Il primo periodo iconoclasta

IL SECONDO ASSEDIO ARABO DI COSTANTINOPOLI

A partire dalla prima detronizzazione di Giustiniano II nel 695, un prolungato periodo di instabilità interna colpì lo stato bizantino: in un periodo di poco più di vent’anni, si succedettero ben sette imperatori, tutti impossessatesi del potere con la violenza. Di questo ventennio di anarchia ne approfittarono gli Arabi per penetrare ancora più profondamente nell’Anatolia e per tentare di espugnare la stessa Costantinopoli. L’Imperatore Anastasio II, prevedendo l’assedio, fece riparare le fortificazioni di Costantinopoli, ma la flotta e l’esercito si rivoltarono proclamando imperatore Teodosio III e assediando Costantinopoli. Dopo che alcuni traditori aprirono le porte della capitale ai ribelli, Anastasio II fuggì a Nicea, dove fu assediato per alcuni mesi, finché non accettò di abdicare e farsi monaco. I temi degli Anatolici e degli Armeniaci, tuttavia, non accettarono Teodosio III come imperatore e si rivoltarono, sotto i generali Artavasde e Leone, il futuro Leone III. Nel 717 l’armata di Leone mise alle strette Teodosio III, costringendolo ad abdicare. Leone III fu proclamato nuovo imperatore. Nel frattempo gli Arabi, dopo aver conquistato la Cilicia, si accingerono ad assediare Costantinopoli. La capitale era in grosso pericolo.

L’assedio di Costantinopoli, tuttavia, fallì, principalmente per problemi logistici, in quanto le armate arabe stavano operando troppo lontano dalle loro basi in Siria; la superiorità della flotta bizantina e del fuoco greco, la resistenza delle fortificazioni di Costantinopoli e l’abilità diplomatica di Leone III furono altri fattori determinanti. La sopravvivenza della capitale bizantina preservò l’Impero come baluardo contro l’espansione islamica in Europa fino al XV secolo, allorquando Costantinopoli cadde per mano degli Ottomani. La vittoriosa difesa di Costantinopoli è stata messa in correlazione con la battaglia di Poitiers del 732 in quanto entrambe arrestarono l’espansione musulmana in Europa. Secondo lo storico militare Paul K. Davis:

“Respingendo l’invasione musulmana, l’Europa rimase in mani cristiane, e nessuna seria minaccia musulmana all’Europa esistette fino al XV secolo. Questa vittoria, coincidente con la vittoria dei franchi a Tours (732), limitò l’espansione dell’Islam in occidente al mondo mediterraneo meridionale”.

Per questi motivi gli storici militari spesso inseriscono il secondo assedio arabo di Costantinopoli del 717-718 negli elenchi delle “battaglie decisive” nella storia universale.

LEONE III: ICONOCLASTA O OPPORTUNISTA?

Durante il regno di Leone III una nuova controversia religiosa cominciò a travagliare l’Impero: la questione se le icone religiose andassero venerate o al contrario distrutte. Alcuni vescovi dell’Asia Minore, come Costantino di Nakoleia e Tommaso di Claudiopoli, ritenevano che le icone religiose dovessero essere distrutte in quanto venerate in maniera idolatra e perciò erano detti “iconoclasti” (“distruttori delle icone”).

Ricostruire cosa sia esattamente successo non è semplice, perché le uniche fonti superstiti sono quelle iconodule (cioè di autori che appoggiavano la venerazione delle icone) dato che, con il loro trionfo, gli scritti dei loro avversari iconoclasti furono distrutti (la storia la scrivono i vincitori). Secondo le fonti iconodule, Leone III sarebbe stato un convinto iconoclasta. Nel 726 o nel 730 avrebbe deciso di distruggere una icona religiosa presente nella porta del palazzo imperiale. Nel 730 avrebbe emanato un vero e proprio editto iconoclasta in cui avrebbe stabilito la distruzione delle icone religiose e il divieto di venerarle. Il patriarca di Costantinopoli Germano I sarebbe stato deposto e sostituito da Anastasio I per essersi opposto al decreto iconoclasta. La Chiesa di Roma, inoltre, avrebbe condannato l’iconoclastia in un concilio del 731 e Leone III, per ritorsione, avrebbe confiscato al Papato dei terreni e trasferito la giurisdizione ecclesiastica di Italia Meridionale e Illirico da quella del Papa a quella del patriarca di Costantinopoli. Il cronista Giorgio Monaco accusò Leone III di aver dato fuoco di notte a una scuola ecumenica piena di libri, con insegnanti e allievi dentro, per punirli per aver rifiutato con orrore le tesi iconoclastiche.

Alcuni studiosi revisionisti, come Haldon e Brubaker, hanno messo in forte dubbio il fatto che Leone III fosse stato un iconoclasta convinto. La versione iconodula dei fatti infatti contrasta con la versione fornita da altre fonti superstiti, che non fanno cenno a presunte posizioni iconoclaste assunte dall’Imperatore. Ad esempio una lettera di Germano I a Tommaso di Claudiopoli, datata dopo il presunto editto del 730, non fa cenno a presunte persecuzioni imperiali e anzi definisce Leone III un amico delle immagini. Questa lettera è in netta contraddizione con le fonti iconodule, secondo le quali Germano I considerava Leone III un imperatore empio perché iconoclasta, e si oppose in ogni modo alla distruzione delle icone finché non fu deposto nel 730. Inoltre un sermone del 750 di Giovanni Damasceno non include Leone III nell’elenco degli imperatori eretici, e ciò appare strano perché Giovanni Damasceno non era di certo iconoclasta. Le fonti armene e siriane, nella loro trattazione del regno di Leone III, non fanno il minimo cenno alla sua presunta iconoclastia. A contraddire le fonti iconodule è inoltre la testimonianza di un pellegrino occidentale che visitò Costantinopoli nel 727-729: nel resoconto del suo viaggio è assente ogni riferimento ad alcuna persecuzione di massa o rimozione di icone.

Secondo Haldon e Brubaker, sarebbe più corretto definire Leone III un “opportunista” piuttosto che un “iconoclasta”. Probabilmente l’Imperatore tentò di mediare tra le due parti contrapposte, iconoclasti e iconoduli, e non è da escludere che le abbia obbligate entrambe al silenzio in attesa di un concilio ecumenico. E’ possibile che l’Imperatore abbia fatto rimuovere alcune immagini, probabilmente dai luoghi più in vista, ma non vi sono evidenze che la rimozione fu sistematica; e nemmeno le monete fatte coniare dall’Imperatore danno evidenze di iconoclastia. Le fonti posteriori iconodule potrebbero aver voluto calunniare Leone III, rappresentandolo come empio imperatore iconoclasta, semplicemente perché padre di Costantino V, acerrimo persecutore degli iconoduli. Più probabilmente, Leone III non era né iconodulo né iconoclasta ma tentò di mediare tra le due parti in conflitto, prendendo moderati provvedimenti in favore degli iconoclasti, ma senza emanare alcun editto iconoclasta. Haldon e Brubaker concludono con le seguenti affermazioni:

“Fatta eccezione per la sua (presunta) critica iniziale della presenza delle immagini in certi luoghi pubblici, dunque non vi è solida evidenza per ogni attivo coinvolgimento imperiale nella questione delle immagini. Al contrario, la critica di Leone, o una discussione tra il clero negli anni 720, risultò in un dibattito nella Chiesa che generò una tendenza […] critica nei confronti delle immagini, ma è difficile concludere che ciò rappresenti una “politica iconoclasta” imperiale. La completa assenza di ogni concreta evidenza di persecuzioni imperiali o distruzioni di immagini, fatta eccezione per la destituzione di Germano […], le prolungate buone relazioni con il papato, e la totale assenza di ogni critica papale a parte le iniziali ansie espresse all’inizio degli anni 730, permette di escluderlo. Su queste basi, sarebbe ragionevole concludere che l’Imperatore Leone III non fu un “iconoclasta” nel senso imposto dalla tarda tradizione iconofila e accettato da molta della storiografia moderna.”

COSTANTINO V E IL CONCILIO DI HIERIA

L’Asia Minore intorno al 740.

Leone III morì nel 741. Gli succedette il figlio Costantino V, che tuttavia dovette fronteggiare un tentativo di usurpazione da parte del cognato Artavasde. Secondo le fonti iconodule Artavasde avrebbe tentato di restaurare il culto delle icone ma l’attendibilità di tale notizia è stata contestata da alcuni studiosi. Comunque Costantino V riuscì a vincere l’usurpatore e a mettere al sicuro il trono. Sotto il suo regno furono conseguiti alcuni limitati successi militari contro Arabi e Bulgari, che tuttavia non portarono a conquiste durature. Costantino V restaurò numerose opere pubbliche e ripopolò Costantinopoli dopo che era stata colpita da un’epidemia di peste.

In politica religiosa Costantino V fu un iconoclasta convinto, al contrario del padre che aveva assunto probabilmente una posizione moderata, tendente ad accontentare in parte i vescovi iconoclasti senza però emanare un vero e proprio editto proibente la venerazione delle icone. Nei suoi scritti teologici l’Imperatore spiegò i motivi per cui considerava eretica la venerazione delle icone. Nelle Πεύσεις (Le questioni) Costantino V sostenne che, a suo dire, gli adoratori delle immagini cadrebbero nell’eresia perché dipingendo l’immagine di Cristo rappresenterebbero solo la sua natura umana, ricadendo nell’errore dei Nestoriani; di conseguenza poiché le due nature di Cristo non possono essere rappresentate insieme in un’immagine, le immagini sacre vanno distrutte perché eretiche.

Nel 754 Costantino V convocò un concilio a Hieria che condannò esplicitamente il culto delle immagini. In seguito al concilio le immagini religiose nelle chiese vennero distrutte, sostituite con altre profane, come scene di caccia e corse dei carri. Il Papato condannò l’iconoclastia ritenendola un’eresia e si rifiutò di riconoscere la validità del Concilio di Hieria. Nel 769 un concilio papale condannò esplicitamente la distruzione delle icone religiose. Potrebbe essere stato proprio Costantino V, e non Leone III, a vendicarsi dell’opposizione del Papato togliendogli la giurisdizione ecclesiastica sull’Italia Meridionale e sull’Illirico, trasferiti sotto l’egida del Patriarca di Costantinopoli.

Intorno agli anni 760 iniziò una vera e propria persecuzione nei confronti degli ordini religiosi, ovvero i monaci, rei di opporsi alla sua politica iconoclastica. Molti monasteri e possedimenti monastici vennero confiscati, chiusi e trasformati in stalle, stabilimenti termali o caserme. La persecuzione dei monaci fu indiscriminata e colpì anche i monaci non iconoduli: in questo modo la lotta contro le immagini si fuse con la lotta contro la potenza monastica e i suoi possedimenti, che venivano confiscati e incamerati dallo stato.

IL CONCILIO DI NICEA II

Costantino V morì nel 775 e gli succedette suo figlio Leone IV che regnò solo per cinque anni. Leone IV, forse a causa dell’influenza della moglie Irene (che era iconodula), sospese le persecuzioni ai danni dei monaci e adottò una politica iconoclasta moderata. Nel 780, tuttavia, riavviò le persecuzioni contro gli iconoduli, anche se in misura molto moderata, e al contempo ebbe una crisi coniugale con la moglie dopo aver scoperto che alcuni funzionari le avevano portato delle icone da venerare. Morì apparentemente per un malore l’8 settembre 780, in circostanze sospette (non è da escludere la possibilità che fosse stato avvelenato da iconoduli, forse con la complicità della moglie Irene). Gli succedette il figlio minorenne Costantino VI, già associato al trono nel 776, sotto la reggenza dell’iconodula Irene.

Nel 784 Irene diede inizio al suo piano per ripristinare il culto delle immagini, sostituendo il patriarca di Costantinopoli Paolo (iconoclasta) con uno iconodulo, Tarasio. Il nuovo patriarca allestì immediatamente i preparativi per un concilio volto a condannare l’iconoclastia. Esso si sarebbe dovuto tenere il 31 luglio 786, ma fu sospeso per l’irruzione di truppe iconoclaste che ne rese impossibile lo svolgimento. Irene non si diede per vinta e, con il pretesto di una guerra contro gli Arabi, inviò le truppe iconoclaste in Asia Minore in modo che non potessero più rovinare i suoi piani, mentre trasferì nella capitale quelle iconodule. Nel 787 dunque si tenne il settimo Concilio Ecumenico a Nicea, che condannò l’iconoclastia ripristinando il culto delle icone.

La condanna dell’Iconoclastia, tuttavia, non cancellò i conflitti con il Papato. La richiesta di Papa Adriano I di restituirgli la giurisdizione su Italia Meridionale e Illirico non fu nemmeno presa in considerazione, e questo non contribuì di certo a un riavvicinamento tra Papa e Imperatore. Per giunta il re dei Franchi Carlo Magno, complice anche la lettura di una traduzione scadente dal greco al latino degli atti del concilio di Nicea II, si era convinto che i “Greci”, con il Concilio di Nicea II, fossero passati all’errore opposto, rendendo lecita e auspicabile un’eccessiva venerazione delle immagini. Secondo Carlo Magno le icone non dovevano essere né distrutte né venerate e nei Libri Carolini si scagliò contro le deliberazioni del Concilio di Nicea II. Del resto Carlo Magno aveva anche la necessità di riaffermare l’indipendenza religiosa del Regno dei Franchi da Bisanzio. Nel 794 Carlo Magno convocò un sinodo a Francoforte che condannò il culto delle icone ripristinato con il Concilio di Nicea II, pur condannando al contempo anche l’iconoclastia. Occidente e Oriente erano ormai divisi, e lo provò la successiva incoronazione di Carlo Magno a Imperatore dei Romani nel natale 800, che diede avvio al cosiddetto “problema dei due imperatori”. Ma questo sarà argomento di un altro articolo.