Dissensi religiosi e campagne militari: il Typos, l’esilio di Papa Martino I e la spedizione in Italia di Costante II

IL TYPOS
A Isacio, deceduto forse nel corso della disfatta del fiume Panaro (v. sopra), succedette Teodoro Calliopa, il cui mandato durò due anni e fu succeduto dal nuovo esarca Platone, richiamato a Costantinopoli intorno al 649.

Quando Eraclio perì (641), Costantino III ed Eracleona vennero entrambi nominati imperatori, con pari autorità (cfr. Ostrogorsky, Storia dell’Impero bizantino, Torino, 1968, p. 99). Tuttavia lotte intestine causarono la rovina di entrambi. Dopo quattro mesi di regno, infatti, Costantino III perì, permettendo ad Eracleona di regnare da solo. Tuttavia si generò il sospetto che fossero stati Eracleona e sua madre Martina a causare il decesso di Costantino, avvelenandolo, e in una rivolta del senato, appoggiata dall’esercito, Eracleona e Martina vennero deposti e, accusati di aver avvelenato Costantino III, puniti con il taglio del naso (per Eracleona) o della lingua (per Martina) e con l’esilio (Teofane, Chronographia, A.M. 6133). L’esercito nominò Imperatore Costantino (da allora soprannominato Costante II), figlio di Costantino III, un ragazzino di 11 anni (era nato nel 630).

Costante II tentò di risolvere il problema delle controversie religiose con un nuovo editto, il Typos, che, pur abolendo l’Etkesis, proibiva ogni discussione teologica. Questo scontentò il Papa, Martino I, che nel 649 convocò un sinodo in Laterano che condannava come eretici sia l’Etkesis che il Typos, in quanto entrambi favorevoli al monotelismo (cfr. Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 110). Costante II reagì male alla notizia e decise di stroncare con la forza ogni opposizione:

Ipsis diebus direxit imperator in Italiam Olimpium cubicularium et exarchum ad regendam omnem Italiam, praecipiens ei, dicens: “Oportet gloria tua ut sicut nobis suggessit Paulus patriarcha huius a Deo conservandae urbis peragere, et si quidem inveneritis provincia ipsa consentientem in typo a nobis exposito, tenere omnes qui ibi sunt episcopi et hieraticos possessorum atque […] in eodem subscribant. Si autem, quomodo nobis suggessit Platon gloriosus patuicius, Eupraxius gloriosus, potueritis suadere exercitu ibidem consistenti, iubemus tenere Martinum qui hic erat apocrisarius in regia urbe, et postmodum per omnes ecclesias relegere eum qui cactus est a nobis orthodoxus typus et omnes episcopi Italiane in ipso subscribant. Si autem inveneritis contrarium in tali causa exercitum, tacitum habetote donec optinueritis provinciam et potueritis vobis exercitum adgregare, tam Romane civitatis atque Ravennate, ut ea quae vobis praecepta sunt quantocius explere valeatis”.

 

 

In quei giorni l’imperatore inviò in Italia il cubiculario ed esarca Olimpio per governare tutta l’Italia, ordinandogli: “Conviene alla tua gloria, come ci ha suggerito di agire il patriarca di questa città (che Dio la protegga), Paolo, che, se troverai in quella provincia qualcuno d’accordo con l’editto da noi esposto, ti impadronirai di tutti i vescovi che sono lì e del clero e […] li costringerai a sottoscrivere il medesimo editto. Altrimenti, come ci hanno suggerito il glorioso patrizio Platone e il glorioso Eupraxio, se avrai potuto persuadere l’esercito che è stanziato lì, ti ordiniamo di impadronirti di Martino, che era apocrisario nella città regia, e dopo di ciò sia fatto leggere in tutte le chiese il Typus ortodosso da noi redatto e sia fatto sottoscrivere da tutti i vescovi d’Italia. Se però in questa faccenda troverai che l’esercito è contrario, te ne starai zitto finché non avrai la provincia sotto il tuo controllo e sarai riuscito a riunire un esercito, tanto della città di Roma che di Ravenna, affinché possiate compiere fino in fondo le cose che vi sono state ordinate”. (Liber Pontificalis, Vita di Martino)

Arrivato al concilio, non riuscì però a riportare l’ordine e sembra che avesse ordito l’assassinio del Pontefice, secondo il Liber Pontificalis:

Qui praedictus Olympius veniens in civitate Romana invenit sanctam Romanam ecclesiam quoadunatam cum omnes episcopos Italiae seu sacerdotes vel clerum. Et volens adimplere ea quae ei iussa sunt, armans se cum exercitu virtuti voluit scisma sanctae ecclesiae intrumittere. Hoc per plurimum tempus actum est; et non illum omnipotens Deus permisit quae nitebatur perficere. Videns ergo se a sancta Dei catholica et apostolica ecclesia superitum, necesse habuit de sua quasi mala intentione declinare, ut quod non potuit per manum armatam, facere subreticio modo: per missarum solemnia in ecclesia Dei genetricis semperque virginis Ilariae ad Praesepe, ad communionem, dum ei porrigeret sanctissimus papa, voluit eum interire, ut demandaverat suo spatario. Sed Deus omnipotens, qui solitus est servos suos orthodoxos circumtegere et ab omni malo eripere, ipse excecavit spatarium Olympii exarchi, et non est permissus videre pontificem, quando exarcho communionem porrexit vel pacem dedit, ut sanguis eius effunderetur et catholica Dei ecclesia heresi subiugaretur.

 

Il predetto Olimpio venendo a Roma trovò la santa Chiesa romana radunata con tutti i vescovi d’Italia, i sacerdoti e il clero. E volendo portare a termine ciò che gli era stato ordinato, forte del valore dell’esercìto cercò di far nascere lo scisma nella santa Chiesa. Tentò per parecchio tempo; e Dio onnipotente non gli permise di portare a termine ciò che si sforzava di fare. Vedendosi perciò superato dalla santa Chiesa cattolica e apostolica di Dio, reputò necessario dissimulare la sua malvagia intenzione e fare segretamente ciò che non gli era riuscito a mano armata: alla messa solenne nella chiesa della vergine Maria semprevergine madre di Dio detta ad Praesepe, alla comunione, mentre il papa si volgeva verso di lui, cercò di ucciderlo: aveva affidato il compito ad un suo spatario. Ma Dio onnipotente, che è solito proteggere i suoi servi ortodossi e salvarli da ogni male, accecò lui stesso lo spatario dell’esarca Olimpio, e non gli concesse di vedere il papa – per poter versare il sangue di quello e soggiogare la Chiesa cattolica di Dio all’eresia – quando porse la comunione all’esarca e gli diede la pace. (Liber Pontificalis, Vita di Martino)

Visto il tentativo fallire (a causa di un “miracolo”, che ovviamente nelle fonti ecclesiastiche non possono mancare), l’esarca cambiò idea diventando un alleato piuttosto che un nemico del Santo Padre (cfr. Ravegnani, ibidem, p. 111). Olimpio si rivoltò staccando l’Italia dall’Impero e continuò a governare l’Italia fino al 652, quando, giunto in Sicilia per combattere gli Arabi, venne ucciso da una pestilenza.

Papa Martino I.

Costante II, accusando il Papa di aver istigato la rivolta di Olimpio, inviò in Italia un nuovo esarca, Teodoro Calliopa, ordinandogli l’arresto del Santo Padre. Martino I venne arrestato il 17 giugno 653 e deportato a Costantinopoli, dove, giunto tre mesi dopo, venne processato per tradimento. Le accuse precise erano di aver favorito la conquista araba del Nord Africa e di aver istigato l’esarca Olimpio alla rivolta. Nonostante la sua difesa appassionata avesse messo in difficoltà i giudici, Martino venne condannato alla pena capitale, subito commutata in esilio per intercessione del patriarca di Costantinopoli. Dopo aver subito pesanti umiliazioni, il Santo Padre venne esiliato a Cherson, dove perì nel 655 (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 112).

COSTANTE II IN ITALIA
Nel 663 a Taranto una flotta bizantina sbarcò con nuove truppe. Con esse vi era l’Imperatore, Costante II. Perché l’Imperatore aveva lasciato Costantinopoli per trasferire la sua sede in Italia? Aveva un sogno: strapparla ai Longobardi.

Giunto subito a Taranto, Costante II, secondo quanto riporta Paolo Diacono nel Libro V della sua opera, chiese a un eremita ciarlatano che si dilettava a predire il futuro se la sua spedizione del ducato di Benevento avrebbe avuto felice esito; tale eremita rispose di no, perché i Longobardi erano protetti da San Giovanni Battista (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, V, 6). L’Imperatore comunque non mollò: dopo aver forse stretto in alleanza con i Franchi (che infatti invasero il regno longobardo in contemporanea con l’attacco di Costante), Costante II aggredì con il suo esercito il ducato di Benevento, radendo al suolo Lucera, tentando inutilmente l’assedio di Acerenzia e assediando la capitale stessa del ducato, Benevento.

Il duca beneventano, Romualdo, implorò allora l’aiuto del padre, Grimoaldo, che da poco era diventato re dei Longobardi. L’inviato di Romualdo, Sessualdo, raggiunse Pavia implorando Grimoaldo di intervenire in sostegno del figlio. Ma Grimoaldo rispose a malincuore che doveva prima respingere l’invasione franca prima di poter intervenire contro Costante II. Comunque sia Benevento resistette a lungo all’assedio romeo, e così Grimoaldo ebbe tempo sufficiente a spingere i Franchi al ritiro e accorrere in soccorso del figlio.

Mentre Sessualdo ritornava a Benevento fu catturato dai Romei, che seppero così dell’imminente arrivo di Grimoaldo. Nel seguito della storia il racconto di Paolo Diacono contiene una contraddizione interna: infatti Paolo Diacono dice che l’Imperatore, timoroso di scontrarsi in battaglia con Grimoaldo, fece pace con Romualdo, ma in cambio il duca beneventano doveva cedere come ostaggio sua sorella; poi, in contraddizione con la frase precedente, Paolo sostiene che l’Imperatore avrebbe tentato di costringere Sessualdo a dire a Romualdo che l’aiuto di Grimoaldo non sarebbe arrivato, ma Sessualdo non seguì l’ordine, dicendo al proprio signore la verità, e per ordine di Costante II fu decapitato e la sua testa scagliata da una catapulta all’interno della città (Paolo Diacono, ibidem, V, 8). Questa contraddizione è stata notata dal Muratori, che dice:

“Non si sa ben intendere come seguisse questo fatto. Perché se prima di conchiuder la pace, Sessualdo parlò con Romoaldo, questi non avea bisogno di far capitolazioni, nè di comperare con sì grave pagamento e con l’ostaggio della sorella la liberazion della città. Se poi dappoiché era seguita la pace, non v’era più bisogno di far credere a Romoaldo che egli non dovea sperare soccorso.”
(Antonio Lodovico Muratori, Annali d’Italia, s.a. 663)

Comunque sia, Costante II si ritirò a Napoli, ma durante il tragitto il suo esercito fu sconfitto presso Pugna dal conte di Capua Mitola (Paolo Diacono, ibidem, V, 9).163 Giunto a Napoli, Costante II tentò di nuovo di invadere il territorio beneventano, affidando un esercito di 20.000 uomini al generale Saburro. Tuttavia anche questo esercito fu sconfitto dai Longobardi condotti da Romualdo a Forino (Paolo Diacono, ibidem, V, 10).

Rinunciata alla campagna contro i Longobardi, Costante II si recò a Roma, dove restò per due settimane. Era la prima volta dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente che un imperatore romano non faceva visita alla Città Eterna. L’Imperatore fu ricevuto dal Santo Padre Vitaliano poco fuori dalla Città e per diversi giorni visitò varie chiese, pregando. Alla fine però, secondo Paolo Diacono e il Liber Pontificalis, l’Imperatore spogliò del suo bronzo il Pantheon, comportandosi in questo modo non certo meglio di un barbaro, dopodiché lasciò Roma, per stabilire la sua residenza a Siracusa, in Sicilia (Liber Pontificalis, Vita di Vitaliano). La scelta della sede di Siracusa come sede imperiale è stata vista dalla storiografia moderna come motivata da ragioni di carattere strategico: l’Imperatore voleva infatti contrastare l’espansionismo degli Arabi in Africa e la Sicilia, per la sua vicinanza, era proprio il luogo ideale per attuare tale politica (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 116). Ma in Africa Costante II non ebbe molto successo: infatti impose agli Africani sotto il suo dominio un secondo tributo, oltre a quelli che già dovevano pagare agli Arabi, ma di fronte al rifiuto dell’esarca d’Africa di seguire i suoi ordini, lo destituì. L’esarca destituito chiese allora aiuto agli Arabi, che invasero l’esarcato africano da cui si ritirarono con un gran bottino. Anche in Italia, Sicilia, Sardegna e Corsica, le tasse aumentarono molto, al punto che, secondo le enfatiche fonti dell’epoca (decisamente ostili all’Imperatore in questione e quindi tendenti all’esagerare i suoi misfatti), “le mogli furono separate dai mariti e i genitori dai figli” (Paolo Diacono, ibidem, V, 11).

Alla fine, di fronte al governo autocratico di Costante II, che nel 666 aveva proseguito la sua politica contro la Chiesa Romana concedendo alla Chiesa di Ravenna l’autocefalia (cioè l’indipendenza dal Papato), venne organizzata una rivolta in Sicilia: mentre l’Imperatore si faceva il bagno a Siracusa, un servo lo colpì alla testa, uccidendolo sul colpo. La rivolta era stata organizzata da un generale armeno, Mecezio, che si autoproclamò imperatore in Sicilia, venendo però deposto dalle truppe italiche fedeli al figlio di Costante, Costantino IV, forse condotte dall’Imperatore legittimo in persona.

IL RISTABILIMENTO DELLA CONCORDIA

Mosaico di Sant’Apollinare in Classe a Ravenna, rappresentante l’imperatore Costantino IV (centro), il figlio (il futuro imperatore Giustiniano II) e i fratelli Eraclio e Tiberio. Da sinistra a destra: Giustiniano II, i due fratelli di Costantino IV, Costantino IV, due arcivescovi di Ravenna e tre diaconi.

Nel 666 Costante II aveva colpito duramente la Chiesa Romana, concedendo all’arcivescovo di Ravenna l’autocefalia, ovvero l’indipendenza dal Papa. Tuttavia Costantino IV, il figlio, decise di cercare la riconciliazione con il papato. Tra il 676 e il 678 venne revocata l’autocefalia e nel 680 venne convocato il VI concilio ecumenico a Costantinopoli che condannò come eresia il monotelismo (cfr. Ravegnani 2004, ibidem, p. 117). In questo modo i rapporti tra Papato e Impero ritornarono sereni, anche se non mancarono occasionali dissidi.