani che erano fuggiti nelle loro terre senza riscatto, avrebbero dovuto essere riconsegnati, a meno che, per ogni latitante, non venissero pagati otto pezzi d’oro a coloro che lo avevano catturati in guerra. Venne inoltre convenuto che i Romani non avrebbero stipulato alleanze con nessuna tribù barbara, che fosse stata in guerra contro gli Unni, che ci potessero essere commerci con uguali diritti, e in sicurezza, per i romani e gli Unni, che il trattato sarebbe stato mantenuto e sarebbe rimasto in vigore, e che settecento pezzi d’oro sarebbero stati corrisposti ogni anno dai Romani ai governanti Sciti. In questi termini i Romani e gli Unni stipularono il trattato, e giurarono tra loro, con le loro tradizionali formule, e ciascuno tornò al suo paese. Coloro che erano fuggiti ai Romani vennero riconsegnati ai barbari. Tra di loro c’erano i bambini Mama e Atakam, rampolli della casa reale. Coloro che li ricevettero li crocifissero a Carsum, una fortezza Tracia, dal momento che questa era la pena per la loro fuga. Attila, Bleda, e la loro corte, avendo stabilito la pace con i Romani, marciarono tra le tribù della Scizia per sottometterle, e intrapresero una guerra contro i Sorosgi.”

Teodosio II tentò così di assicurarsi la pace con gli Unni, in modo da poter avere mano libera in Africa con i Vandali. Teodosio II inviò nel 440 una flotta di ben 1100 navi in Sicilia, con l’intento di invadere l’Africa l’anno successivo. Tuttavia, Attila approfittò dello sguarnimento delle frontiere illiriche per invaderle, costringendo di fatto Teodosio II a richiamare la flotta e ad annullare la spedizione contro i Vandali. L’Impero d’Occidente avrebbe dovuto cavarsela da solo.

Gli Unni invasero il mercato di Margus, dove avrebbero dovuto avvenire gli scambi commerciali con i Romani, uccidendo molti uomini. Un’ambasceria romana chiese spiegazioni per l’attacco accusando gli Unni di aver violato i trattati. Gli Unni giustificarono il loro attacco per l’affronto subito per mano del vescovo di Margus, da loro accusato di essersi addentrato nelle loro terre e di aver profanato i sacri sepolcri dei re unni per rubare oggetti di valore. Dissero che non avrebbero cessato l’attacco se non fosse stato consegnato il vescovo reo. Gli Unni, attraversato il Danubio, espugnarono diverse città. Il vescovo di Margus, temendo di essere consegnato agli Unni, tradì i Romani, cagionando la rovina della propria città in cambio della grazia concessagli dai Barbari:

Ma questo uomo, sospettando che sarebbe stato presto consegnato al nemico, all’insaputa di coloro che erano in città, si presentò agli Sciti, e promise loro che avrebbe consegnato anche la città, se il re Scita avesse proposto, in cambio, delle condizioni ragionevoli. Questi promise che lo avrebbero trattato bene ma, in ogni modo, solo una volta onorata la sua promessa. Una volta che si furono stretti la mano destra, e giurato per le cose promesse, egli poté tornare nella terra romana con una grande schiera di barbari, e, dopo aver accampato questa forza, come per un agguato, sulla riva opposta, la fece avanzare durante la notte, in base all’accordo preso, e consegnò la città nelle mani dei suoi nemici. Margus venne così devastata, e i possedimenti dei barbari vennero aumentati in misura ancora maggiore”.

Tra i frammenti di Prisco vi è quello dell’assedio unno di Naissus:

[Gli Sciti assediavano Naissus.] Questa è una città degli Illiri che si trovano sul fiume Danubio. Si dice che Costantino fu il suo fondatore, lo stesso uomo che ricostruì anche la città a Bisanzio, dandogli il suo nome. I barbari, essendo sul punto di prendere una città così popolosa e fortificata, avanzavano con ogni mezzo. Dal momento che coloro che erano in città non erano sicuri di poter sostenere la battaglia, i barbari guadarono il fiume nella parte meridionale, dove lambiva la città, e dove il guado sarebbe stato più facile per il gran numero di uomini che avrebbero portato le macchine da guerra fino alle mura – in primo luogo le torri in legno montate su ruote – che così vennero facilmente accostate [alle mura]. Gli uomini, in piedi sulle travi, scagliavano frecce contro coloro che difendevano la città dai bastioni, e altri uomini, tenendosi protetti dietro le travi, spingevano le ruote in avanti a piedi. Così, fecero avanzare le torri, ovunque fosse necessario, in modo che fosse possibile tirare con successo attraverso le finestre aperte nelle mura stesse. Per fare in modo che il combattimento fosse libero da pericoli anche per gli uomini che si trovavano sulle travi, questi erano protetti da rami di salice intrecciati, con schermi rivestiti di cuoio, una difesa contro i dardi e quante altre armi potessero essere scagliate contro di loro.”

“Molte macchine da guerra, in questo modo, vennero portate vicino alle mura della città, in modo che quelli sugli spalti, a causa della moltitudine dei dardi scagliati contro di loro, erano impotenti, e i cosiddetti arieti poterono avanzare. L’ariete è una macchina enorme; un fascio in legno con una testa di metallo è sospeso con catene fissate su travi inclinate una verso l’altra, che sono schermate come quelle appena citate per la sicurezza di chi si trova sotto di esse. Con piccole corde fissate ad un corno sporgente sul retro, gli uomini, con la loro forza, lo tirano indietro rispetto luogo che deve ricevere il colpo, per poi lasciarlo andare, in modo che con la sua corsa frantuma ogni parte del muro che colpisce. Dalle mura i difensori scagliavano le pietre che avevano precedentemente raccolte, dai carri, mentre in basso le macchine venivano portate fino alle mura; in questo modo riuscivano a danneggiare in parte le macchine e ad uccidere gli uomini [che le manovravano], ma non potevano fare molto per il gran numero di macchine presenti; nel frattempo il nemico portò molte scale. E così in alcuni punti il muro venne sfondato dal arieti, e altrove gli uomini sui bastioni vennero sopraffatti dalla moltitudine di macchine d’assedio. La città venne così presa allorché i barbari riuscirono ad entrarvi passando per i varchi aperti nelle mura dal martellamento degli arieti, e anche per mezzo delle scale, con cui presero la parte delle mura non ancora crollata.”

L’esatta successione cronologica di quanto successe in seguito è incerta in quanto la Storia di Prisco è sopravvissuta solo in frammenti, e le altre fonti sono alquanto laconiche. Se si presta completa fiducia a Teofane per mettere in ordine i frammenti di Prisco, si può concludere che le campagne di Attila nei Balcani dopo il 442 furono due:

  • una nel 443 allorché gli Unni sconfissero i Romani nel Chersoneso
  • una nel 447, anno in cui gli Unni minacciarono fortemente Costantinopoli stessa

Lo studioso Otto J. Maenchen-Helfen ritiene però che l’attendibilità di Teofane per questi avvenimenti sia dubbia e sostiene che in realtà vi fu dopo il 442 un’unica campagna, quella del 447. Heather e Kelly propendono con il dare ragione a Maenchen-Helfen. Secondo una congettura riportata da Heather è probabile che Teodosio II avesse accettato nel 442 di versare 1400 libbre d’oro al re unno in cambio della pace.

Comunque l’Impero era ancora fiducioso nella sua superiorità, e sapeva che aveva perso il primo round contro Attila anche perché gran parte dell’esercito dei Balcani era altrove, in Sicilia, quindi Attila aveva colto l’Impero in un momento di vulnerabilità. Quando dunque la flotta ritornò, Teodosio II smise di pagare il tributo, perché era speranzoso che con tutto l’esercito a sua disposizione, sarebbe riuscito a respingere gli Unni. Fu una vana illusione. Nel 447, di fronte a 6000 libbre d’oro di arretrati non pagati, Attila li pretese dall’Impero. Di fronte al rifiuto, lo invase. Fu una grande vittoria per il re degli Unni, che annientò l’esercito di Tracia condotto da Arnegisclo e minacciava ormai da vicino la stessa Costantinopoli, devastata recentemente da un terremoto. Gli abitanti riuscirono comunque a riparare i danni alle mura provocati dal terremoto prima dell’arrivo di Attila, anche se l’esercito romano d’Oriente subì una nuova sconfitta nel Chersoneso. I Balcani erano completamente in mano sua e vennero cruentemente devastati, l’Impero romano d’Oriente era in ginocchio:

Il barbaro popolo degli Unni… divenne così forte da conquistare cento città e da mettere quasi in pericolo la stessa Costantinopoli, e tutti quelli che poterono scapparono davanti a lui. Perfino i monaci vollero fuggire a Gerusalemme… I barbari devastarono la Tracia al punto che la regione non potrà mai più risorgere e tornare come prima.

Teodosio II fu costretto a firmare una pace umiliante: il tributo annuale aumentò a 2100 libbre d’oro, e l’Impero fu costretto a evacuare tutta la zona a sud del Danubio “larga cinque giorni di viaggio”. Questo è quanto afferma Prisco:

Dopo gli scontri nel Chersoneso, altri trattati vennero stipulati dai Romani con gli Unni, per merito di Anatolio, inviato come ambasciatore. Gli Unni accettarono ancora una volta la pace a condizione che i fuggitivi fossero loro restituiti e che seimila libre d’oro venissero loro pagate, al posto del contributo precedentemente pattuito, che ammontava a due mila e cento libbre d’oro; fu poi concordato che, per ogni prigioniero di guerra romano fuggito, che fosse rientrato nella sua terra senza riscatto, sarebbero stati pagati dodici pezzi d’oro, o, se coloro che lo avessero accolto non avessero pagato [quanto pattuito] il fuggitivo sarebbe stato restituito; e infine i Romani si impegnavano non a ricevere alcun barbaro fuggito presso di loro. I Romani finsero di accettare di buon animo questi accordi, ma in realtà lo facevano per necessità, e con il grandissimo timore che aveva costretto i loro governanti. Nonostante il fatto che le condizioni fossero così dure, essi dovettero accontentarsi di fare la pace in fretta. Inviarono quindi il contributo con i tributi, che erano molto pesanti, anche se le loro risorse, così come il tesoro imperiale, erano di fatto esaurite; non per necessità, tuttavia, ma per pagare spettacoli disgustosi, ambizioni sfrenate e piaceri, e per feste dissolute, come nessuno di mente sana, e neanche in tempi prosperi, dovrebbe concedersi. Il risultato è stato che venne concesso il pagamento del tributo non solo agli Sciti, ma anche alle altre tribù di barbari, nei pressi del territorio romano.”

Prisco esagera enormemente le sventure che caddero sui Romani costretti a pagare tasse onerose necessarie a garantire il pagamento del tributo ad Attila:

 “Per i tributi e le somme di denaro che è stato necessario inviare gli Unni, l’imperatore costrinse tutti a contribuire al pagamento con una tassa di guerra, sia per coloro che avevano già pagato le tasse in natura, che per quelli esonerati, in quel momento, da qualsiasi imposta fondiaria pesante, o per la decisione dei giudici o per la liberalità degli imperatori. Gli iscritti al Senato pagarono, come tassa di guerra, somme in oro, ciascuno in proporzione al proprio grado, e per molti fu una disgrazia che comportò un duro cambiamento nella loro vita. Molti dovettero concedere sotto tortura ciò che gli veniva richiesto degli incaricati mandati dall’imperatore per fare le valutazioni. E gli uomini che in passato erano stati benestanti ? Loro dovettero mettere sul mercato il mobilio e gli ornamenti delle loro mogli. Dopo la guerra anche questa calamità si abbatté sui romani, e molti furono quelli morti per fame o impiccati. Quindi Scottas, un importante nobile degli Unni e fratello di Onegesio, venne incaricato di provvedere alla riscossione; ma i tesori [ottenuti] furono dilapidati sotto l’impulso del momento, mentre molti dei fuggitivi vennero restituiti.”

In realtà si ritiene che Prisco abbia esagerato a dismisura le difficoltà dei ceti alti a pagare il tributo per una sorta di “solidarietà di classe”. Pur essendo una cifra dieci volte superiore a qualunque altro tributo pagato finora dall’Impero, il tributo versato dagli Unni era comunque una cifra paragonabile alle rendite delle persone più agiate dell’Impero, e non era una cifra così straordinaria, come dimostrato da Kelly che in un calcolo ha stimato che 2.100 libbre d’oro costituissero all’incirca solo il 3% delle entrate annuali dell’Impero d’Oriente.

Sempre secondo Prisco:

“Quando la pace venne conclusa, ancora una volta Attila mandò gli ambasciatori ai Romani d’oriente per chiedere la restituzione dei fuggitivi. Ed essi, ricevendo questi inviati, li lusingarono con molti doni, e li congedarono nuovamente, dicendo che non trattenevano alcun fuggitivo; ma di nuovo [Attila] mandò altri uomini. Quando anche questi si furono scambiati i loro messaggi, giunse una terza ambasciata, e dopo una quarta, da parte del barbaro, vedendo chiaramente la liberalità dei Romani, che essi esercitavano con molta cautela affinché i trattati di pace non venissero rotti, e volle [così] beneficiare il suo seguito. Quindi mandò ancora [altri ambasciatori] ai Romani, accampando nuove scuse e trovando nuovi pretesti. Essi ascoltarono ogni ordine e obbedirono al comando del loro signore in tutto ciò che lui ordinava. Non erano solo preoccupati di evitare una guerra contro di lui, ma, anche, temevano i Parti che erano, come poi avvenne, intenti a fare preparativi per la guerra; poi i Vandali che affliggevano il mare, gli Isauri delle coste che si erano dati al banditismo, i Saraceni che sconfinavano della parte orientale dell’impero, e le razzie degli etiopi. Per farla breve, trascurarono i problemi con Attila, e si sforzarono di rispondere alle altre genti con con la forza dell’esercito, raccogliendo tutte le loro forze e i migliori generali.”

Nel 449 l’Imperatore d’Oriente Teodosio II tentò di liberarsi di Attila ordendo un complotto contro di lui. Esso fallì ma permise a Prisco, inviato in ambasceria, di visitare la corte degli Unni e di conoscere di persona Attila. Questa descrizione è stata preservata nei frammenti della sua storia, e rappresenta una testimonianza oculare di chi fosse Attila. Prisco ne dà una rappresentazione sorprendente, per niente affatto stereotipata. Di questo complotto e di questa ambasceria se ne parlerà in un altro articolo.