Invasioni barbariche e usurpazioni: le tribolazioni patite dalle province della prefettura del pretorio delle Gallie tra il 406 e il 418

GLI UNNI E LA CRISI DEL 405-408

Invasioni barbariche nel corso della crisi del 405-408.

L’ulteriore spostamento verso Occidente degli Unni, intorno ai primi anni del V secolo, provocò una nuova ondata di invasioni barbariche che indebolirono pesantemente l’Impero romano d’Occidente e a lungo termine lo portarono nell’arco di un settantennio alla sua caduta finale. Gli Unni, abbandonato il Caucaso, si stavano spostando in direzione dell’odierna Ungheria, spingendo i popoli che si trovavano nei territori a ovest dei Carpazi a sfondare le frontiere dell’Impero.

Nel 406 i Goti di Radagaiso (un gruppo di Goti diverso da quelli di Alarico) invasero l’Italia ma furono sconfitti presso Firenze, più precisamente a Fiesole, da Stilicone, che ne approfittò per rimpinguare il suo esercito arruolandone una parte e vendendone il resto come schiavi.

Ma non era ancora finita. Pressati dalla migrazione degli Unni, che stavano invadendo i loro territori, Alani, Vandali, Svevi decisero di oltrepassare il Reno.

USURPAZIONI IN BRITANNIA E L’ATTRAVERSAMENTO DEL RENO

Negli ultimi mesi del 406, nel frattempo, le truppe di stanza in Britannia si rivoltarono e acclamarono usurpatore Marco, giurandogli obbedienza e rendendolo imperatore della diocesi britannica. Ma, non avendo portato avanti ciò che aveva promesso ai soldati, essi lo uccisero e lo sostituirono con Graziano, che adornarono con un diadema e con un vestito di porpora, e che trattarono come se fosse il loro Imperatore.

Dopo che anche Graziano fece qualcosa che dispiacque i suoi soldati, anch’egli fu deposto e ucciso dopo soli quattro mesi di usurpazione. Fu quindi proclamato usurpatore un tale di nome Costantino. Questi, dopo aver affidato a Giustiniano e Nevigaste il comando delle legioni sotto il suo comando, invase la Gallia. Dopo essere sbarcato a Bononia, una città della Gallia situata in Germania Inferiore, che era la città costiera più prossima alla Britannia, dopo una marcia di pochi giorni, ottenne l’appoggio di tutte le truppe della Gallia.

Il pretesto con cui Costantino invase la Gallia fu il seguente. Il 31 dicembre 406, i Vandali, gli Alani e gli Svevi, attraversato il Reno, cominciarono a devastare la Gallia intera. Tentarono di ostacolare l’invasione i Franchi, che affrontarono in battaglia i Vandali, poco prima che attraversassero il fiume. Respendial, re degli Alani, intervenne però in soccorso dei Vandali, che stavano avendo la peggio nella guerra contro i Franchi, avendo perso il loro re Godigisclo, e circa 20.000 soldati del loro esercito, e che sarebbero stati annientati se non fosse giunto in tempo il soccorso dell’esercito alano. Attraversato il fiume allora il fiume in quantità innumerevoli, cominciarono a devastare la Gallia intera.

Il percorso seguito dagli invasori del Reno nel corso della loro invasione della Gallia.

Secondo una lettera di Girolamo che contiene molte informazioni su questa invasione, fu allora che l’intera nazione tra le Alpi e i Pirenei, tra il Reno e l’Oceano, venne devastata da orde di Quadi, Vandali, Sarmati, Alani, Gepidi, Eruli, Sassoni, Burgundi, Alemanni e persino da Pannoni. La città di Magonza fu presa e rasa al suolo. Nella sua chiesa furono massacrati migliaia di cittadini. La popolazione di Vangium, dopo un lungo assedio, fu ridotta al niente. La potente città di Rheims, gli Ambiani, gli Altrebati, i Belgi, Tournay, Spires, e Strasburgo caddero in mano ai Germani: mentre le province dell’Aquitania e delle Nove Nazioni, di Lione e di Narbona divennero, con l’eccezione di alcune città, una scena universale di desolazione. E coloro che la spada risparmiò, furono colpiti dalla carestia. La città di Tolosa si salvò dalla rovina solo per merito del suo vescovo.

I Barbari invasori diventarono in questo modo così formidabili che cagionarono il timore anche alle armate della Britannia che nominarono usurpatore Costantino, in modo che li guidasse in Gallia per combattere i Barbari che avevano invaso la Gallia. Non appena l’usurpatore Costantino ebbe ottenuto il controllo delle truppe dell’intera Gallia, affrontò gli invasori in battaglia, uscendone vittorioso. Trascurando di inseguire i fuggitivi, Costantino diede però loro la possibilità di recuperare forze, e diventare così di nuovo una temibile minaccia. E fu così che la Gallia tornò ad essere devastata da quegli invasori che Costantino non era in grado di respingere oltre il Reno. Quegli stessi invasori, ovvero Vandali, Alani e Svevi, invasero in seguito la Spagna, ma di questo se ne parlerà nel seguito.

COSTANTINO III CONTRO SARO

Nel frattempo Stilicone aveva deciso di inviare Saro alla testa di una armata per recuperare le province galliche usurpate da Costantino. Saro, scontratosi con una divisione dell’esercito comandata dal generale Giustiniano, uscì nettamente vittorioso, uccidendo quel generale con la maggior parte dei suoi soldati e ottenendo un enorme bottino di guerra.

Successivamente Saro cinse d’assedio Valentia, una città molto ben fortificata, dove l’usurpatore Costantino aveva cercato riparo. Nevigaste, l’altro comandante di Costantino, avendo presentato proposte di pace a Saro, fu ricevuto da lui in maniera molto amichevole. Ma Saro, anche se aveva sia ricevuto che dato un giuramento del contrario, immediatamente lo fece uccidere, senza riguardo alcuno a ciò che aveva appena giurato.

Costantino allora conferì il comando dell’esercito, rimasto vacante a causa delle uccisioni di Giustiniano e Nevigaste, a Edobico, di origini franche ma nativo della Britannia, e a Geronzio, anche lui britanno. Saro, temendo il coraggio e l’esperienza militare di questi due, abbandonò l’assedio di Valentia dopo averlo prolungato per sette giorni.

Durante la sua ritirata fu attaccato dai due generali di Costantino, e subì perdite talmente rilevanti da sfuggire a stento dalla cattura. Alla fine, per riuscire a tornare in tutta sicurezza in Italia, fu costretto a cedere tutto il bottino di guerra accumulato ai Bagaudi, ovvero ai Briganti, che bloccavano i passi alpini.

Non appena Saro riuscì a tornare in tutta sicurezza in Italia, Costantino, avendo raccolto tutte le sue armate, decise di collocare dei presidi su tre passi alpini, che consentono il passaggio dall’Italia alla Gallia, cioè le Alpi Cozie, le Alpi Pennine e le Alpi Marittime. Allo stesso modo tentò di rinforzare le frontiere del Reno.

SPEDIZIONE IN SPAGNA

Dopo aver rinforzato la propria autorità in Gallia, che tuttavia continuava a subire i saccheggi di Vandali, Alani e Svevi, Costantino nominò Cesare il figlio maggiore, Costante, e lo inviò in Spagna con il proposito di sottomettere anche quella diocesi sotto il suo dominio. Temeva infatti che i parenti di Onorio, che detenevano un certo potere in Spagna, avrebbero potuto attraversare con un potente esercito i Pirenei e assalirlo magari in contemporanea con un attacco dall’Italia; in questo modo, avendo circondato l’usurpatore da entrambi i fronti con un attacco concertato, le truppe della Spagna e dell’Italia, unite, avrebbero potuto detronizzarlo.

Costante, pertanto, si recò in Spagna, portando con se il generale Geronzio e il prefetto del pretorio Apollinare, assalendo le truppe sotto il comando di due dei parenti dell’Imperatore Onorio, Didimo e Vereniano. Essi, avendo perso il primo scontro contro Costante in cui il loro esercito di soldati lusitani fu nettamente sconfitto, organizzarono un secondo esercito costituito da un numero immenso di schiavi e contadini. Ma anche questo esercito improvvisato fu sconfitto, ed essi con le mogli caddero nelle mani di Costante.

I loro fratelli, Teodosio e Lagodio, venuti a conoscenza del disastro, fuggirono dalla Spagna: uno dei due fuggì in Italia, l’altro nell’Oriente romano. Dopo aver sottomesso la Spagna, Costante fece ritorno dal padre, portando con se Vereniano e Didimo, che furono immediatamente giustiziati.

L’INVASIONE DELLA SPAGNA E LA RIVOLTA DI GERONZIO

Quando Costante lasciò la Spagna per tornare dal padre, aveva affidato la difesa dei Pirenei al generale Geronzio e alle sue truppe consistenti in reggimenti di mercenari barbari denominati Honoriaci, nonostante le insistenze degli Ispanici, che intendevano essi stessi difenderli, come era antica tradizione. Questa decisione fu in seguito la causa della rovina della Hispania, in quanto, quando i Vandali, Alani e Svevi udirono che la Spagna era una regione prospera e abbondante e decisero di attraversare i Pirenei, riuscirono a invadere la Spagna senza trovare opposizioni a causa della negligenza o, asseriscono alcuni, della complicità degli Honoriaci, i mercenari barbari a cui era stata imprudentemente affidata la difesa dei Pirenei. Gli Alani, i Vandali, e gli Svevi entrarono così in Spagna, alcuni dicono il 28 settembre, altri il 12 ottobre, un mercoledì, dell’anno 409.

Come se non bastasse, alle invasioni barbariche si unirono rivolte interne. Mentre Costante si accingeva a tornare per una seconda volta in Spagna, annunciando che avrebbe sostituito Geronzio con Giusto, Geronzio, adirato per questa decisione, e avendo ottenuto il favore dei soldati sotto il suo comando, cercò l’alleanza dei Barbari per sobillarli contro Costantino.

Dopo aver fatto pace con i Barbari invasori della Hispania, proclamò usurpatore suo figlio Massimo che era ascritto ai domestici. Costante era ancora con il padre quando fu informato che Massimo era stato proclamato usurpatore da Geronzio, e aveva ottenuto un’alleanza con i Barbari. Allarmati da ciò, essi inviarono Edobico presso le tribù germaniche per ottenere nuovi rinforzi, mentre Costante e il prefetto Decimio Rustico, in precedenza magister officiorum, tentarono di ottenere truppe ausiliarie dai Franchi e dagli Alemanni.

Spartizione della Spagna tra gli invasori del Reno (411).

Nel frattempo i Barbari occupanti la Spagna, dopo averla devastata, se la spartirono come segue. I Vandali Asdingi occuparono la Galizia mentre gli Svevi quella parte della Galizia occidentale che confina con l’oceano. Gli Alani si insediarono nelle province di Lusitania e Cartaginense, mentre i Vandali Silingi si stabilirono in Betica. Nelle città e nelle fortezze gli ispanici furono costretti a sottomettersi alla dominazione dei Barbari che ora governavano le loro province.

COSTANTINO III IN CRISI

Avendo la maggior parte del proprio esercito in Ispania, Costantino si trovava in una situazione critica, non riuscendo a contrastare le incursioni dei Barbari da oltre il Reno. Tali incursioni costrinsero non solo i Britanni, ma anche alcune popolazioni della Gallia, come gli abitanti dell’Armorica, alla necessità di rivoltarsi all’Impero, espellendo gli ufficiali di Costantino, governandosi da soli, e difendendosi da sé contro le incursioni dei Barbari; in questo modo riuscirono a liberare le loro città dai Barbari che le assediavano. Così accadde la rivolta e la defezione della Britannia e di molte province della Gallia, a causa del negligente governo di Costantino che aveva permesso ai Barbari di commettere tali devastazioni.

Di fronte alla rivolta di Geronzio e all’usurpazione di Massimo, Costantino inviò suo figlio Costante per difendere Vienne e le città limitrofe. Geronzio quindi marciò contro Costantino. Sconfisse Costante, figlio di Costantino, lo inseguì e lo giustiziò a Vienne. Successivamente Geronzio avanzò verso Arelate, dove si era rifugiato Costantino, e la cinse d’assedio.

COSTANZO E ULFILA SCONFIGGONO GERONZIO (411)

Mentre questi eventi stavano avendo luogo, Costanzo e Ulfila furono inviati da Onorio contro Costantino. Ora si riferirà chi fosse Costanzo, data la sua importanza. Flavio Costanzo era un generale dell’Impero romano d’Occidente. Nato a Naissus, nei Balcani, aveva combattuto nell’esercito orientale sotto Teodosio I, per poi trasferirsi in Occidente quando l’Imperatore Teodosio dovette combattere l’usurpatore nei territori occidentali Eugenio. Rimase poi a servire nell’esercito d’Occidente. Nel 410-411 Costanzo ottenne la posizione che un tempo era stata di Stilicone, ovvero magister militum. Il suo primo atto fu quello di combattere gli usurpatori gallici coadiuvato da Ulfila.

Dopo aver raggiunto Arelate, dove Costantino si era rifugiato insieme al figlio Giuliano, Costanzo e Ulfila cominciarono a cingerla d’assedio. Geronzio, all’arrivo di Costanzo e Ulfila, tentò la fuga con i pochi soldati che gli erano rimasti fedeli; infatti, la maggior parte delle sue truppe gli si era ammutinata, forse a causa della sua disciplina troppo severa, ed erano passate dalla parte di Costanzo.

La casa di Geronzio fu circondata di notte dalle truppe che gli si erano ammutinate, a causa della sua disciplina troppo severa; ma Geronzio, con un suo servo, di stirpe alana, e altri servi, salirono sul tetto dell’abitazione e opposero una strenua resistenza; infatti, scoccando frecce, uccisero non meno di trecento soldati nemici. Quando le frecce si esaurirono, i servi tentarono disperatamente la fuga tentando di scendere senza essere notati dall’abitazione; ma Geronzio scelse di non fuggire, a causa dell’affetto che provava per sua moglie, Nonnichia. All’alba del giorno successivo, i soldati diedero fuoco all’abitazione, e Geronzio, dopo aver visto che non c’era più speranza di salvezza, si suicidò, dopo aver ucciso su loro richiesta l’alano e la moglie. Il figlio Massimo, all’udire ciò, si rifugiò presso gli amici barbari.

COSTANZO E ULFILA ASSEDIANO ARELATE E SCONFIGGONO EDOBICO

Nel frattempo, la città di Arelate continuava ad essere assediata dall’armata di Onorio. Costantino continuava ad opporre strenua resistenza all’assedio, in quanto l’arrivo di Edovico con molti alleati era stato annunciato come imminente. La notizia dell’arrivo di Edovico preoccupò oltre misura i generali di Onorio. Essi allora in un primo momento sembrarono decisi a fare ritorno in Italia. Tuttavia in seguito decisero di sconfiggere il nemico con la strategia, tendendogli una trappola.

Quando Edovico fu annunciato nelle vicinanze, Costanzo e Ulfila attraversarono il fiume Rodano. Costanzo, il comandante della fanteria, attese quietamente l’appropinquarsi del nemico, mentre Ulfila, il comandante della cavalleria, rimase appostato per tendere un’imboscata al nemico con la sua cavalleria. Quando l’esercito di Edovico cominciò a scontrarsi con le truppe di Costanzo, al segnale concordato, Ulfila assaltò improvvisamente il nemico da dietro. La fuga del nemico fu immediata. Alcuni fuggirono, altri vennero uccisi, altri gettarono le armi, chiesero perdono e furono risparmiati.

Edovico montò a cavallo e fuggì nelle terre di un certo proprietario terriero di nome Ecdicio, a cui aveva reso in precedenza qualche importante servigio, e che quindi immaginava essere suo amico. Ecdicio, tuttavia, lo decapitò proditoriamente, e inviò la sua testa ai generali di Onorio, nella speranza di ricevere qualche grande ricompensa o onori. Costanzo, al ricevere la testa, ringraziò pubblicamente Ecdicio, ma gli disse anche di andarsene, in quanto non riteneva buona per se o per l’esercito la compagnia di una persona maliziosa come costui, che aveva osato compiere l’empio atto di uccidere un amico che si trovava in difficoltà e che gli aveva chiesto aiuto.

L’USURPAZIONE DI GIOVINO E LA CADUTA DI COSTANTINO III (411)

Nel corso del quarto mese di assedio, giunsero improvvisamente notizie che nella Gallia Ulteriore, ovvero quella parte della Gallia a nord della Loira, Giovino aveva usurpato la porpora, e minacciava di attaccare gli assedianti con il sostegno dei Burgundi, degli Alemanni, dei Franchi, degli Alani, e di tutta la sua armata. Per tali motivi l’assalto alle mura della città riprese maggior vigore, con il risultato che Costantino si arrese e la città aprì le porte agli assedianti.

Costantino cercò rifugio in una chiesa e fu ordinato prete, essendogli stato solennemente promesso che la sua vita sarebbe stata risparmiata. Costantino e il figlio furono mandati in viaggio verso Onorio. Ma l’Imperatore, provando ancora rancore per loro per l’assassinio dei suoi cugini compiuto da Costantino, decise di violare il giuramento, ordinando che i due fossero giustiziati a trenta miglia di distanza da Ravenna. Essi furono dunque uccisi nei pressi del fiume Mincio da sicari inviati dall’Imperatore.

GIOVINO, SARO E ATAULFO (412)

Nel frattempo, come già accennato in precedenza, Giovino fu proclamato Imperatore a Magonza nella Germania Superiore, con il sostegno di Goar l’alano e Gundioco, un capo burgundo. Su consiglio di Attalo, Ataulfo, invasa la Gallia, decise di unirsi a lui con le sue forze. Ma Giovino, essendo offeso dalla presenza di Ataulfo, con un linguaggio misterioso rimproverò Attalo per aver consigliato Ataulfo a unirsi a lui.

Anche Saro, rivoltatosi a Onorio in quanto quest’ultimo si era rifiutato di trovare e punire l’assassino del servo di Saro, Belleride, decise di unirsi a Giovino, ma Ataulfo, venutone a conoscenza, mise insieme un’armata di diecimila uomini e si scontrò con Saro, i cui seguaci erano solamente ventotto. Saro combatté con incredibile eroismo, ma alla fine fu ucciso.

Giovino, non seguendo il consiglio di Ataulfo, proclamò Augusto suo fratello Sebastiano. Ataulfo, fortemente offeso, inviò inviati presso Onorio, promettendo di inviargli le teste dei tiranni e offrendo in cambio una pace. Dopo lo scambio di giuramenti e il ritorno degli ambasciatori, la testa di Sebastiano venne inviata all’Imperatore Onorio.

Giovino, assediato da Ataulfo, si arrese, e venne giustiziato dal prefetto del pretorio Dardano. Entrambe le teste vennero esposte al di fuori di Cartagine, lo stesso luogo dove erano già state esposte quelle degli usurpatori Costantino e Giuliano, nonché quelle di Massimo ed Eugenio, con questi ultimi due che avevano aspirato al trono sotto il regno di Teodosio il Grande.

Al contempo Decimo Rustico, prefetto dei tiranni, Agrezio, uno dei principali segretari di Giovino, e molti nobili, furono catturati in Alvernia dai comandanti di Onorio e crudelmente giustiziati. La città di Treviri fu nel frattempo saccheggiata e data alle fiamme nel corso di una seconda incursione dei Franchi.

L’USURPAZIONE DI ERACLIANO

Nel frattempo il comes Africae Eracliano, che era già in carica nel periodo in cui Attalo fu proclamato usurpatore a Roma da Alarico e che aveva vigorosamente difeso l’Africa dai magistrati inviati dall’usurpatore, ottenne il consolato insieme all’altro console Luciano per l’anno 413. Riempito di orgoglio dall’onore, fece sposare la figlia con Sabino, il suo ciambellano. Eracliano si schierò con lui quando Sabino fu sospettato di tramare piani pericolosi alla sicurezza pubblica.

Dopo aver rifiutato di rifornire l’Urbe di grano in violazione della legge, Eracliano salpò in persona per Roma, accompagnato da una flotta immensa, che si narra fosse di 3700 navi. Non appena sbarcò con le truppe in Italia, e marciò verso la capitale, fu sconfitto in battaglia presso Utriculum dal generale Marino e fuggì precipitosamente, dopo aver perso in una sola battaglia 50.000 combattenti (secondo almeno una fonte antica, ma come cifra sembra esagerata). Riuscito a fuggire su una nave, ritornò da solo a Cartagine, dove fu immediatamente ucciso nel tempio della dea Memoria, per opera di sicari inviati da Onorio oppure da una banda di soldati. Il genero Sabino fuggì a Costantinopoli, ma fu poi estradato e condannato all’esilio.

ATAULFO, PLACIDIA E COSTANZO

Sempre nel 413, la restituzione di Placidia al fratello Onorio venne urgentemente richiesta ad Ataulfo da Costanzo, che successivamente l’avrebbe sposata. Ataulfo, alla richiesta di restituire Placidia, chiese in cambio il grano promessogli. Anche se coloro che glielo avevano promesso non erano in grado di rifornirlo di grano, essi accettarono di farlo se prima sarebbe avvenuta la restituzione di Placidia; Ataulfo però non era d’accordo e chiedeva che gli fosse fornito prima il grano e poi avrebbe liberato Placidia. Ma non essendo state mantenute le promesse fatte ad Ataulfo, soprattutto per quanto riguarda il rifornimento di grano, rifiutò di restituirla e si preparò per la guerra invece che per la pace.

Ataulfo, cominciata una nuova guerra, partì per Massilia, sperando di espugnarla per tradimento. Ma, dopo essere stato sconfitto dal generale romano Bonifacio, fu costretto ad abbandonare l’assedio della città e a ritornare nei propri quartieri. La città di Massilia di conseguenza acclamò e portò in trionfo Bonifacio, a lui grati per aver liberato la città da una minaccia così incombente. I Goti riuscirono comunque ad occupare Narbona nella stagione delle vendemmie.

Ataulfo, determinato a sposare Placidia, nonostante le continue richieste di Costanzo affinché fosse restituita a Onorio, accrebbe le sue richieste in modo da risultare inaccettabili per il governo romano e così, a causa del loro rifiuto, ottenere un buon pretesto per trattenerla.

Nel frattempo, all’inizio del 414, Costanzo celebrò il suo consolato a Ravenna, mentre al contempo Costante fu eletto console a Costantinopoli. Fu trovato sufficiente denaro tra le proprietà di Eracliano, che era stato giustiziato l’anno prima per aver tentato di usurpare la porpora, per sostenere le spese del consolato, anche se la quantità di oro non era così grande come ci si aspettava. La quantità in oro trovata era sulle 4600 libbre, e il valore delle tenute di 92000 libbre.

Sempre nel 414, agli inizi di gennaio, fu celebrato, su consiglio e con l’assistenza di Candidiano, il matrimonio tra Ataulfo e Placidia. Il matrimonio ebbe luogo nella città di Narbona nella casa di Ingenuo, uno dei cittadini più illustri. Placidia sedeva vestita in stile romano e indossando abiti regali, e al suo fianco sedeva Ataulfo, anche lui indossante un vestito romano.

Tra i regali di nozze Ataulfo diede alla sua sposa cinquanta fanciulli vestiti di seta, ognuno trasportante nelle sue mani due piatti molto grandi, uno riempito di oro, l’altro riempito di pietre preziose e inestimabili, le spoglie del sacco di Roma compiuto dai Goti. Successivamente furono cantati i canti di nozze, con Attalo a condurre il coro, accompagnato da Rusticio e Febadio. La cerimonia terminò con grandi dimostrazioni di gioia e con giochi, a cui presero parte sia Romani che Barbari.

Secondo quanto riferisce Orosio, Ataulfo sosteneva di voler combattere fedelmente i nemici dell’Impero per conto dell’Imperatore Onorio e impiegare le armate gotiche per la difesa dello stato romano, e per tale motivo cercava insistentemente la pace con l’Imperatore. In un primo momento, narra Orosio, Ataulfo sembrava desiderare cancellare il nome romano e rendere tutto il territorio romano un impero gotico sia di nome che di fatto, in modo che Ataulfo sarebbe diventato il nuovo Cesare Augusto. Tuttavia, essendosi reso conto, a causa dell’esperienza acquisita, che i Goti, essendo Barbari, erano incapaci di obbedire alle leggi, e che non era credibile che lo stato potesse essere privato di quelle leggi senza le quali uno stato non è più uno stato, decise di cercare per se almeno la gloria di restaurare l’antica possanza del nome romano tramite la potenza dei Goti, desiderando essere rimembrato dai posteri come il restauratore dell’Impero romano, non come il suo distruttore. Per questi motivi, tentò di raggiungere la pace con l’Impero, aiutato specialmente in questo dalla moglie Placidia, donna di grande intelligenza ed eccezionale pietà; con i suoi validi consigli egli fu guidato in tutte le misure conducenti a un buon governo. Questo è quanto afferma Orosio su Ataulfo.

In seguito, Ataulfo e Placidia ebbero un figlio che egli chiamò Teodosio. Quando ciò accadde, Ataulfo corteggiò l’amicizia con i Romani ancora di più, ma l’opposizione di Costanzo e dei suoi seguaci resero vani tutti i tentativi di Ataulfo e Placidia. Il loro figlio perì subito dopo a Barcellona.

Nel frattempo, nel 415, il generale Costanzo, che conduceva le proprie operazioni militari dalla città di Arelate in Gallia, riuscì ad espellere i Goti da Narbona, e con atti vigorosi li costrinse a dirigersi in Spagna, soprattutto tagliando loro i contatti con l’esterno, impedendo loro il passaggio di navi e l’importazione di beni esteri di prima necessità. L’usurpatore Attalo, collocato sul trono dai Visigoti per governare nominalmente le province galliche sotto il loro controllo, fu portato dai Goti in Spagna; ed, essendosi imbarcato su una nave per destinazione ignota, fu catturato in mare, condotto dal generale Costanzo, e portato al cospetto dell’Imperatore Onorio.

Nel 417 Onorio entrò trionfante a Roma portando con sé l’usurpatore Attalo, ormai suo prigioniero. La città di Roma si era appena ripresa dalle sue recenti sventure, e ricominciò ad essere di nuovo densamente ripopolata. Quando l’Imperatore vi fece il suo ingresso, espresse sia con gesti che con parole il desiderio che l’Urbe sarebbe tornata al suo antico splendore. Dopo essere poi salito al tribunale, ordinò che Attalo fosse portato sul gradino più basso di esso. Dopo ciò, ordinò che ad Attalo fossero tagliate due delle dita della mano destra, più precisamente il pollice e l’indice, e lo condannò in esilio sulle isole Lipari, senza infliggergli altra punizione, e rifornendolo di tutte le necessità della vita.

Nel frattempo, nel 415, lo stesso Ataulfo fu assassinato, mentre controllava i suoi cavalli nella stalla, sua tradizionale abitudine. Fu assassinato da un goto al suo servizio, di nome Dubio, che odiava profondamente Ataulfo. Il padrone di Dubio, capo di una tribù gotica, era stato infatti ucciso da Ataulfo, che poi aveva costretto Dubio a passare al suo servizio. Dubio, intendendo vendicare il suo primo padrone, uccise il secondo, Ataulfo. Ataulfo, prima di perire, ordinò al fratello di restituire ai Romani Placidia e continuare a cercare di coltivare l’amicizia con Roma.

Ataulfo non fu però succeduto da alcuno dei suoi parenti bensì da Sigerico, fratello di Saro, che ottenne il trono con la violenza e con l’intrigo piuttosto che per vie legali o per legami di parentela. Sigerico fece giustiziare i figli di Ataulfo ottenuti da un precedente matrimonio, strappandoli dalle braccia del vescovo Sigesaro, e per insultarla e umiliarla costrinse Placidia a camminare in processione di fronte al suo cavallo insieme ad altri prigionieri fino alla dodicesima pietra miliare dalla città. Dopo aver regnato sette giorni, Sigerico fu assassinato dai suoi stessi uomini e gli succedette sul trono Vallia.

IL TRATTATO TRA VALLIA E COSTANZO

Sotto il nuovo re Vallia, vennero riavviate le negoziazioni di pace con i Romani. Un anno prima, narra Orosio, una grande banda di Goti, forniti sia di armi che di navi, avevano tentato la traversata per l’Africa, ma erano periti miseramente in una tempesta a dodici miglia dallo Stretto di Gibilterra.

Vallia decise di concludere una pace favorevole con l’Imperatore Onorio. Eupluzio il ciambellano fu inviato a Vallia, re dei Goti, per firmare un trattato di pace con lui e per recuperare Placidia. Vallia lo ricevette gentilmente e in cambio di 600.000 misure di grano, Placidia venne liberata e consegnata a Eupluzio affinché la scortasse dal fratello Onorio.

Vallia, inoltre, per assicurare la sicurezza di Roma, rischiò la propria vita conducendo per conto di Roma la guerra contro le altre tribù barbare che si erano insediate in Spagna per sottometterle ai Romani. Tuttavia, secondo Orosio, gli altri re, quelli degli Alani, dei Vandali, e degli Svevi, tentarono di ottenere la pace alle stesse condizioni.

Tra il 416 e il 418 Vallia, re dei Goti, agendo a nome dell’Impero romano, fece enormi massacri di Barbari in Hispania. Avendo sconfitto in battaglia il re dei Vandali Silingi, Fredibaldo, lo inviò presso l’Imperatore Onorio. Tutti i Vandali Silingi in Betica furono sterminati dal re Vallia. Gli Alani, che dominavano su Vandali e Svevi, furono quasi completamente sterminati dai Goti, tanto che, una volta ucciso il loro re Atace dai Goti, rinunciarono a nominare un nuovo re, e si sottomisero alla dominazione di Gunderico, re dei Vandali Asdingi, che si era stabilito in Galizia.

Fu a questo punto (nel 418) che, recuperate le province di Betica, Cartaginense e Lusitania, Costanzo ordinò ai Visigoti di cessare i combattimenti e li richiamò in Aquitania, concedendo loro di insediarsi nella valle della Garonna dove ricevettero terre da coltivare. La scelta dell’Aquitania come terra di insediamento dei Goti aveva carattere strategico: infatti l’Aquitania si trovava ai margini tra Gallia e Spagna, vicina quindi agli insediamenti di Vandali e Svevi in Spagna, ma anche alle regioni separatiste della Gallia nord-occidentale. Quindi ai Visigoti fu concessa una terra sufficientemente vicina a tutte le minacce che Roma dovesse affrontare, in modo da rendere più veloce l’intervento visigoto in appoggio ai Romani. Secondo la teoria tradizionale, i Visigoti ricevettero, in base alla cosiddetta “hospitalitas”, un terzo, o forse addirittura i due terzi delle terre della regione di insediamento. Secondo una teoria alternativa i Visigoti avrebbero ricevuto un terzo o i due terzi delle entrate fiscali della regione, teoria che comunque è stata contestata da Cesa e Heather che fanno notare che le fonti (come Filostorgio) affermano esplicitamente che i Visigoti ricevettero terre da coltivare e che inoltre tale interpretazione forza la lettera delle leggi dei regni romano-barbarici in maniera inaccettabile (questo è il giudizio di Heather). Secondo un’altra teoria, i Visigoti, venendo equiparati a veterani dell’esercito romano, ricevettero inizialmente soltanto terreni pubblici o non coltivati in modo da non danneggiare i proprietari terrieri evitando così di espropriarli di parte delle loro proprietà in favore dei Visigoti. Solo quando il loro potere nella regione si consolidò, nella seconda metà del V secolo, i Visigoti si sarebbero impadroniti dei due terzi delle terre della regione in base alla “hospitalitas”. Le province dove furono insediati i Visigoti rimanevano almeno nominalmente sotto la sovranità romana, tanto che continuarono ad essere nominati governatori romani ancora per qualche tempo, anche se le cose ovviamente cambiarono ben presto, e fu ben presto evidente che erano i Visigoti a comandare lì, e non certo i Romani. Di fatto i Visigoti, godendo del sostegno delle popolazioni locali e dei proprietari terrieri, non tardarono nel giro di pochi anni a diventare, per usare le parole di Salviano di Marsiglia, gli effettivi domini ac possessores soli romani (“padroni e possessori del suolo romano”) in Aquitania. Ma per il momento (418) anche i territori di insediamento dei Visigoti continuavano ad appartenere legalmente all’Impero.

Grazie al talento di Costanzo l’Impero romano d’Occidente sembrava sul punto di rinascere come una fenice, ma nonostante i suoi sforzi l’Impero non tornò come prima.

L’INDEBOLIMENTO DELL’IMPERO

Infatti nel 418 l’opera di ricostruzione non si era ancora compiuta. La presenza di Vandali Asdingi (a cui si erano uniti i superstiti degli Alani) e di Svevi in Spagna nordoccidentale rendeva ancora pericolosa la regione e il gettito fiscale delle zone da essi occupate non arrivava più nelle casse di Ravenna. Situazione simile in Aquitania, dove si erano stanziati i Visigoti, mentre la Britannia e l’Armorica si erano rivoltate all’Impero e non versavano più tributi. Nel 417 un tal Exuperantio si stava sforzando di riportare l’ordine in Armorica, segno che il regime di Costanzo si fosse sforzato di riportare l’ordine in Armorica, se non addirittura in Britannia. Le regioni della Gallia meridionale e centrale versavano invece regolarmente tasse a Roma, anche se a causa delle devastazioni apportate dagli invasori del 406 e dai Visigoti il loro gettito fiscale era diminuito. E lo stesso accadde per quelle province del Sud Italia che erano state devastate dai Visigoti di Alarico. Basti pensare che a causa dei danni ingenti provocati dall’orda, Onorio in una legge del 412 fu costretto a ridurre le tasse a un quinto del normale per: Campania, Toscana, Piceno, Sannio, Puglia, Calabria, Bruzio e Lucania. In una legge del 418 le tasse per la Campania furono ridotte a 1/9 del normale e per le altre province a 1/7. Insomma, le invasioni dovevano aver provocato una riduzione sostanziale del gettito fiscale dell’Impero dal 405 al 418.

Della riduzione del gettito fiscale, ne risentì anche l’esercito. Nel 420, dalla Notitia Dignitatum, risulta che l’esercito occidentale di campo era formato da 181 reggimenti di cui 97 creati dopo il 395 e soli 84 preesistenti. Nel 395 i reggimenti dell’esercito campale occidentale dovevano essere 160. Da ciò risulta che nelle invasioni dal 395 al 420 erano stati annientati dai barbari (ma anche a causa della lotta contro gli usurpatori) ben 76 reggimenti (160-84=76), il 47,6% del totale! Costanzo era riuscito a riportare l’esercito campale a 181 reggimenti, quindi un esercito almeno in apparenza più grande addirittura di quello nel 395, ma in realtà il modo in cui furono colmate le perdite lo avevano reso più debole. Ben 62 delle 97 nuove unità furono infatti create, promuovendo nell’esercito campale truppe di frontiera, che molto probabilmente non vennero tutte rimpiazzate da nuove truppe di frontiera. Solo 35 unità furono create tramite nuove leve di soldati di prima classe, e di questi 35 almeno un terzo erano di origine barbarica, come risulta dai nomi dei reggimenti (attecotti, marcomanni, brisigavi ecc.). Quindi nonostante l’esercito campale fosse addirittura aumentato di numero rispetto al 395, in realtà era diventato più debole perché il numero dei veri “comitatensi” (ovvero i soldati dell’esercito di campo) era diminuito da 160 a 120 unità (circa il 25%). Perché le perdite non furono colmate arruolando soprattutto nuovi soldati invece di promuovere le truppe di frontiera? Evidentemente a causa della diminuzione del gettito fiscale, che impedì allo stato di procedere diversamente. Infatti le tasse servivano a mantenere l’esercito, e un calo delle entrate fiscali portò anche a un ridimensionamento dell’esercito.

Ma c’era un altro problema che si profilava all’orizzonte. Quando gli invasori del Reno devastarono la Gallia, essi ottennero in vari casi l’appoggio dei ceti più bassi, che si sentivano sfruttati da Roma. Ma ben presto anche i grandi proprietari terrieri cercarono di venire a compromessi con i barbari invasori, tradendo lo stato romano. Quando infatti i territori venivano occupati dai Barbari, i proprietari terrieri non potevano pensare di fare fagotto e di andarsene, dato che la loro ricchezza consisteva nella terra, ma cercavano anzi di conservare le loro proprietà terriere e ovviamente se stabilivano buoni rapporti con gli invasori era più probabile che questi non gliele confiscassero. E, in effetti, già nel corso dell’occupazione visigota della Gallia Narbonense del 414-415, i Visigoti avevano goduto non solo dell’appoggio dei ceti inferiori, oppressi dal fiscalismo romano, ma anche della collaborazione con gli stessi proprietari terrieri, i quali avevano riconosciuto Attalo come imperatore legittimo. Questo fenomeno era molto dannoso per l’Impero, perché le rendite imperiali si basavano sull’intesa con i proprietari terrieri, i quali, in cambio di privilegi e della loro difesa tramite le leggi e l’esercito, accettavano di pagare le tasse. Secondo Heather, “l’Impero romano era sostanzialmente un mosaico di comunità locali che in buona misura si autogovernavano, tenute insieme da una combinazione di forza militare e baratto politico: in cambio dei tributi il centro amministrativo si occupava di proteggere le élite locali”. Questo baratto politico fu messo in crisi dalla comparsa dei Visigoti: i proprietari terrieri gallici, lasciati indifesi dall’Impero e non potendo correre il rischio di perdere la loro principale fonte di ricchezza, costituita dalle terre, allentarono i loro legami con l’Impero e acconsentirono a collaborare con i Visigoti, ricevendone in cambio protezione, privilegi e la garanzia di poter conservare le proprie terre. Una testimonianza di questo processo è costituita dallo scrittore e proprietario terriero gallico Paolino di Pella, che per la sua collaborazione con il regime visigoto fu ricompensato da Attalo con la nomina a comes rerum privatarum e con l’esonero dal dover ospitare i Visigoti nelle proprie proprietà terriere. Il suddetto scrittore attesta che altri proprietari terrieri, che furono invece costretti a dover ospitare i Goti, ricevettero da essi in cambio protezione contro eventuali minacce militari. Paolino di Pella affermò addirittura, a decenni di distanza, che “la pace gotica resta a tutt’oggi una pace da non deplorare, dal momento che vediamo molti, nel nostro stato, prosperare con il favore dei Goti, mentre prima avevamo dovuto sopportare ogni sventura”.

Grazie all’intervento repentino di Costanzo, le cose non degenerarono ma il generale romano era ovviamente conscio della gravità del problema e infatti nel 418 fu ripristinata la seduta annuale del Consiglio delle province della Gallia, un evidente tentativo per ricucire gli strappi con i proprietari terrieri gallici, dando loro il modo di comunicare all’Impero i loro problemi. Infatti il concilio riguardava principalmente i problemi dei proprietari terrieri ed è probabile che la seduta del 418 abbia riguardato proprio lo stanziamento dei Goti in Aquitania. Il concilio riguardava le sette province della Gallia a sud
della Loira, anche perché in quelle a Nord della Loira (“Gallia Ulteriore”) il controllo romano era solo nominale, vista la presenza di separatisti bagaudi e incursori barbari (infatti nella commedia Querolus del V secolo viene addirittura detto che se si vuole andare a vivere in un posto in cui non vigono le leggi di Roma, occorre recarsi a Nord della Loira). Al consiglio partecipavano anche i governatori provinciali di Novempopulana e di Aquitania II, nonostante in quelle province si fossero insediati i Visigoti, a conferma del fatto che quelle due province continuavano a far parte almeno nominalmente dell’Impero. Costanzo, conscio comunque che quelle due province erano difficilmente controllabili dal governo centrale a causa dell’insediamento dei Visigoti, stabilì che nel caso i due governatori provinciali non avessero potuto presentarsi al consiglio per motivi riconducibili a una occupatio certa, avrebbero potuto inviare legati in loro rappresentanza. Forse al Concilio partecipò anche Namaziano, il possessore-poeta che nel poema “Il ritorno” confidava nella ripresa dell’Impero. Ripresa che sembrava possibile, dato l’annientamento degli usurpatori, la pacificazione con i Goti e il massacro di almeno una metà degli invasori del Reno. Le cose andarono poi diversamente.