Guerre civili, l’ascesa al potere di Ezio e la conquista vandalica dell’Africa

LOTTE INTESTINE

La ricompensa per il restauratore dell’ordine (seppur precario) dell’Impero fu immensa. Nel 417 Costanzo, dopo essere divenuto per la seconda volta console, ottenne la mano di Galla Placidia, nonostante la contrarietà di lei, che però fu costretta dal fratello Onorio ad accettare il matrimonio combinato. I due ebbero due figli, Giusta Grata Onoria (nata nel 418) e Valentiniano (nato nel 419). Poi, dopo essere diventato per la terza volta console nel 420, l’anno successivo venne addirittura associato al trono con il nome di Costanzo III. Il suo regno fu però breve perché perì sette mesi dopo. La sua morte fu cagione di un vuoto di potere e un’instabilità politica che fu deleteria per lo stato.

Nel 422 Galla Placidia e Onorio, finora andati talmente d’accordo da baciarsi addirittura sulla bocca (provocando scandalo), litigarono al punto che Placidia fu esiliata dapprima a Roma e poi a Costantinopoli; il litigio sembra essere stato riattizzato dalla lotta tra due fazioni opposte, rappresentate da Padusa, moglie del generale Felice, e Elpidia, nutrice di Galla, e Leonteo.

Nel 423, quando Onorio perì, il senato elesse imperatore un tal Giovanni, nonostante la contrarietà dell’Impero d’Oriente, il quale non lo riconobbe ed esiliò in Asia Minore gli ambasciatori inviati in Oriente da Giovanni per ottenere il riconoscimento a imperatore. Galla Placidia, infatti, esercitava continue pressioni sull’Imperatore d’Oriente Teodosio II (di cui era tra l’altro la zia) affinché allestisse una spedizione che rovesciasse Giovanni e ponesse sul trono suo figlio Valentiniano. Alla fine Teodosio II si convinse e il 23 ottobre 424 a Tessalonica Valentiniano ricevette la nomina a Cesare, mentre i preparativi per la spedizione in Italia stavano per essere conclusi. La spedizione fu affidata a Ardaburio, fresco vincitore sui Persiani, a Aspar e a un certo Candidiano. La spedizione partì con i migliori auspici, con le conquiste di Salona e di Aquileia. Ma, a causa di una tempesta, Ardaburio cadde prigioniero di Giovanni, che intendeva usarlo come ostaggio. Ma Aspar uscì alla fine vincitore:

“Aspar arrivò rapidamente con la cavalleria e dopo una breve battaglia, grazie al tradimento dei suoi stessi ufficiali, Giovanni fu catturato e mandato da Placidia e da Valentiniano ad Aquileia. Qui dapprima venne punito con il taglio di una mano e poi decapitato per aver usurpato per un anno e mezzo il potere.”

Si narra che Aquileia fu conquistata con l’aiuto di un pastore che avrebbe mostrato ad Aspar un passaggio segreto per espugnare la città: le medesime fonti asseriscono che il pastore in questione sarebbe stato in realtà un angelo camuffato, ma chiaramente non sono che dicerie e il pastore era esattamente ciò che sembrava.

Comunque, ucciso l’usurpatore, vi era ancora un problema da risolvere: Giovanni aveva infatti inviato uno dei suoi sostenitori, il futuro ultimo baluardo dell’Occidente romano, Ezio, a chiedere dagli Unni sostegni militari contro le truppe provenienti dall’Oriente. Ezio era stato per diversi anni in gioventù ostaggio degli Unni, dunque non solo li conosceva bene, ma possedeva certo amicizie altolocate con essi; Giovanni, dunque, cercò disperatamente di sfruttare l’amicizia tra Ezio e gli Unni per ottenere da essi aiuti che potessero servirgli per mantenere il trono. Le truppe unne però arrivarono con troppo ritardo: ben 72 ore dopo l’esecuzione di Giovanni. Le truppe unne al servizio di Ezio, che si narra fossero in 60.000, comunque si scontrarono con l’esercito di Aspar, costringendo Galla a negoziare. In cambio della sua promozione a comandante dell’esercito romano in Gallia, Ezio avrebbe fatto tornare in patria i suoi mercenari unni. Galla non doveva essere molto contenta di concedere un posto di spicco a un sostenitore di un suo nemico politico, l’usurpatore Giovanni, ma non ebbe altra scelta.

Comunque, dopo aver ottenuto il ritiro degli Unni, Valentiniano III venne eletto a Roma Augusto il 23 ottobre 425. Essendo solo un bambino di sei anni però la reggenza fu affidata a sua madre Galla Placidia. Questo ovviamente non fece che creare nuovi dissidi interni, perché non mancavano i generali che volessero assumere il controllo dell’Impero per conto dell’Imperatore bambino e i loro giochi di potere non furono che deleteri per l’Impero. In particolare i generali Ezio (a cui era affidata la difesa della Gallia), Bonifacio (che difendeva l’Africa) e Felice (generale dell’Italia) si odiavano a vicenda e tentarono di eliminarsi uno con l’altro pur di assumere il potere.

Dittico di Flavio Felice.

Iniziò il gioco a eliminazione Felice che accusò Bonifacio di tradimento; convinta Galla Placidia della fondatezza delle accuse, Bonifacio venne dichiarato nemico pubblico dell’Impero e attaccato dagli eserciti di Felice, che riuscì però a sconfiggere, prima di riconciliarsi di nuovo con Galla. Successivamente Ezio, forte dei suoi trionfi in Gallia contro Visigoti (426) e Franchi (428), accusò Felice di aver complottato contro di lui e lo fece giustiziare (430). Infine, Bonifacio ritornò in Italia e ottenne da Galla la carica di generale dell’esercito centrale, facendo ingelosire Ezio che mandò contro di lui un potente esercito. Gli eserciti di Bonifacio e Ezio si scontrarono presso Rimini e lo scontro finì con la vittoria ma anche con l’uccisione di Bonifacio, vinto in duello da Ezio, sembra grazie alla slealtà di quest’ultimo, che fece allungare la sua lancia per poterlo uccidere senza che fosse alla portata della spada di Bonifacio. Galla nominò come successore di Bonifacio il genero di lui, Sebastiano, ma Ezio, nel frattempo ricercato dai sostenitori di Galla che lo volevano uccidere, cercò riparo presso gli Unni e grazie al loro supporto riuscì a sconfiggere Sebastiano, costretto a fuggire a Costantinopoli, e a costringere Galla a conferirgli a malincuore l’ambito rango di generalissimo (433). Nel 435 divenne anche patricius a testimonianza dell’importanza assunta nel governo dell’Impero.

I VANDALI E LA PERDITA DELL’AFRICA

Le tappe migratorie dei Vandali dal 400 a.C. fino alla conquista del Nord Africa e alla presa di Cartagine del 439 d.C.

Ad approfittare delle lotte intestine furono i Vandali-Alani di Gunderico. Come abbiamo visto in precedenza, gli Alani duramente vinti da Costanzo e Vallia, si erano rifugiati dai Vandali, con cui si unirono formando una nuova supercoalizione. Gunderico, rinforzato dall’unione con gli Alani (infatti ora non era solo “re dei Vandali” ma “re dei Vandali e degli Alani), attaccò allora gli Svevi. Fu allora che i Romani ripresero l’offensiva aiutando gli Svevi contro i Vandali (420). Gunderico allora abbandonò la montagnosa Galizia per andare ad insediarsi nella prospera Betica, che non era esattamente l’effetto desiderato dalla spedizione romana! Allora i Romani chiamarono i Visigoti in loro aiuto e una nuova spedizione sotto il comando di Castino fu lanciata contro i Vandali nella Betica per annientarli. Il comes Africae Bonifacio avrebbe dovuto aiutare il generale ispanico nella lotta contro Gunderico, ma purtroppo per Roma i due litigarono, cosicché Bonifacio si rifiutò di partecipare alla spedizione. Castino decise allora di fare da solo perché sperava che le sue truppe e i Visigoti fossero sufficienti per annientare i Vandali ma fu pesantemente sconfitto in battaglia (422). Idazio, la nostra fonte, sostiene che i Vandali vinsero Castino a causa del tradimento dei Visigoti, ma alcuni storici come Heather fanno notare come Idazio odiasse profondamente i Visigoti, quindi potrebbe averli usati come capro espiatorio per la sconfitta proprio per questo motivo. Castino, dopo la sconfitta, ritornò a Terragona, per poi rientrare in Italia per partecipare alle lotte per il potere che dilaniavano Ravenna.

Tra il 425 e il 428 i Vandali crearono ulteriori danni nella Spagna meridionale razziando Cartagena e Siviglia e riuscendo inoltre ad allestire una flotta, certamente con l’aiuto dei nativi del luogo, con cui devastarono le Isole Baleari. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Nel 428, infatti, salì al potere il celebre Genserico, che secondo Giordane era “di statura modesta e zoppicava per una vecchia caduta. Era uomo di profondo pensiero e di poche parole, che disdegnava la lussuria, furioso nell’ira, avido di ricchezze, accorto nel conquistarsi i barbari e abile nel seminare la discordia tra i nemici”.

Genserico, re dei Vandali, mentre è a cavallo.

Genserico iniziò a capire che la Spagna non era una terra molto sicura per il suo popolo. Finché a Ravenna i generali si fossero contesi il potere supremo non ci sarebbe stato alcun rischio, ma se la discordia tra i Romani fosse finita, i Vandali sarebbero stati il primo obbiettivo da eliminare. La Spagna era troppo vicina all’Aquitania dei Visigoti alleati dei Romani e nemici dei Vandali, bisognava allontanarsi, rifugiarsi in Africa, un posto di riparo adatto per stare al sicuro dai Visigoti. Questa è l’interpretazione di Heather dei motivi per cui i Vandali migrarono in Africa. Procopio, per spiegare i motivi per cui i Vandali invasero l’Africa, sostenne invece che fu Bonifacio, all’epoca nominato nemico pubblico dell’Impero a causa degli intrighi di Ezio (in realtà Felice; v. sopra), a istigarli a invadere l’Africa affinché lo aiutassero a sconfiggere gli eserciti di Felice. Secondo Procopio Bonifacio avrebbe proposto una spartizione dell’Africa tra lui e i Vandali in tre parti: un terzo sarebbe spettato a Bonifacio stesso, un altro terzo a Genserico e il restante terzo a Gunderico, fratello di Genserico. Non si sa se la storia del tradimento di Bonifacio sia vera o no, secondo Heather no, mentre altri ritengono il tradimento di Bonifacio plausibile (per esempio Sirago).

Nel maggio 429 i Vandali sbarcarono in Mauritania Tingitana, una zona dell’Africa che politicamente parlando faceva parte della diocesi di Spagna. Era una zona desertica difesa non dal generale d’Africa, ma dal Conte della Tingitana, che aveva con sé a disposizione 5.000-7.000 uomini tra truppe di campo e quelle di frontiera. Un esercito abituato a combattere i Mauri (predoni nativi dell’Africa) ma che di certo non poteva fare nulla contro una popolazione che aveva dato filo da torcere ai contingenti romani più numerosi come i Vandali, che tra l’altro erano anche in superiorità numerica (15.000/20.000 guerrieri). Non bisogna poi dimenticare che i Vandali ottennero l’appoggio di Mori, eretici Donatisti, Ariani e fuorilegge, che rinforzarono notevolmente l’esercito vandalo. Sottomessa dunque la Mauritania Tangitana, i Vandali si diressero al ritmo di 5,75 km al giorno (media aritmetica) verso Numidia e Proconsolare, percorrendo le strade romane. Un iscrizione a Altava attesta nell’agosto del 429 la presenza di un “barbaro” che ferì un abitante del luogo; ma si ignora se questo barbaro fosse un “vandalo-alano”.

Nel 430 i Vandali giunsero in Numidia e sconfissero l’esercito di Bonifacio, che doveva comprendere 15.000 soldati di campo e 10.000 truppe di guarnigione, per un totale di 25.000 uomini. Tuttavia, dei 15.000 soldati (31 reggimenti) dell’esercito di campo, solo 2.000 (4 reggimenti) erano truppe di prima classe e quindi altamente efficienti, è evidente quindi perché Bonifacio perse il confronto con il re vandalo. Il generale si rifugiò a Ippona, che venne assediata dai Vandali (giugno del 430). Ma quattordici mesi di assedio non furono sufficienti per Genserico per espugnarla e, per motivi di fame, i Vandali furono costretti a levare l’assedio. Nel frattempo però, durante l’assedio, parte dell’esercito vandalo si sparpagliò per tutta l’Africa romana saccheggiando e massacrando:

“Poco tempo dopo, per volontà e disposizione divina avvenne che un grande esercito, armato con armi svariate ed esercitato alla guerra, composto dai crudeli nemici Vandali e Alani, cui s’erano uniti Goti e gente di altra stirpe, con le navi fece irruzione dalle parti trasmarine della Spagna in Africa. Gli invasori attraverso tutta la Mauretania passarono anche nelle altre nostre province e regioni, e imperversando con ogni atrocità e crudeltà saccheggiarono tutto ciò che poterono fra spogliazioni, stragi, svariati tormenti, incendi e altri innumerevoli e nefandi disastri. Non risparmiarono né sesso né età, neppure i sacerdoti e i ministri di Dio, neppure gli ornamenti, le suppellettili e gli edifici delle chiese…
Infatti l’uomo di Dio vedeva le città distrutte, e nelle campagne insieme con gli edifici gli abitanti o uccisi dal ferro nemico o fuggiti e dispersi, le chiese prive di sacerdoti e ministri, le vergini consacrate e i continenti dispersi da ogni parte: di costoro alcuni eran venuti meno fra le torture; altri erano stati uccisi con la spada; altri ridotti in schiavitù, persa ormai l’integrità e la fede dell’anima e del corpo, servivano i nemici con trattamento duro e cattivo.
Nelle chiese non si cantavano più inni e lodi a Dio; in molti luoghi le chiese erano state bruciate; erano venuti meno nei luoghi a ciò consacrati i sacrifici solenni dovuti a Dio; i sacramenti divini o non venivano richiesti oppure non potevano essere amministrati a chi li richiedeva, perché non si trovava facilmente il ministro.
Coloro che si erano rifugiati nelle selve montane e in grotte e caverne o in altro riparo erano stati alcuni sopraffatti e catturati, altri erano privi di mezzi di sostentamento a punto tale da morire di fame. I vescovi e i chierici che per grazia di Dio o non avevano incontrato gl’invasori o erano riusciti a sfuggir loro, spogliati di ogni cosa mendicavano nella miseria più nera, né era possibile aiutarli tutti in tutto ciò di cui abbisognavano.
Di innumerevoli chiese a mala pena solo tre per grazia di Dio non sono state distrutte, quelle di Cartagine, Cirta e Ippona, e restano in piedi le loro città, protette dal presidio divino e umano (ma dopo la morte di Agostino anche Ippona, abbandonata dagli abitanti, fu incendiata dai nemici).”

Le province più prospere del Nord Africa romano, e forse di tutto l’Impero, erano prossime alla fine. La perdita di queste province per l’Impero sarebbe stato letale. Senza il gettito fiscale del Nord Africa l’Impero non avrebbe potuto più permettersi i grossi eserciti che gli servivano per combattere i barbari. Secondo Peter Heather, “assediando Ippona, possiamo dire che Genserico aveva puntato il coltello direttamente nella giugulare dell’Impero romano d’Occidente.” A questo punto intervenne l’Impero romano d’Oriente.

Il regime di Ezio si rese conto che l’esercito occidentale non poteva affrontare da solo e nello stesso tempo due minacce, i barbari nella Gallia e i Vandali in Africa. Decise quindi di implorare aiuto all’Imperatore d’Oriente Teodosio II, nipote di Galla Placidia e cugino di Valentiniano III. Teodosio II decise di accorrere in aiuto dell’Africa romana inviando contro i Vandali il forte generale Aspar. Che certo non riuscì certamente a vincere i Vandali (venne sconfitto una prima volta nel 431, anche se poi riuscì a fermare l’avanzata di Genserico nel corso del 432-433, tanto da essere premiato con il consolato onorario nel 434), ma li spinse perlomeno a negoziare una pace. Sembra che l’Impero d’Oriente non si trovasse nelle condizioni di ottenere di più dai Vandali, anche perché gli Unni invasero di nuovo i Balcani nel 434. Anche l’Impero d’Oriente aveva, purtroppo, il problema della guerra su più fronti, per cui non poteva concentrare tutte le proprie forze contro una sola minaccia, perché ne aveva altre da affrontare. Dunque, a causa del problema degli Unni, Teodosio II cercò di concludere il più presto possibile la guerra contro i Vandali. L’11 febbraio del 435 si raggiunse un compromesso con la pace di Trigezio, la quale stabiliva che i Vandali avrebbero tenuto per sé le terre da esse occupate in Mauritania e parte della Numidia, ma il resto del Nord Africa romano (e soprattutto le province più prospere) erano per il momento salve.

Ezio poté quindi concentrarsi sulla Gallia dove la situazione era alquanto problematica e dove ottenne vari successi grazie agli Unni (vedi paragrafo successivo); ma nel 439 una nuova catastrofe si abbatté sull’Impero d’Occidente: Genserico si impadronì con l’inganno di Cartagine, difesa da troppe poche truppe, e delle migliori province dell’Africa e dell’Impero. Ezio cercò di fare il possibile per recuperare il più presto possibile Cartagine, e chiese aiuto a Teodosio II, che inviò una flotta di 1100 navi per recuperare al più presto possibile Cartagine; il fatto che la flotta fosse comandata da ben cinque generali ci fanno dedurre che Teodosio II aveva allestito un esercito piuttosto grosso in aiuto dell’Occidente. Ma l’attacco ai Vandali non si fece: la flotta dell’Impero d’Oriente venne richiamata nei Balcani. Perché? Gli Unni, condotti da Attila, hanno attaccato il Danubio, l’Impero d’Oriente quindi non può sguarnire il limes danubiano per aiutare l’Occidente a recuperare l’Africa. Per questo la flotta orientale venne richiamata. L’Impero fu quindi costretto a negoziare con i Vandali. E le conseguenze furono disastrose.

Il trattato di pace del 442 con i Vandali si può definire solo disastroso. Se è vero che i Vandali accettarono di restituire ai Romani Mauritania e parte della Numidia, è anche vero che anni di saccheggi avevano reso tali province estremamente improduttive, tanto è vero che secondo l’editto fiscale del 21 giugno 445 il gettito di Numidia e di Mauritania Sitifense si era ridotto a 1/8 del gettito precedente. Se a questo si aggiunge la perdita delle province più ricche del Nord Africa, si può dire che l’Impero romano d’Occidente aveva perso una grossa parte delle proprie entrate fiscali. E le conseguenze non tardarono ad arrivare. Il 24 gennaio del 440 si annullarono tutti i precedenti decreti di esenzione o riduzione fiscale, mentre nel 441 vennero annullati tutti i privilegi fiscali dei ceti più abbienti, con tale giustificazione:

“Gli imperatori delle età precedenti …, hanno concesso tali privilegi a persone di illustre rango nell’opulenza di un era d’abbondanza, senza che ciò comportasse il disastro per altri possidenti… . Nelle presenti difficoltà, invece, tale pratica diventa non solo ingiusta ma anche … impossibile.”

Nonostante il tentativo di massimalizzare le entrate attuato con questi provvedimenti, non fu più possibile, a causa della riduzione delle entrate conseguente alla perdita del Nord Africa, mantenere un grosso esercito. Nel 444 un decreto imperiale ammise:

“Non dubitiamo affatto che tutti abbiano ben presente la necessità assoluta di predisporre la forza di un numeroso esercito per … ovviare alla triste situazione in cui versa lo stato. Ma a causa delle molte voci di spesa non è stato possibile provvedere adeguatamente a una questione … sulla quale si fonda la piena sicurezza di tutti; … né per coloro che con nuovi giuramenti si vincolano al servizio militare o per i veterani dell’esercito possono bastare quelle provvigioni che pure i contribuenti, sfiniti, versano solo con la più grande difficoltà; e sembra proprio che da quella fonte non si potranno avere i soldi necessari per acquistare cibo e indumenti.”

Il decreto in questione introduceva una nuova tassa. Quanti posti dell’esercito furono tagliati a causa della riduzione del gettito fiscale conseguente alla perdita del Nord Africa? Heather, in base a un calcolo, stima che le entrate perse a causa della riduzione del gettito fiscale di Mauritania Sitifense e di Numidia  fossero equivalenti agli stipendi di 18.000 fanti o 10.000 cavalieri, la maggior parte dei quali dovette quindi essere licenziata data l’impossibilità di pagarli (a meno di non trovare nuove entrate con l’imposizione di nuove tasse nelle province residue, cosa che però causava malcontento e agevolava rivolte interne, come quella dei Bagaudi nell’Armorica e nella Tarraconense). Se poi includiamo tutto il Nord Africa, la sconfortante cifra (stimata) di soldati licenziati a causa della mancanza di soldi aumenta ad almeno 40.000 fanti o 20.000 cavalieri. Si può ben capire come la perdita dell’Africa sia stato un avvenimento fatale senza il quale forse l’Impero non sarebbe collassato (ma con i se e con i ma la storia non si fa!). Infatti l’esercito, già per di sé in ingenti difficoltà, ne uscì ulteriormente indebolito.

EZIO E LA GALLIA

Prima di narrare il rapporto tra Ezio e la Gallia, approfondiamo la biografia di Ezio. Flavio Ezio era figlio del generale Gaudenzio, comandante prima in Africa e poi in Gallia. Di origini balcaniche, Ezio fece carriera nell’esercito sbarazzandosi dei rivali Felice e Bonifacio, e grazie all’aiuto dei suoi amici Unni riuscì a diventare nel 433 l’uomo più potente dell’Impero romano d’Occidente. Si era segnalato contro Visigoti e Franchi rispettivamente nel 426 e nel 428, tra il 430 e il 431 vinse gli Alemanni e represse una rivolta nel Norico, nel 432 aveva di nuovo respinto i Franchi.

Dopo la pace di Trigezio con i Vandali del 435, Ezio poté concentrarsi sulla Gallia dove la situazione era alquanto problematica, a causa dello stanziamento dei Burgundi, della rivolta dei Bagaudi (separatisti) in Armorica e la volontà dei Visigoti di ottenere più potere. L’Impero nel 434 era però più debole di quello nel 421, quando sembrava che Costanzo fosse sul punto di sgominare tutte le minacce. La Britannia era ormai completamente persa, mentre la frontiera del Reno era collassata e, anche se l’espansione franca fu contenuta, il Nord della Gallia finì in mano ai Bagaudi, i gruppi secessionisti locali che intendevano separarsi dall’Impero. Se a ciò aggiungiamo la rivolta dei Visigoti in Aquitania, i saccheggi degli Svevi in Spagna, e la minaccia vandala in Africa, si può concludere che solo l’Italia, l’Illirico occidentale, l’Africa Proconsularis e la Byzacena, e le province galliche della Narbonensis, Viennensis, e forse la zona di frontiera lungo la Loira rimasero sotto diretto controllo imperiale. Le lotte contro i Barbari avevano cagionato molte perdite nell’esercito, e la perdita e la devastazione di intere province avevano diminuito il gettito fiscale necessario per arruolare nuove truppe. Detto questo, non è affatto sorprendente che Ezio fu costretto a contare sul sostegno di mercenari barbari: un esercito romano regolare esisteva ancora ed era ancora efficiente, ma ci sarebbe dovuto un aiuto esterno per restaurare alla sua antica possanza l’Impero romano d’Occidente. E Ezio trovò questo aiuto esterno negli Unni, che accettarono ma a un prezzo caro: buona parte dell’Illirico occidentale, con le province di Pannonia e Valeria, doveva essere ceduto ad essi; probabilmente Ezio fu criticato per questa cessione territoriale, ma non aveva molte altre scelte: doveva scegliere se mantenere la Pannonia o la Gallia, e tra le due scelse la seconda; non poteva difenderle entrambe. Ezio accettò e così grazie agli Unni riuscì a riportare l’ordine nella tormentata Gallia.

Gli Unni in guerra.

Le scorrerie lungo il limes del Reno furono fermate e secondo il Panegirico di Merobaude, uno degli ammiratori di Ezio, “Il Reno firmò dei patti che asservivano quel freddo mondo a Roma e, contento di essere guidato da redini occidentali, si rallegrò che il dominio del Tevere si fosse esteso su entrambe le sue sponde”. Nel corso del 436/437, inoltre, attaccò con l’aiuto degli Unni i Burgundi, i quali furono completamente vinti e successivamente insediati a forza come federati nei dintorni del lago di Ginevra. Riportò poi l’ordine in Armorica, dove nel 435 un tal Tibattone era diventato il leader di una minacciosa rivolta dei separatisti Bagaudi. Anch’essi vennero sconfitti da un sottufficiale di Ezio, Littorio, e, secondo il panegirista ufficiale di Ezio, “Un nativo più ingentilito percorre ora le selvagge regioni dell’Armorica”. Successivamente Ezio insediò gli Alani nell’Armorica, dando loro il compito di sedare eventuali altre rivolte nella regione. Si rivolse poi contro i Visigoti di re Teodorico I, che, desiderosi di ottenere uno sbocco sul mare mediterraneo per motivi strategici, avevano assediato Narbona in Septimania (436). Ezio, per niente intenzionato a perdere l’importante città, inviò Litorio con un consistente esercito di Unni a liberare la città dall’assedio: nel 437 i Visigoti furono messi in fuga dall’arrivo dei Romani-Unni, e la popolazione affamata ebbe di che sfamarsi, dato che ogni guerriero unno portava con se un sacco di grano ciascuno. L’offensiva continuò con un certo successo e nel 438 Ezio inflisse un’importante sconfitta campale ai Visigoti. Nel 439 Littorio, con i suoi Romani-Unni, era giunto addirittura fino a Tolosa, la capitale del Regno federato visigoto, con l’intenzione di annientare i Visigoti: ma, vinto in una grande battaglia campale dai Visigoti, fu da essi catturato e giustiziato, mentre i vinti guerrieri mercenari unni se la diedero a gambe. Ezio dovette quindi rinunciare alla sottomissione dei Visigoti e si dovette accontentare di costringerli ad accettare le stesse condizioni del 418, comunque già questo un discreto risultato.

L’uso degli Unni come mercenari, seppur avesse portato a taluni successi, non mancò di generare dissensi tra gli scrittori cristiani, il quale mal sopportavano che i guerrieri unni si permettessero a volte di saccheggiare impunemente lo stesso territorio imperiale che essi erano tenuti a difendere; e si scandalizzarono per il fatto che lo stesso Littorio permettesse loro di compiere sacrifici alle proprie divinità pagane e predire il futuro con la scapulimanzia. Il vescovo di Marsiglia Salviano, che scriveva intorno al 440, condannò il fatto che i Romani, invece di fare affidamento su Dio, confidavano nella ferocia del popolo pagano degli Unni per sconfiggere i cristiani (seppur ariani) Visigoti; tale scelta deplorabile avrebbe fatto perdere loro la protezione divina, con il risultato che l’”empio” Littorio, dopo aver rifiutato infinite volte le proposte di pace visigote, perché confidente nella vittoria finale, fu infine vinto e umiliato dagli stessi Visigoti che intendeva umiliare; Salviano sostiene quindi che, nel caso di Littorio, si avverò la citazione biblica “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

La situazione migliorò anche in Spagna dove, a causa della migrazione dei Vandali in Africa, i Romani recuperarono le regioni che un tempo erano dei Vandali. Insomma le imprese di Ezio, per molti (come Heather) “hanno del miracoloso”.

La perdita di Cartagine distolse però Ezio dalla Gallia. Solo con la pace del 442 con i Vandali, il generale poté riprendere nella sua opera di difesa della Gallia: intorno a quel periodo, insediò ciò che era rimasto dei Burgundi in Sapaudia e stanziò Alani in Valence e in Gallia Ulterior, apparentemente presso Auxerre. Sembra che ora l’Impero in Gallia intendesse ritirarsi a sud della Loira, stanziando truppe di foederati barbari lungo la frontiera della Loira per difenderla. Ezio però non aveva rinunciato a restaurare l’effettivo dominio romano nella Gallia Ulteriore (Gallia a nord della Loira). Nonostante tutti gli sforzi di Ezio, tra il 434 e il 442 l’Impero aveva perso ulteriori territori in Gallia, Africa e Spagna. Ezio comunque non si scoraggiò e, per prevenire rivolte dei Bagaudi in Gallia Ulteriore, Ezio insediò nell’Armorica foederati Alani. Le violenze degli Alani, che confiscarono terre ai proprietari terrieri locali, esasperarono la popolazione. Nel 448 si verificò un’altra rivolta di Bagaudi, subito repressa. Più meno contemporaneamente, Ezio combatté contro i Franchi e li sconfisse a Vicus Helena. Sembra quindi evidente che Ezio aveva ancora speranze di restaurare la frontiera del Reno e l’effettivo governo romano in Gallia Ulteriore. Ed è proprio mentre Ezio era in Gallia settentrionale che nel 446 i romano-britanni gli chiesero aiuto contro gli invasori Sassoni. Ezio però declinò, essendo preoccupato da Attila l’Unno, che minacciava prima o poi di invadere l’Impero romano d’Occidente. Anche se in Spagna la politica di Ezio non ebbe successo, sembra che in Gallia Settentrionale fosse sul punto di ristabilire l’effettiva autorità romana, quando arrivò l’invasione di Attila.

LA MINACCIA SVEVA IN SPAGNA

Le conquiste del re svevo Rechila in Spagna ai danni dei Romani tra il 439 e il 441 e la successiva spedizione fallita del generale Vito del 446.

La minaccia vandala prima (439) e l’emergere della potenza unna poi impedirono a Ezio di concentrarsi sulla Spagna, dove gli Svevi, condotti dal re Rechila, ebbero via libera occupando tra il 439 e il 441 Lusitania, Betica e Cartaginense. La Tarraconense fu poi oggetto di rivolte dei separatisti (Bagaudi), contro i quali Ezio dovette inviare due eserciti, condotti prima da Asturio e poi da Merobaude, nel 441 e nel 443 rispettivamente. Gli eserciti sembrano aver avuto successo, anche se ulteriori rivolte di Bagaudi avvennero anche in seguito.

Nel 446, infine, Ezio inviò il generale Vito e i Visigoti in Spagna, nel tentativo di recuperare Betica e Cartaginense, ma i Romani-Visigoti subirono una disfatta ad opera di Rechila. Nel 449 il successore di Rechila, Rechiaro, si alleò con i Bagaudi della Tarraconense e saccheggiò con il leader dei Bagaudi, Basilio, la valle dell’Ebro, massacrando Federati Goti in una chiesa di Tyriasso. La ripetizione del termine foederati e Goti indica che i Romani in Spagna facevano ampio uso di truppe alleate barbare. Rechiaro devastò anche la Galizia e i Pirenei e, come se non bastasse, sposò anche la figlia del re dei Visigoti Teodorico, probabilmente con l’intenzione di rompere l’alleanza tra Visigoti e Impero, facendo sì che Teodorico non fornisse più truppe a Ezio. Gli insuccessi in Spagna erano chiaramente dovuti alle preoccupazioni che gli Unni creavano a Ezio, che non poteva assolutamente sguarnire il Danubio di truppe.