La rivolta di Nika

LE FAZIONI DELL’IPPODROMO

Corsa con le bighe nell’Antica Roma.

Nell’Antica Roma, come anche a Costantinopoli, si correvano all’ippodromo delle corse con le bighe. Concorrevano dieci, venti o quaranta cocchi e il vincitore della corsa riceveva una corona di alloro e l’onore di vedere le proprie gesta agonistiche cantate in componimenti lirici. I corridori erano comunque di condizione servile, seppur molto ben pagati, perché i senatori di alto rango ritenevano disonorevole concorrere di persona a simili gare. In origine la gara riguardava due soli cocchi, e i due concorrenti in gara erano distinti dal colore diverso della divisa da corsa: l’una rossa e l’altra bianca. In seguito furono aggiunti altri due cocchi, distinti dai colori verde e azzurro, e fu stabilito che in una singola giornata si dovessero tenere ben venticinque corse con i cocchi. Furono stabilite così ben quattro fazioni concorrenti alle corse, i Verdi (anche detti Prasini), gli Azzurri (anche detti Veneti), i Bianchi e i Rossi. Vi era chi pensava che il Verde corrispondeva alla terra e l’Azzurro al mare e  che le vittorie dei Verdi annunciassero un raccolto abbondante e i trionfi degli Azzurri una navigazione tranquilla. Avvenivano anche risse o scontri violenti tra le diverse fazioni dell’Ippodromo, in particolare Verdi e Azzurri, spesso protetti o sfavoriti dall’autorità politica: il re ostrogoto Teodorico dovette prendere le difese dei Verdi contro un console e patrizio che favoriva gli Azzurri.

Sotto il regno di suo zio Giustino I (518-527), Giustiniano garantì l’immunità da pressoché ogni crimine alla fazione dell’Ippodromo degli Azzurri (anche detti Veneti) per assicurarsi il loro supporto. Secondo il capitolo 31 del libro IV della Storia Ecclesiastica di Evagrio:

«Debbo dire di altro fatto di Giustiniano, il quale non so indicare se dalla viziosa sua natura, o da timore e spavento nascesse. Questo fatto ebbe il suo principio da quella sedizione popolare, che si chiamò Nika, cioè Vinci. Piacque sì fortemente a Giustiniano favorire la fazione di quelli, che diconsi Veneti, che costoro potevano impunemente trucidare in pien meriggio, e in mezzo alla città, i loro avversari; e non solamente non temendo per ciò le pene dovute a tali delitti, ma standosi anzi sicuri di ottenere onori: d’onde venne che furonvi molti omicidii. A costoro era fatto lecito entrare violentemente nelle altrui case, rapire i tesori in esse nascosti, vendere alle persone la loro stessa salvezza e vita e se alcun magistrato cercasse frenarli, egli per quel fatto chiamava sopra il suo capo la sua rovina. E così accadde a certo personaggio, il quale era stato magistrato in Oriente: chi avendo voluto castigare, facendo loro dare la frusta, alcuni di coloro, che a queste novità applicavansi, onde meglio in appresso si conducessero, fu per tutta la città strascinato e frustato egli medesimo gravissimamente. Callinico poi prefetto della Cilicia, perché due Cilici, Paolo e Faustino di nome, entrambi omicidi, i quali lui avevano assaltato e tentato d’uccidere, punì a tenor delle leggi, fu pubblicamente crocifisso; e s’ebbe un tale supplizio in mercede della sua buona coscienza, e di avere osservata la legge. Da queste cose nacque che quelli, i quali erano dell’altra fazione, fuggironsi dai loro domicili, né trovarono ricovero presso alcuno. Così che cacciati da tutti come malfattori, incominciarono poi a darsi alla strada, ad assaltare i viandanti e a derubarli, e ad assassinarli: a segno tale che tutti i luoghi furono pieni di morti immature, di latrocini e di simili misfatti. Altre volte Giustiniano mutata affezione e parte, uccise gli uomini che prima aveva favoriti, e diede in potere delle leggi anche coloro, ai quali aveva per lo innanzi all’uso dei Barbari permesso di commettere nelle città ogni empio delitto. Ma per esporre in particolare queste cose né ho tempo conveniente, né forza; e quanto ne dissi potrà bastare per vedere tutti gli altri suoi misfatti.»

Una volta insediatosi al trono (527), tuttavia, l’imperatore Giustiniano prese rigorose misure per reprimere con imparzialità ogni disordine di ambedue le fazioni, revocando l’immunità fino a quel momento garantita agli Azzurri.

LA RIVOLTA DI NIKA (532)

Nel gennaio 532 scoppiò una grave insurrezione a Costantinopoli che per poco non costò il trono e la vita allo stesso Giustiniano. Di seguito verrà riportata la cagione della rivolta. In seguito a un tumulto erano state arrestate diverse persone appartenenti ad ambedue le fazioni e il praefectus urbi Eudemone giudicò sette di essi rei di omicidio condannandone quattro alla decapitazione e tre all’impiccagione. Ma a causa di un pasticcio del boia impiccatore due degli impiccati, un verde e un azzurro, caddero al suolo ancora vivi e furono portati in salvo su un’imbarcazione nella chiesa di San Lorenzo dai monaci di San Conone. Il prefetto inviò immediatamente dei soldati a circondare la Chiesa in modo da arrestarli nel caso i due uscissero. Tre giorni dopo, di martedì, cadevano le Idi di gennaio (13 gennaio 532), e per celebrarle si tennero nell’Ippodromo corse di cavalli alla presenza dell’Imperatore. In tal frangente ambedue le fazioni importunarono l’imperatore chiedendo la grazia per i due criminali rifugiatisi in Chiesa. L’imperatore non fornì alcuna risposta e di conseguenza alla ventiduesima corsa gli spettatori di ambedue le fazioni, al grido “Lunga vita ai Verdi e agli Azzurri”, decisero di agire in concerto per costringere il governo a concedere la grazia. Alla fine della corsa scoppiò una grave insurrezione, la rivolta di Nika, dal motto dei rivoltosi, “Nika” (“Vinci”). I ribelli si radunarono quella stessa sera al Praetorium per chiedere al Praefectus Urbi se fosse ancora intenzionato a condannare a morte i due criminali rifugiatisi in Chiesa. Non avendo ricevuto risposta, i ribelli irruppero in prigione, liberarono i criminali lì rinchiusi, e diedero fuoco all’edificio. Esaltati dal successo si diressero verso l’Augusteum compiendo altri atti incendiari lungo il tragitto, che danneggiarono gravemente l’ingresso al Gran Palazzo, l’edificio del Senato e la Chiesa di Santa Sofia.

Un concorrente alle corse con le bighe.

Il giorno successivo (mercoledì 14 gennaio 532) l’Imperatore ordinò lo svolgimento di nuove corse, ma gli Azzurri e i Verdi non erano esattamente nell’umore giusto. Essi continuarono la rivolta dando alle fiamme agli edifici in prossimità dell’Ippodromo, e nella conflagrazione risultarono distrutte le terme di Zeusippo con il portico dell’Augusteum. I ribelli ora non pretendevano più la grazia per i due criminali ma la destituzione di tre ministri impopolari, il praefectus urbi Eudemone, il quaestor Triboniano e il prefetto del pretorio d’Oriente Giovanni di Cappadocia. Infatti alle fazioni dell’ippodromo si erano uniti quei contadini provenienti dalle province che erano stati ridotti in miseria dall’amministrazione fiscale di Giovanni di Cappadocia e provavano un profondo risentimento nei confronti dell’imperatore e dei suoi ministri, e chiedevano la destituzione di coloro che li avevano ridotti in miseria. Giustiniano li accontentò destituendoli e assumendo al loro posto Trifone come prefetto della città, Basilide questore e Foca prefetto del pretorio d’Oriente. Questo tuttavia non fu sufficiente a placare la rivolta in quanto la classe senatoriale non vedeva di buon occhio la politica di Giustiniano di governare indipendentemente dal Senato e dal Concilio Imperiale e decisero di sfruttare la rivolta per rovesciare Giustiniano e porre sul trono uno dei nipoti dell’imperatore Anastasio, cioè Pompeo e Ipazio. Il problema era che Pompeo e Ipazio erano in quel momento nel Palazzo con Giustiniano. I ribelli decisero allora di proclamare imperatore Probo, e si diresse a casa sua ma non lo trovarono perché nel frattempo se l’era data a gambe levate non volendo compromettersi con i ribelli. Per rappresaglia i ribelli incendiarono la sua casa.

Giustiniano si trovava in una situazione critica. Le guardie di palazzo, le Scholae e gli Excubitores erano restii a intervenire in suo favore, e decisero di attendere lo sviluppo della situazione. Fortunatamente per l’imperatore nella capitale erano in quel momento presenti due generali fedeli e di esperienza, Belisario e Mundo, con le truppe al loro seguito. Belisario disponeva si molti bucellarii, principalmente Goti. Mundo era alla testa di un’armata di Eruli. Le forze a disposizione dell’imperatore raggiungevano a stento i 1500 soldati. Giovedì 15 gennaio 532 Belisario, alla testa di un esercito di Goti e di Eruli, tentò di reprimere la rivolta attaccando i ribelli nei pressi dell’Augusteum, ma i soldati a sua disposizione erano in numero troppo esiguo per conseguire una vittoria decisiva, e l’attacco ebbe il solo effetto di esasperare ulteriormente la popolazione.

Nei due giorni successivi si ebbero ulteriori scontri per le strade e altri incendi. Venerdì la folla diede di nuovo fuoco al Praetorium e anche alle Terme di Alessandro, e il vento fece propagare l’incendio danneggiando l’ospizio di Eubulo, la Chiesa di Santa Irene e l’ospizio di Sampson. Il sabato vi furono ulteriori scontri per le strade. I ribelli avevano occupato l’Ottagono, un edificio prossimo alla Basilica, e i soldati lo incendiarono. Il vento propagò l’incendio che distrusse la Chiesa di San Teodoro Sforacio e il palazzo di Lauso, andato distrutto con tutti i suoi tesori, nonché i colonnati e la Chiesa di Santa Aquilina.

Gli scontri si erano avvicinati al palazzo imperiale, mettendo in grande allarme Giustiniano, che non si poteva fidare delle sue guardie, e sospettava inoltre del tradimento di molti dei senatori che lo circondavano. Appunto temendo il loro tradimento, ordinò loro di lasciare il palazzo nella notte tra sabato e domenica, ad eccezione di alcuni di provata lealtà, come Giovanni di Cappadocia. I principati indiziati per il tradimento erano Ipazio e Pompeo, nipoti dell’imperatore Anastasio, ma Giustiniano commise l’errore di cacciarli dal palazzo.

Il giorno successivo, domenica 18 gennaio 532, l’Imperatore tentò di negoziare di persona con i ribelli, recandosi all’Ippodromo e giurando sui Vangeli di fronte alla folla che avrebbe concesso un’amnistia senza riserve e avrebbe acconsentito a tutte le loro richieste. Ma la folla non gli credette e gli diede dello spergiuro, rammentandogli la questione di Vitaliano. Nel frattempo, essendosi diffusa la notizia che i nipoti di Anastasio avevano lasciato il palazzo, i ribelli si recarono a casa di Ipazio e lo costrinsero suo malgrado ad accettare la porpora. Lo portarono al Foro di Costantino dove fu incoronato imperatore. In una riunione tra l’usurpatore Ipazio e i senatori che appoggiavano la sua causa fu discusso se assaltare immediatamente il Gran Palazzo. Alla fine la proposta fu accettata e l’usurpatore si recò all’Ippodromo acclamato dalla popolazione lì raccolta che lanciò insulti rivolti a Giustiniano e Teodora. Nel frattempo al Gran Palazzo si tenne un’altra riunione. L’imperatore e molti suoi consiglieri, ritenendo ormai la situazione disperata, erano propensi a fuggire via mare a Heraclea, destinazione proposta da Giovanni di Cappadocia. L’imperatrice Teodora tuttavia si oppose alla fuga affermando di preferire la morte a una fuga ignominiosa. Il discorso di Teodora fece cambiare idea a Giustiniano e ai suoi consiglieri e fu deciso di continuare a combattere e a resistere. Nel frattempo nell’ippodromo si era diffusa la falsa voce che l’imperatore legittimo fosse già fuggito. Ipazio, ancora dubbioso delle sue speranze di successo, aveva inviato segretamente un messaggio al Gran Palazzo, in cui consigliava a Giustiniano di attaccare la popolazione radunata nell’Ippodromo. Il messaggero Ephraem consegnò il messaggio al segretario imperiale Tommaso che lo informò falsamente che Giustiniano fosse già fuggito. Ephraem comunicò la falsa notizia all’Ippodromo, e Ipazio si illuse che il posto di imperatore fosse ormai assicurato.

Giustiniano inviò nel frattempo l’eunuco Narsete con del denaro per corrompere gli Azzurri spingendoli ad abbandonare la ribellione in cambio di denaro. Narsete riuscì nella missione anche a causa delle sue argomentazioni: insinuò che Ipazio, come suo zio Anastasio, avrebbe protetto i loro rivali, i Verdi, e rammentò il favore goduto in passato per opera di Giustiniano. Gli Azzurri abbandonarono dunque la causa dei ribelli mentre Belisario e Mundo si preparavano all’attacco. Questo è il racconto di Procopio:

«Quando Ipazio raggiunse l’Ippodromo, […] si mise sul trono imperiale da cui l’imperatore solitamente osserva le gare ippiche ed atletiche. Mundo uscì dal Palazzo tramite la porta che […] è chiamata la Chiocciola. Belisario nel frattempo cominciò inizialmente ad andare diritto verso Ipazio stesso ed il trono imperiale, quando, però, raggiunse l’edificio contiguo in cui […] risiede un corpo di guardia, cominciò a gridare ai soldati comandando loro di aprirgli la porta il più rapidamente possibile, affinché potesse andare contro il tiranno. Ma […] finsero di non sentire e così lo lasciarono fuori. Pertanto Belisario ritornò dall’imperatore e dichiarò che […] i soldati che custodivano il Palazzo […] erano in rivolta contro di lui. L’imperatore quindi gli comandò d’andare alla cosiddetta Porta di Bronzo ed ai propilei che si trovano là. Così Belisario, […] attraversando luoghi coperti dalle rovine e costruzioni semi-bruciate, arrivò all’Ippodromo. Quando raggiunse il Portico degli Azzurri […], decise per prima cosa d’avanzare contro Ipazio stesso; ma poiché c’era una porticina là che era stata chiusa ed era custodita dai soldati di Ipazio che erano all’interno, temette che la folla piombasse su di lui mentre stava lottando in uno spazio stretto, e dopo avere distrutto sia lui sia tutti i suoi uomini, procedesse con minor difficoltà e più sicurezza contro l’imperatore. Decise, quindi, di andare contro la […] gran folla che s’era ammassata in gran disordine: […] avendo comandato agli altri di fare lo stesso, gridando si scagliò contro di quelli. Il popolino, […] alla vista dei soldati corazzati che avevano una gran reputazione di coraggio e d’esperienza in guerra, […] batté in ritirata. […] Mundo […] era desideroso di associarsi alla lotta[…]; […] immediatamente entrò nell’Ippodromo attraverso l’entrata che è chiamata la Porta della Morte. Allora effettivamente i partigiani di Ipazio furono assaliti da entrambi i lati con forza ed annientati. Quando la disfatta fu completa e già c’era stato un grande massacro di popolani, Boraide e Giusto, nipoti dell’imperatore Giustiniano, […] trascinarono Ipazio giù dal trono e, portatolo dentro, lo consegnarono all’imperatore insieme a Pompeo. Quel giorno tra i popolani morirono più di trentamila persone. L’imperatore ordinò che i due prigionieri fossero messi sotto stretta sorveglianza. […] Entrambi furono uccisi il giorno seguente dai soldati che gettarono i loro corpi in mare. […] Questa fu la conclusione dell’insurrezione a Bisanzio.»

Giustiniano ebbe così salva la vita e il trono ma al costo del massacro di circa 30.000 persone. Per assicurarsi che simili avvenimenti non si verificassero più l’Imperatore prese severe misure per stroncare ogni opposizione da parte del ceto senatoriale. Diciotto senatori coinvolti nella cospirazione furono puniti con la confisca dei beni e l’esilio, anche se in seguito Giustiniano decise di perdonarli e restituì loro almeno parte dei beni confiscati. Giustiniano riuscì a mantenere l’ordine ed eventuali disordini da parte delle fazioni dell’Ippodromo furono stroncati sul nascere.

LA RICOSTRUZIONE

La Basilica di Santa Sofia.

Nel frattempo però molti edifici erano stati dati alle fiamme dai ribelli, e l’Imperatore provvedette alla loro ricostruzione. Giustiniano vide in quella calamità un’opportunità per rendere ancora più sfarzosa la capitale, e stabilì che la ricostruita Basilica di Santa Sofia sarebbe stata la meraviglia del mondo. La nuova ricostruita Chiesa fu progettata da Antemio di Tralles, con Isidoro di Mileto come suo assistente. Il grandioso edificio fu completato nel 537, e il 26 dicembre di quell’anno fu inaugurato dall’Imperatore e dal patriarca di Costantinopoli Mena. Ma Antemio non si era premurato di rinforzare adeguatamente il sostegno alla cupola, e così vent’anni dopo la sua inaugurazione, nel maggio 558 la cupola collassò sotto il suo stesso peso. I lavori di ricostruzione furono affidati a Isidoro il giovane e nel 562 i lavori furono completati. Nel dicembre 562 la Basilica di Santa Sofia fu inaugurata per la seconda volta. L’evento fu celebrato dai versi di Paolo Silenziario.

Oltre a Santa Sofia Giustiniano fece ricostruire o restaurare altre chiese ed edifici secolari distrutti o danneggiati dalla rivolta di Nika, come la sede del Senato, le terme di Zeusippo, i portici dell’Augusteum e le parti adiacenti del Palazzo. L’attività edilizia di Giustiniano rese Costantinopoli splendida come mai era stata in precedenza.

Nel frattempo l’Imperatore decise di avviare le sue campagne di riconquista dell’Occidente romano, di cui se ne parlerà in seguito.