Come i Romani (Romaioi) divennero Bizantini

PREAMBOLO

Per una convenzione moderna, l'”Impero bizantino” indica la parte orientale dell’Impero romano, con capitale Costantinopoli, l’antica Bisanzio. L'”Impero bizantino” per convenzione comincia con la fondazione di Costantinopoli, avvenuta nel IV secolo sul sito dell’antica colonia greca di Bisanzio, per decisione dell’Imperatore romano Costantino I. Costantino I ribattezzò la rifondata Bisanzio “Nuova Roma” o “Costantinopoli”. I successori di Costantino I risiedettero a Costantinopoli ininterrottamente fino al 1204, quando la città fu espugnata dai Crociati che vi fondarono l’Impero latino, ma nel 1261 i Bizantini riespugnarono Costantinopoli. Nel 1453 i Turchi Ottomani conquistarono Costantinopoli, provocando la caduta definitiva dell'”Impero bizantino”.

In realtà gli abitanti dell'”Impero bizantino” mai usarono la parola “Bizantini” per definirsi, a meno che non si riferissero a un abitante della capitale Bisanzio. Essi si consideravano semplicemente Romani (Romaioi in greco). Ben prima di Costantino, l’idea di “Roma” si era dissociata dall’immagine della Città Eterna sul Tevere. Il termine “romano” indicava chiunque detenesse la cittadinanza romana, indipendentemente da dove vivesse. Nel 212 l’Imperatore Caracalla concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti liberi dell’Impero, e pertanto anche i Greci, che fino a quell’epoca si autodefinivano “Elleni”, cominciarono a usare il termine “Romani” (Romaioi) per definirsi. Del resto, con la diffusione del Cristianesimo, gli autori cristiani cominciarono a usare il termine “elleni” con accezione dispregiativa per denotare i pagani, e quindi i Greci Cristiani preferirono usare il termine “Romaioi” perché non volevano essere associati agli “elleni” pagani. Dunque nella parte orientale dell’Impero romano vi furono “Romani” grecofoni fino al XV secolo.

A partire da Diocleziano l’Impero fu diviso in due o più parti (spesso due) per renderne più agevole la gestione amministrativo-militare. Queste suddivisioni non intendevano essere definitive. L’Impero continuava a essere considerato unico, soltanto governato collegialmente da due imperatori. Tuttavia, dopo il 395, sotto gli immediati successori di Teodosio I, Arcadio e Onorio (che tra l’altro erano fratelli), le due partes cominciarono a litigare tra loro, e, anche se in seguito si ebbe una relativa pacificazione, le due partes cominciarono a comportarsi come se fossero due imperi distinti, anche se de jure l’Impero continuava a essere unico. In effetti le leggi romane continuarono a essere promulgate a nome di entrambi gli Imperatori (Arcadio e Onorio, Onorio e Teodosio II, Teodosio II e Valentiniano III), anche dopo il 395, a conferma che l’Impero continuava a essere considerato unico, soltanto governato collegialmente da due Imperatori.

La pars orientis (almeno fino al VII secolo) aveva la stessa struttura amministrativa della pars occidentis. Il latino era ancora la lingua ufficiale della pars orientis, anche se molti degli abitanti in realtà lo ignoravano, essendo di madrelingua greca. Invece nella pars occidentis era sia lingua ufficiale che lingua d’uso per la maggior parte della popolazione. Comunque non vi erano all’epoca forti differenze tra le due partes, se non per le lingue di maggior diffusione (occidente latinofono, oriente grecofono). Fu soltanto nel VII secolo che la parte orientale si rinnovò pesantemente a livello militare e amministrativo, distaccandosi definitivamente dal passato tardo-romano. Per questo motivo alcuni studiosi fanno cominciare l’Impero bizantino vero e proprio solo nel VII secolo, da Eraclio in poi, considerando il periodo antecedente come “periodo proto-bizantino” o “periodo tardo-romano dell’Impero bizantino”. Non a caso “The Prosopography of the Later Roman Empire” termina nel 641, anno del passaggio del testimone con “The Prosopography of the Byzantine Empire”.

UNA CADUTA SENZA RUMORE

Nel corso del V secolo la parte occidentale, invasa militarmente da popolazioni barbariche sospinte dagli Unni, collassò militarmente. Nel 476 le truppe mercenarie che servivano nell’esercito romano d’Italia si rivoltarono. Procopio scrive:

 Già da qualche tempo i Romani avevano cominciato ad accogliere nel loro esercito gli Sciri, gli Alani e alcune popolazioni gotiche, e da quel momento avevano dovuto soffrire per mano di Alarico e di Attila i disastri che ho narrato nei libri precedenti. E nella misura in cui aumentava in mezzo a loro il numero dei barbari, declinava il prestigio dei militari romani; sotto lo specioso nome di alleanza, essi subivano il predominio e le imposizioni degli stranieri, tanto che senza alcun ritegno, i barbari li costringevano contro la loro volontà a molte concessioni e alla fine pretesero di dividere con loro tutti i territori dell’Italia. Essi chiesero a Oreste di concedere loro un terzo delle campagne e, siccome egli non volle assolutamente cedere a questa richiesta, lo uccisero.

Il capo dei mercenari barbari in rivolta, Odoacre, depose Romolo Augusto, ritenendo la figura dell’Imperatore ormai inutile, essendo già stata privata di ogni potere effettivo. Negli ultimi decenni dell’Impero d’Occidente, il ruolo dell’Imperatore era analogo a quello dei re merovingi, che non detenevano alcun potere effettivo, che era passato nelle mani dei maggiordomi di palazzo; quando i maggiordomi di palazzo si accorsero che la figura del re merovingio aveva perso ogni ragione di esistere, lo deposero e gli succedettero nel governo dei Franchi. Allo stesso modo, quando il magister militum barbaro si rese conto che dell’Imperatore d’Occidente si poteva fare persino a meno, dato che non deteneva alcun potere effettivo, decise di deporlo e di sostituirlo nel governo dello stato anche de jure, e non più semplicemente de facto. In ogni modo la deposizione di Romolo Augusto non portò davvero alla fine dell’Impero romano. Secondo lo storico greco Malco, Odoacre inviò a nome di Romolo Augusto un’ambasceria a Costantinopoli per comunicare all’Imperatore d’Oriente che:

[…]la città non abbisognava di particolare imperatore, essendo bastante uno a difendere i confini di entrambi gli Stati; e ch’egli [Romolo Augusto] aveva nel frattempo affidato la gestione dello stato ad Odoacre, soggetto idoneo a procurare la pubblica salvezza, essendo eccellente nell’amministrazione della repubblica, e bravo nell’arte militare. Pregavalo quindi di ornare costui della patrizia dignità, e ad affidargli il governo dell’italiana diocesi. Andarono pertanto gli ambasciatori del senato dell’antica Roma a riferire tali discorsi in Bisanzio.

Anche Giulio Nepote tuttavia inviò ambasciatori a Costantinopoli:

Nepote similmente a que’ dì mandò legati a congratularsi con Zenone del ricuperato imperio, ed a supplicarlo, come già partecipe degli stessi disastri in cui egli rimaneva tuttora, di volerlo assistere con pronto e volonteroso animo nel riacquistare il potere supremo; al qual uopo fornisselo di danaro, di eserciti e di tutto il di più occorrente ad aprirgli coll’opera sua il varco alla primiera fortuna: e qui limitavasi la mandata.

La risposta di Zenone alle due ambascerie fu la seguente:

Zenone alle ambascerie, ed in prima a quella de’ senatori, così rispose: Aver egli discacciato l’uno dei due che dall’oriente eransi fatti capi dell’ imperio, e morto Antemio; del resto il senato di per sè considerasse attentamente il da farsi, mercè che salvo il proprio imperatore non bavvi deliberazione a prendere oltre quella di riceverlo al ritorno , e rimanervi unito. Sulle cose riguardanti il barbaro soggiunse, che Odoacre avrebbe rettamente e con giustizia operato rivolgendosi all’imperatore Nepote per conseguire la patrizia dignità, e manderagliela tuttavia se non prevenuto dallo stesso; esortavalo però, tosto ricevuta, di accostumarsi ad un culto dicevole ai Romani. Quanto a sè nutrir fiducia, ch’egli, non volendosi partire dal sentiero della giustizia, tributerà d’onore e rispetto il sovrano, da cui ebbe tale grandezza: non pertanto ne’ regi dispacci, dove ricusavagli la chiesta dignità, nomollo patrizio.

L’Imperatore legittimo Giulio Nepote continuò a regnare in Dalmazia fino al 480, quando fu ucciso in una congiura. Nello stesso anno Odoacre invase e sottomise la Dalmazia. Alcune Cronache considerano Giulio Nepote e non Romolo Augusto l’ultimo Imperatore d’Occidente e collocano la fine del suo regno nel 480.

Sotto Odoacre non vi furono enormi cambiamenti rispetto all’immediato passato. Odoacre era re solo dei mercenari barbari, ma governava i suoi sudditi romani come patrizio e magister militum praesentalis dell’unico imperatore romano residente a Costantinopoli, in qualità di alto funzionario dell’Imperatore. L’Italia faceva ancora parte dell’Impero romano. L’aristocrazia italica poteva ancora accedere alle alte cariche dell’Impero romano, come quella di console, di prefetto del pretorio, di prefetto dell’urbe, di magister officiorum, di praeses, nonché numerose altre cariche civili, che rimasero in vigore anche sotto Odoacre. Odoacre, e successivamente Teodorico, avevano poi delle limitazioni al loro potere che confermavano che erano solo alti funzionari dell’Imperatore, e non sovrani assoluti. Essi ad esempio potevano emanare solo edicta, ma non leges, che erano prerogativa esclusiva dell’Imperatore. Questo limitava effettivamente il loro potere, in quanto implicava che i loro edicta non potevano violare una legge preesistente. Essi inoltre non potevano conferire la cittadinanza romana ai loro sudditi barbari, che era prerogativa esclusiva dell’Imperatore, con il risultato che i dominatori barbari erano esclusi dalle cariche civili come il consolato, la prefettura del pretorio o il governo delle provincie. L’Imperatore romano di Costantinopoli esercitava ancora un controllo “indiretto” sull’Italia.

Detto questo, le fonti quando cominciano a riportare la convinzione della fine di Roma? Nella Vita di San Severino scritta da Eugippio nel 511 è scritto:

Ai tempi in cui ancora esisteva l’Impero romano, i soldati di molte città erano mantenuti dall’erario pubblico per la guardia che facevano contro il muro [la frontiera del Danubio]. Quando questa situazione cessò di esistere le formazioni militari si dissolsero e il muro fu lasciato andare in rovina.

Eugippio sembra implicare che nel 511, a suo dire, l’Impero romano non fosse più esistente, ma alcuni studiosi hanno ipotizzato che l’agiografo intendesse semplicemente dire che al suo tempo il Norico non faceva più parte dell’Impero romano. In un documento in latino compilato tra il 491 e il 518, inoltre, viene affermato che a partire dal 497 non vi sarebbero stati più imperatori ma soltanto re, e Teodorico veniva definito “re dei Goti e dei Romani secondo il diritto romano”, tesi che sembrerebbe confermare un inizio di presa di coscienza della caduta di Roma. A metà del VI secolo il cronista “bizantino” Marcellino scrive:

L’Impero romano d’Occidente, che per primo degli Augusti resse Ottaviano Augusto nell’anno 709 dalla fondazione dell’Urbe, perì con questo Augustolo, dopo che erano trascorsi 522 anni dalla sua fondazione. Da quel momento in poi Roma sarebbe stata governata dai re goti.

Si ritiene generalmente che la fonte di Marcellino fosse la purtroppo perduta Historia Romana del senatore romano Simmaco, funzionario di Teodorico. Secondo tale congettura, Marcellino avrebbe attinto da tale opera perduta l’interpretazione della deposizione di Romolo Augusto come caduta dell’Impero romano d’Occidente. L’opera di Simmaco, secondo tali congetture, esprimerebbe l’opinione della gens Anicia, che si sarebbe ormai rassegnata che la carica di Imperatore d’Occidente fosse vacante ormai da decenni, e avrebbe considerato l’Impero ormai come storia passata. In ogni modo, per Marcellino, l’Impero romano era davvero caduto con la deposizione di Romolo Augusto? La risposta è no. Era caduto l’Impero romano d’Occidente, non l’Impero romano tout court. L’Impero romano era stato traslato in Oriente, a Costantinopoli.

Per quanto riguarda la Historia Romana di Paolo Diacono, scritta nel VIII secolo, essa scrive:

 E fu così che questa potenza augustale e l’Impero dei Romani presso [la città di] Roma che aveva dominato l’intero mondo venerabile, che in tempi antichi fu fondato da Ottaviano Augusto, perì con questo Augustolo nell’anno 1209 dalla fondazione della città, nell’anno 517 da Gaio Cesare, che senza dubbio fu il primo ad ottenere l’accentramento del potere [principato] nelle sue sole mani, nell’anno 475 dall’incarnazione del Signore.

E ancora:

Avendo già cessato di esistere l’Impero della città di Roma, mi sembra più utile e comodo computare gli anni a partire dall’incarnazione del Signore, poiché probabilmente in questi tempi è un metodo maggiormente conosciuto.

Tuttavia per Paolo Diacono la deposizione di Romolo Augusto, pur essendo importante in quanto evento che segnò la fine dell’Impero della città di Roma, non segna la fine dell’Impero romano tout court, in quanto in Oriente esisteva pur sempre un Impero romano. E infatti la Historia Romana di Paolo Diacono non si ferma alla deposizione di Romolo Augusto ma prosegue fino alla fine della guerra gotica e la riconquista “bizantina” dell’Italia.

In conclusione, per le fonti il 476 segna la fine della pars occidentis, dell’Impero romano della città di Roma, ma per le suddette fonti l’Impero romano proseguiva in Oriente (translatio Imperii).

ROMANI

In effetti le fonti latine occidentali scritte prima dell’incoronazione di Carlo Magno del natale 800 continuano a chiamare l’Impero di Costantinopoli Imperium Romanum oppure Sancta Res Publica Romanorum e i suoi abitanti Romani. Non mancano, certo, i casi in cui le suddette fonti parlano di Graeci, ma questo si riferiva per lo più alla lingua parlata dagli elementi di provenienza orientale e soprattutto questa denominazione veniva impiegata in un contesto polemico, al fine di insultare, in alcuni casi anche a scopi di propaganda, i funzionari e gli ambasciatori “bizantini”. Su questo ritornerò più sotto.

Lo storico goto Giordane, nella sua Romana, scritta intorno al 550, considerava l’Impero romano ancora esistente all’epoca, come dimostra questo brano:

[…]come lo stato romano cominciò e durò, sottomise praticamente il mondo intero, e sarebbe durato fino ad oggi nell’immaginazione, e di come la serie di re si sarebbe protratta a partire da Romolo, e, successivamente, da Ottaviano Augusto fino all’Augusto Giustiniano.

E’ vero che l’aggiunta “nell’immaginazione” è emblematica perché evidenzia che Giordane riteneva l’Impero ormai l’ombra di se stesso, ma comunque resta il fatto che l’Augusto Giustiniano viene considerato romano da Giordane. Giordane, pessimista sulle sorti dell’Impero romano ridotto all’ombra di se stesso intorno al 550, conclude la sua opera in questo modo:

[…]tali sono le tribolazioni dello stato romano a partire dalle incursioni quotidiane di Bulgari, Anti e Slavi. Se qualcuno desiderasse conoscerle, consulti gli annali e la storia dei consoli senza disdegno, e troverà un impero odierno degno di una tragedia. E conoscerà come sorse, come si espanse, e in che modo sottomise tutte le terre nelle sue mani e come le perse di nuovo a causa di sovrani ignoranti. È quello che noi, al meglio della nostra abilità, abbiamo trattato in modo che, tramite la lettura, il lettore diligente possa ottenere una conoscenza più ampia di tali cose.

Quindi per Giordane l’Impero “bizantino” era ancora un Impero romano, almeno in apparenza, anche se era solo l’ombra del vecchio e potente stato romano.

Anche Giovanni di Biclaro, vissuto in Spagna tra la fine del VI secolo e gli inizi del VII secolo, nella sua Cronaca, parla di Romani per riferirsi ai “Bizantini”. Ecco alcuni brani della sua Cronaca:

Nel corso della quindicesima indizione, […] Giustiniano perì e Giustino minore, suo nipote, fu eletto Imperatore dei Romani.  Giustino minore, 53° Imperatore dei Romani, regnò per anni undici. […] Quando gli Armeni e gli Iberi […] consegnarono se stessi, con le loro province a Roma, questo ruppe il trattato di pace tra i Romani e i Persiani.  […] I Garamanti, desiderando essere associati alla pace con lo stato romano e con la fede cattolica, richiesero ciò tramite i loro inviati. Le loro richieste furono immediatamente accolte. […] Inviati dai Maccuriti giunsero a Costantinopoli […] stringendo rapporti amichevoli con i Romani. […] I Persiani ruppero i trattati di pace con i Romani. […] Cosroe, imperatore dei Persiani, avanzò con un grande esercito per devastare il territorio dei Romani. Tiberio gli inviò contro Giustiniano, un generale dell’esercito romano e magister militum per Orientem. […] Giustiniano devastò il territorio della provincia di Persia. […] Il bottino predato dai Romani […] cagionò non poco profitto alle finanze pubbliche. […] In Tracia gli Sclaveni devastarono molte città romane, svuotandole di popolazione. […] Nell’undicesimo anno di regno, Giustino finì i suoi giorni e Tiberio ottenne per sé l’Impero. Tiberio, 54° Imperatore dei Romani, regnò per anni sei. […] I Romani condussero una guerra disastrosa contro i Longobardi in Italia.  […] Autari, re dei Longobardi, si scontrò con i Romani in battaglia uscendone vincitore. […] I Romani spogliarono i Longobardi con l’aiuto dei Franchi e riportarono parte della provincia d’Italia sotto il loro dominio. […]

Isidoro di Siviglia, nella sua Cronaca, addirittura omette tutti gli Imperatori d’Occidente dopo Onorio e non parla minimamente della deposizione di Romolo Augusto. Per Isidoro di Siviglia gli Imperatori d’Oriente erano Imperatori romani. Ecco qualche esempio dell’uso del termine Romani nella sua Cronaca, redatta intorno al 615:

115. Giustiniano regnò per trentanove anni. […] In Spagna il “miles” romano fu invaso dal tiranno Atanagildo. Il patrizio Belisario trionfò meravigliosamente sui Persiani. Da lì fu inviato da Giustiniano in Africa e distrusse il popolo dei Vandali. Inoltre in Italia, Totila, re degli Ostrogoti, fu superato da Narsete, il patrizio romano. […]

117. Tiberio regnò per sette anni. I Longobardi, espulsi dai Romani, entrarono in Italia.[…]

118. Maurizio regnò per ventuno anni. […] Gli Avari, combattendo contro i Romani, furono sconfitti più con l’oro che con il ferro. […]

119. Foca regnò per otto anni. […] In aggiunta, battaglie molto dure furono combattute contro lo stato dei Persiani, nelle quali i Romani furono sonoramente sconfitti e persero molte province fino al fiume Eufrate, come anche, si dice, Gerusalemme.

120. Eraclio ha completato cinque anni del suo regno imperiale. All’inizio, gli Slavi sottrassero la Grecia ai Romani; i Persiani si impadronirono della Siria, dell’Egitto, e di molte province. Inoltre in Spagna, Sisebuto, re dei Goti, sottrasse alcune città alle stesse milizie romane[…].

Per Isidoro di Siviglia, i “Bizantini” erano Romani.

Anche lo storico dei Franchi Fredegario, vissuto nella seconda metà del VII secolo, usa il termine Romani per riferirsi ai “Bizantini”. Ecco alcuni brani che ne attestano l’uso:

XXXIII. In quell’anno, spentosi Betterico, Sisebuto gli succedette nel regno di Spagna […]. Sisebuto sottrasse molte città all’Impero romano sul litorale, e le distrusse fino alle fondamenta […].

LXXXI. In quell’anno perì l’Imperatore Costantino. Costante suo figlio a causa della sua tenera età fu innalzato all’Impero con il consiglio del senato. A quei tempi l’Impero era devastato in modo gravissimo dai Saraceni. Dopo che Gerusalemme fu presa dai Saraceni, […] l’Egitto Superiore e Inferiore fu invaso dai Saraceni. Alessandria fu espugnata e saccheggiata. Tutta l’Africa fu devastata, e divenne possesso dei Saraceni. […] Solo Costantinopoli, con la provincia di Tracia e poche isole, mantenne la denominazione di impero e anche di provincia romana. […]

Anche per il continuatore di Prospero Aquitano, vissuto in Italia intorno alla prima metà del VII secolo, i “Bizantini” erano Romani. Ecco alcuni brani della sua Cronaca:

[Narsete] restituì l’Italia all’Impero romano, ricostruì le città distrutte e, espulsi i Goti, riportò i popoli di tutta l’Italia all’antica felicità. […]

Eraclio 53° Imperatore romano regnò per anni trenta. […] Eraclio inviò Eleuterio per difendere la parte dell’Italia che i Longobardi non avevano occupato. Eleuterio, […] sconfitto ripetutamente da Sundrarit, comandante supremo dei Longobardi, […] stipulò una pace con i Longobardi, ma a condizione che i Romani continuassero a versare il tributo annuale di cinque centenaria, già stabilito quando re Agilulfo era disceso ad assediare Roma.

Anche per Beda, storico ecclesiastico britannico vissuto nel VIII secolo, i “Bizantini” erano Romani, come dimostrano alcuni brani della sua opera:

Nell’anno del nostro Signore 565, […] Giustino, il minore, il successore di Giustiniano, ottenne il governo dell’Impero romano […]. […] Questa guerra fu portata a termine […] nell’anno del nostro Signore 603, […] il primo anno del regno di Foca, che all’epoca era alla testa dell’Impero romano. […]

Anche lo storico longobardo Paolo Diacono, vissuto nella seconda metà del VIII secolo, chiama i “Bizantini” Romani, anche se, a partire dal regno dell’Imperatore Maurizio, usa sempre più spesso il termine Graeci. Ecco alcuni brani della Storia dei Longobardi di Paolo Diacono:

[…] In questo periodo reggeva con felice sorte l’Impero romano l’Augusto Giustiniano, il quale sostenne guerre vittoriose e fu mirabile nelle attività civili. Infatti, […] dopo novantasei anni, restituì all’Impero romano tutta l’Africa. E ancora […] vinse il popolo dei Goti in Italia, catturando il loro re Vitige […]. Spentosi dunque Giustino, prese il potere Tiberio, 50° Imperatore dei Romani, […] . Foca, […] uccisi Maurizio e i suoi figli, s’impadronì del regno dei Romani, e regnò per un periodo di otto anni. […]  I Persiani, facendo guerre gravissime contro lo stato, sottrassero molte province ai Romani. […] Contro Foca si ribellò Eracliano, […] e, venuto con un esercito, lo privò del regno e della vita. Assunse il governo dello stato romano suo figlio Eraclio. […]

Dunque per le fonti europee latine occidentali, fino al VIII secolo, l’Impero “bizantino” era ancora riconosciuto come Impero romano. Isidoro di Siviglia addirittura omette nell’ultima parte della sua Cronaca, dove ogni capitolo era dedicato a un imperatore romano, tutti gli Imperatori d’Occidente successivi a Onorio, e definisce esplicitamente come romani gli Imperatori d’Oriente e i loro sudditi. Nella Cronaca di Isidoro di Siviglia non vi è la minima menzione alla deposizione di Romolo Augusto, che pure dovrebbe sancire la fine dell’Impero romano secondo la vulgata. Per Isidoro di Siviglia Eraclio (610-641) era un Imperatore romano esattamente come Augusto.

Con la rottura dei rapporti tra il Papato e Costantinopoli e soprattutto con l’assunzione da parte di Carlo Magno e dei suoi successori del titolo di Imperator Romanorum, la situazione mutò: era ora l’Impero carolingio (e successivamente il Sacro Romano Impero) ad essere considerato l’Imperium Romanum, mentre per gli Europei Occidentali di lingua latina, l’Impero di Costantinopoli cambiò denominazione in Imperium Graecorum. In Oriente, invece, la situazione non cambiò: i sudditi degli Imperatori di Costantinopoli continuarono ad autodefinirsi Romaioi (Romani) e a chiamare il loro stato Basileia ton Romaion (Regno dei Romani), mentre gli Arabi chiamavano i “Bizantini” Rum (Romani) e quando i Turchi conquistarono l’Anatolia ai “Bizantini” chiamarono il loro nuovo stato “Sultanato di Rum”.

GRECI

Ora si passerà all’uso del termine Graeci nelle fonti occidentali in senso dispregiativo per indicare i “bizantini”. Si ingloberanno anche le fonti greche (come Procopio) che parlano di questo uso dispregiativo, da parte dei latini, del termine Graeci traducendolo ovviamente in greco (“Graikoi“). Il primo caso riguarda l’Imperatore d’Occidente Antemio, che in realtà era “bizantino”, ovvero di provenienza romano-orientale. Era stato imposto sul trono d’Occidente dall’Imperatore d’Oriente Leone I nel 467 in cambio di un’alleanza militare contro i Vandali. A quanto pare l’aristocrazia romano-gallica, o almeno parte di essa, non gradì il nuovo imperatore “greco”. Sidonio Apollinare, in un’epistola in cui parla delle intenzioni proditorie di Arvando (prefetto del pretorio delle Gallie), scrive che Arvando scrisse al re dei Visigoti Eurico:

 […]per dissuaderlo dal fare la pace con l’Imperatore greco [Antemio], insistendo sul fatto che i bretoni insediati a nord della Loira dovevano essere attaccati e dichiarando che le province galliche, secondo la legge delle nazioni, avrebbero dovuto essere spartite con i Burgundi e altre sciocchezze analoghe che potevano suscitare la collera in un re bellicoso e la vergogna in uno più pacifico.

Questo è il primo caso di cui ho conoscenza dell’uso del termine “greco” in senso dispregiativo per indicare un “bizantino”, e risale al 469, addirittura prima della deposizione di Romolo Augusto. Arvando non fu l’unico a definire Antemio spregiativamente “greco”. Lo stesso magister militum Ricimero, stando a quanto scrive Ennodio, definiva il suo imperatore un “greculo” (piccolo greco) e un “galata eccitabile”. Lo stesso Ricimero poi organizzò una rivolta dell’esercito contro Antemio. Nel 472 Roma fu assediata, espugnata e saccheggiata dall’esercito ribelle, mentre Antemio fu ucciso.

Procopio scrive inoltre che gli Ostrogoti, nel corso della guerra tra Goti e “Bizantini” per il possesso dell’Italia, a fini di propaganda in discorsi al senato, e non solo, usavano il termine “Graeci” (che Procopio traduce in “Graikoi“) in senso dispregiativo per riferirsi ai Romani d’Oriente. Tra l’altro, Procopio usa di norma il termine Romani (Romaioi) per riferirsi ai “Bizantini” e quando usa il termine Graikoi è solo per indicare il termine dispregiativo con cui i Goti intendevano schernire i “Bizantini” e negare la loro romanità, dato che erano per lo più di madrelingua greca. Nel dicembre 536 Roma fu riconquistata dai “Bizantini”. Nel 537 il re goto Vitige tentò di riconquistarla cingendola d’assedio. Procopio narra che all’inizio dell’assedio dell’Urbe accadde il seguente episodio:

Roma poi era tuttavia in agitazione e tumulto quando Vitige destina contro la porta Salaria Vaci, nome non oscuro tra suoi guerrieri, il quale avvicinatovisi principia a rimproverare que’ cittadini di perfidia verso de’ Gotti, ed a rimbrottarli del tradimento fatto, e’ diceva, contro sè stessi e contro la patria coll’anteporre alla potenza gottica quella de’ Greci, inetti a difenderli, e da cui l’Italia non avea mai veduto uscir fuori che tragèdi, istrioni e pirati: terminate quindi tali ad altrettali dicerie retrocedette alla volta de’ suoi.

Nel 546, secondo Procopio, Totila, nel corso di un discorso al senato, asserì:

Totila aringati di questa conformità i Gotti pigliò a rampognare di molte cose il senato romano a bello studio ivi raccolto, cavillosamente rimprocciandogli che beneficato in mille guise da Teuderico ed Alarico prescelto ognora a tutte le magistrature, diputato al reggimento della repubblica ed arricchito fuor misura, avea ribellato con animo ingratissimo dai Gotti sì tanto a lui benefici , per introdurre con somma ignominia e danno in patria i Greci, addivenuto sì operando traditore di sé stesso. Poscia lo richiedeva de’mali che fossergli derivati da’ suoi , ed istigavalo a dire se pur vantar si potesse di qualche bene compartitogli da Augusto; e rimestando le mille cose rammentava essere eglino stati privi di quasi tutte le onoranze dai così detti logoteti, costretti a colpi di bastone al rendimento de’conti delle cariche sostenute durante lor dominazione. Aggiugneva inoltre avere i Greci riscossi in tempo vuoi di pace, vuoi di guerra gli eguali pubblici tributi, intessendo nel suo discorso più e più altri argomenti dicevoli ad irato padrone verso de’ proprj schiavi.

Questo discorso di Totila al senato romano avvenne tra la fine del 546 e l’inizio del 547, immediatamente dopo la riconquista gota di Roma e conseguente sacco. Roma era stata conquistata da Bisanzio nel dicembre 536 e ora veniva recuperata temporaneamente dai Goti dopo un decennio di dominazione “bizantina”. Totila rimprovera il senato romano per aver appoggiato i “Bizantini”. In questo caso Totila aveva tutto l’interesse nel definire i Romani d’Oriente “Greci”, allo scopo di delegittimarli dal governo dell’Italia che rivendicavano in quanto Romani, quando in realtà non parlavano il latino ma il greco (vi erano comunque “Bizantini” di madrelingua latina all’epoca, come lo stesso Imperatore Giustiniano, e il latino continuò a rimanere lingua ufficiale dell’”Impero bizantino” fino al VII secolo). Totila contrappone i benefici che il senato romano ricevette dai Goti, e in particolare da Teodorico, alle vessazioni dei logoteti (funzionari agenti delle tasse) “greci”. Totila intendeva dipingere i Romani d’Oriente come stranieri, come “Greci”, e in effetti tra i Romani d’Occidente (di madrelingua latina) e i Romani d’Oriente (di madrelingua greca) c’era una differenza linguistica tale che la riunione dell’Italia all’Impero romano diventato di fatto “greco” poteva essere a ragione considerato come una “dominazione straniera”.

Anche dopo la sconfitta definitiva dei Goti e la riannessione dell’Italia all’Impero romano, si continuò a fare uso del termine Graeci in senso dispregiativo per indicare i funzionari imperiali di lingua greca. Paolo Diacono, usando come fonte il Liber Pontificalis e parlando degli eventi dell’anno 568, scrive:

[…]Narsete[…] divenne oggetto di grande ostilità da parte dei Romani[…]. Si rivolsero infatti all’Augusto Giustino e alla sua consorte Sofia, lamentandosi che era meglio per i Romani servire ai Goti, piuttosto che ai Greci, “quando ci comanda l’eunuco Narsete e ci opprime[…]. Liberaci dalla sua mano, oppure, senza fallo, consegneremo la città di Roma e noi stessi alle genti barbare”.[…]

Qui i Romani sono gli abitanti di Roma, di lingua latina, mentre i “Greci” sono i funzionari imperiali di lingua greca, che governavano l’Italia. Nel seguito della sua opera, lo storico longobardo Paolo Diacono continua a contrapporre i Romani (intesi come i sudditi di lingua latina dell’”Impero bizantino”) ai “Greci” (i funzionari e i soldati imperiali di provenienza orientale). Riguardo alla permanenza in Italia dell’Imperatore Costante II (641-668), Paolo Diacono scrive:

L’Augusto Costante, vedendo che non era riuscito a nulla contro i Longobardi, rivolse tutte le minacce della sua crudeltà, contro i suoi, cioè i Romani. […] Entrato in Sicilia […], impose tali vessazioni al popolo […] quali prima non si erano mai udite […]. Infatti, per ordine imperiale e per l’avidità dei Greci, furono portati via i vasi e i tesori dalle sante chiese […].

Ancora una volta, Paolo Diacono fa una contrapposizione tra i Romani, cioè i sudditi di madrelingua latina, e i “Greci”, cioè i dominatori di lingua greca. Questa contrapposizione in Paolo Diacono tuttavia non è sempre presente e talvolta chiama Romani anche gli abitanti dell’Impero di provenienza orientale. Di certo, a partire dal regno dell’Imperatore Maurizio (582-602), definito da Paolo Diacono “il primo imperatore greco”, lo storico longobardo usa più spesso il termine Graeci, mentre prima usava quasi unicamente il termine Romani per indicare i “Bizantini”. Di certo usa il termine “Greci” sempre con accezione negativa, come quando parla dei “Greci” che tentarono di depredare un santuario sul monte Gargano.

In ogni modo la controversia iconoclastica portò una rottura tra Imperatore e Papa. Le conquiste longobarde di Liutprando prima e Astolfo poi fecero il resto. Dopo aver sottratto Ravenna ai “Bizantini” nel 751, il re longobardo Astolfo minacciava ora la stessa Roma. Il Papa, non potendo contare sull’aiuto “bizantino”, si rivolse ai Franchi di re Pipino. I Franchi scesero in Italia e annientarono i Longobardi, e donarono delle terre al Papa. Cominciò così il potere temporale dei Papi e Roma dichiarò la propria indipendenza dall’Impero d’Oriente. Fu in seguito all’alleanza con i Franchi e la rottura con Costantinopoli che il papato smise definitivamente di riconoscere i “Bizantini” come Romani. Nel giro di pochi anni lo stato che fino a poco tempo prima era definito dalle fonti papali come Res Publica Romanorum diventa Imperium Graecorum e i suoi abitanti da Romani cambiano denominazione in Graeci. Ovviamente in Oriente gli abitanti continuarono a considerarsi Romaioi (Romani), e si offendevano se venivano definiti Graikoi dagli ambasciatori latini. E non era ancora finita.

Nel 797 una donna, Irene, si impadronì del trono a Bisanzio, uccidendo il figlio, Costantino VI. Nonostante fosse donna, Irene si faceva chiamare Imperatore (Basileus) e non Imperatrice (Basilissa), per evidenziare che era un’imperatrice regnante e non un’imperatrice consorte. In ogni modo il papato non la riconobbe in quanto donna e assassina del figlio, e considerò il trono romano di Costantinopoli vacante. A questo punto, dato che il trono era considerato vacante, il papa pensò di fare un colpo di mano nominando il suo protettore, il Re dei Franchi e dei Longobardi Carlo Magno, Imperator Romanorum. Il 25 dicembre 800 Carlo Magno fu incoronato dal Papa Imperatore dei Romani, usurpando così il titolo agli Imperatori “bizantini”. I “Bizantini” non accettarono la situazione e non riconobbero inizialmente a Carlo Magno il titolo di “Imperatore”. In seguito gli riconobbero il titolo di “Imperatore”, ma non quello di “Imperatore dei Romani”, che consideravano di loro pertinenza.

In ogni modo, in Occidente a partire dall’anno 800, si smise di considerare gli Imperatori di Bisanzio come Imperatori romani. La linea degli Imperatori romani proseguiva in Occidente con Carlo Magno e i suoi successori, come ammise un successivo documento papale che rammentava come il papato avesse trasferito “l’Impero romano dai Greci ai Germani nella persona del magnifico Carlo”. E’ interessante notare come nel Rinascimento uscirono opere come le “Vite degli Imperatori romani” di un certo Pietro Messia che mettevano insieme in un unico calderone imperatori romani (a partire da Giulio Cesare, considerato imperatore solo perché Svetonio lo incluse tra i Cesari), imperatori “bizantini” dal 395 al 800, e Imperatori carolingi e del Sacro Romano Impero (dal 800 in poi). L’esistenza di opere del genere indicano che l’Impero in fondo non cadde veramente nel 476, si trasformò semplicemente. Ancora nel Rinascimento, in un certo senso, si riteneva che ci fossero ancora degli “Imperatori romani”, della dinastia degli Asburgo, anche se magari avevano ben poco potere effettivo al di fuori dei possedimenti asburgici e non avevano nulla da spartire con l’Impero romano al di fuori del nome. La pretesa da parte degli Asburgo di derivare il loro potere da Cesare e da Augusto era vuota, come ammise lo stesso Voltaire che riteneva che il Sacro Romano Impero non fosse “né Sacro, né Romano, né un Impero”.

BIZANTINI

Il termine “bizantino” inteso come abitante dell’Impero di Costantinopoli è un anacronismo storico. Ogni volta che le fonti “bizantine” usano il termine “Byzantinoi” il termine si riferisce esclusivamente agli abitanti della città di Costantinopoli. Per tali fonti un abitante di Nicea o di qualunque altra città dell’”Impero bizantino”, ad esclusione ovviamente di Costantinopoli, non era “bizantino”, era romano (o per le fonti occidentali posteriori all’incoronazione di Carlo Magno al più “greco”).

Il termine “bizantino” per indicare gli abitanti dell’intero Impero fu introdotto per la prima volta solo oltre un secolo dopo della caduta dell’”Impero bizantino” e successivamente diffuso dagli illuministi. Perché etichettare a posteriori con il termine “Bizantini” gli abitanti dell’Impero romano d’Oriente? Il motivo è semplice. I termini “greci” e “romani” erano entrambi collegati alle omonime civiltà gloriose dell’antichità classica, che secondo gli Illuministi si concluse con la deposizione di Romolo Augusto. Per gli Illuministi il Medioevo e l’epoca bizantina erano viste come età di degrado. Per tali motivi, per gli Illuministi, i “Bizantini” non erano degni di portare né il nome di Greci né quello di Romani, per cui decisero di cambiare loro arbitrariamente nome, etichettandoli come “Bizantini”.

Ora il termine è ormai ampiamente usato, ma a me personalmente non piace. Già il termine “Greci” è migliore, perché almeno era usato dagli Europei Occidentali durante il periodo di esistenza dell’Impero per indicare i “Bizantini”. Io preferisco usare il termine “Romani” o “Greci”, “Bizantini” è un anacronismo storico che io eviterei, se non fosse altro che è ampiamente usato e quindi sono costretto mio malgrado a impiegare.