Una caduta senza rumore

UN NUOVO ORDINE

 

I Vandali saccheggiano Roma nel 455.

Ucciso Valentiniano, Petronio Massimo si proclamò Imperatore. Per legittimare il trono, sposò la figlia di Valentiniano, Eudossia. Fu un errore. In base al trattato del 442, infatti, Eudossia era stata promessa in sposa a Unerico, figlio di Genserico. Il fatto che ora Eudossia sposava un altro non poteva che mandare su tutte le furie Genserico, a cui ovviamente un matrimonio tra suo figlio e una principessa romana non poteva che fargli piacere. Genserico quindi inviò per rappresaglia una flotta a saccheggiare la Città Eterna. Quando vide i barbari arrivare, Petronio Massimo:

“fu preso dal panico, montò a cavallo e scappò. La guardia imperiale e tutti gli uomini liberi che lo circondavano e nei quali riponeva fiducia lo abbandonarono, e quelli che lo videro partire lo insultarono per la sua codardia. Mentre stava per lasciare la città però qualcuno gli lanciò un sasso e lo colpì alla tempia, uccidendolo.”

Era il 31 maggio 455. Roma venne saccheggiata per la seconda volta, questa volta dai Vandali, e per quattordici giorni. Essi tornarono a Cartagine carichi di bottino e di molti illustri ostaggi come la vedova e le figlie di Valentiniano e il figlio di Ezio.

Prima della sua tragica fine, Petronio aveva inviato in Gallia il generale Avito per stringere una alleanza con i Visigoti. Finora i Visigoti erano stati sì alleati ma di secondo piano e non avevano rivestito un grande ruolo negli affari dell’Impero. Ora invece, con il cambio di regime, veniva data questa nuova opportunità. Non potendo più contare sugli Unni per combatterli, l’Impero doveva ora coinvolgere i Barbari negli affari dell’Impero, cosa che avrebbe avuto presto un prezzo da pagare. Quando Avito seppe, mentre era ancora alla Corte dei Visigoti, dell’uccisione di Petronio Massimo, decise di approfittarne per diventare egli stesso imperatore. Ottenuto il sostegno dei Visigoti, Avito scese in Italia e grazie alle forze messegli a disposizione dai Visigoti riuscì a farsi riconoscere Imperatore.

Per la prima volta i Visigoti erano intervenuti in modo decisivo in una lotta per la successione. Ora anche loro giocavano un ruolo politico di primaria importanza all’interno dell’Impero. Ciò però provocava l’aumento del numero di forze in gioco che influivano sulla successione con conseguente aumento del rischio di instabilità politica (con conseguenti rivolte) nel caso queste forze in gioco non si fossero messe tutte d’accordo sulla scelta di un successore. “L’incorporazione di nuovi interessi a questo campo di forze poteva trascinare per secoli la ricerca di una soluzione stabile”. Non va dimenticato che i nuovi gruppi barbari volevano qualcosa in cambio e non era infrequente il caso che il nuovo imperatore per ottenere il riconoscimento da Visigoti e Burgundi dovesse cedere loro determinate città.

I Burgundi si stavano espandendo nella Valle del Rodano. I Vandali, intorno al 455, avevano conquistato le Mauritanie, la Tripolitania, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Gli Svevi saccheggiavano la Tarraconense. La situazione dell’Impero sembrava disperata. Avito cercò di risolvere questi problemi e riuscì ad ottenere un’effimera vittoria navale sui Vandali nelle acque della Corsica. Per quanto riguarda la Spagna, Avito e il re visigoto Teodorico II inviarono un ambasceria presso il re svevo Rechiaro, ma senza ottenere risultati; anzi Rechiaro sembrava determinato ad attaccare la Tarraconense, che sembra non fosse più infestata da Bagaudi dopo la vittoriosa campagna del visigoto Federico. Quando mise in pratica la sua minaccia, Avito inviò l’esercito federato visigoto contro gli Svevi. I Federati visigoti, con la collaborazione di un contingente burgundo, sconfissero gli Svevi presso Astorga (5 ottobre 456), costringendo re Rechiaro a fuggire a Oporto, mentre i Visigoti invasero la Galizia mettendo a sacco la capitale Braga. Rechiaro fu catturato e giustiziato insieme a molti svevi arresosi ai Visigoti: era finita la supremazia sveva nella penisola iberica e cominciata piuttosto l’ascesa del potere visigoto in Spagna.

Nel 456, approfittando del fatto che i Visigoti fossero in Spagna a combattere gli Svevi, i generali Ricimero e Maggioriano rovesciarono Avito. Il nuovo imperatore Maggioriano, salito al trono nel 457 dopo una lunga e vana attesa del riconoscimento da parte dell’Imperatore d’Oriente Leone I, non fu però riconosciuto da Visigoti, Burgundi e dalle città di Narbona e Lione, cosicché dovette marciare in Gallia per costringerli a riconoscere la sua autorità e ricondurli all’obbedienza. Prima però si curò della sicurezza dell’Italia respingendo un incursione vandala in Campania e una alamanna in Rezia. Dopo aver reso sicuro lo “stivale”, si recò in Gallia per sedare le varie rivolte, non prima però di aver reclutato nel suo esercito ingenti quantità di foederati barbari e di aver ricostituito le flotte di Miseno e di Ravenna. Oltrepassate le Alpi, Maggioriano represse la rivolta di un certo Marcello a Narbona, mentre nel frattempo il generale di sua fiducia Egidio, nominato magister militum per Gallias in sostituzione di Agrippino, aveva sconfitto i Burgundi e riconquistato Lione. Sembrerebbe tuttavia che Maggioriano, se riuscì a riconquistare Lione, dovette riconoscere ai Burgundi il possesso delle altre città da essi sottratte al governo centrale negli ultimi tempi in cambio della loro alleanza come Foederati. Egidio e Maggioriano sconfissero poi nel 459 i Visigoti presso Narbona, ponendo fine alla loro rivolta.

Campagne militari dell’Imperatore Maggioriano (457-461).

Riportato l’ordine in Gallia, Maggioriano poté dunque concentrarsi alla lotta contro i Vandali: decise quindi di attraversare la Spagna per sbarcare in Africa e strapparla ai Vandali. Nel maggio del 460 varcò i Pirenei e ordinò che venisse allestita una gigantesca flotta nei porti della Spagna per sbarcare in Africa. Genserico, impaurito, avvelenò persino i pozzi della Mauritania per ostacolare l’avanzata di Maggioriano e, soprattutto, inviò dei pirati vandali che incendiarono la flotta romana. Sconsolato, Maggioriano dovette rinunciare alla spedizione ma, ritornato in Italia, venne deposto e ucciso da Ricimero presso Tortona (461).

Iniziò quindi la serie degli “Imperatori fantoccio” manovrati da dietro le quinte da Ricimero, un generale di origini barbariche di nobili origini (suo nonno paterno era addirittura il re dei Goti Vallia ma era imparentato anche con i Burgundi). Nel 461 Ricimero nominò imperatore fantoccio Libio Severo, una figura scialba e debole, interamente in suo potere. Ma i generali della Gallia (a nord della Loira)  e dell’Illirico, rispettivamente Egidio e Marcellino, non riconobbero il nuovo imperatore e secedettero dall’Impero. Come se non bastasse Libio Severo non fu riconosciuto nemmeno dall’Impero romano d’Oriente. La situazione per l’Impero era critica: l’esercito romano sulla Loira di Egidio, nel frattempo diventato anche re dei Franchi e dunque avente a disposizione anche le truppe franche, si era rivoltato e minacciava la Gallia, mentre le truppe romane in Spagna erano sotto il controllo del re visigoto Teodorico; le truppe italiche erano impegnate a respingere un invasione alana, con il risultato che per respingere gli attacchi di Egidio l’unica possibilità era chiedere aiuto a Visigoti e/o Burgundi. Per ottenere il sostegno visigoto contro Egidio, Severo fu costretto a consegnare ai Visigoti Narbona (462). Questo chiaramente non fece che peggiorare la situazione strategica, allorché le truppe imperiali non potevano più spostarsi direttamente in Spagna senza attraversare il territorio visigoto; conseguentemente, o bisognava concedere ai Goti dei privilegi per ottenere la loro autorizzazione a concedere ai Romani il passaggio, o le operazioni belliche in Spagna sarebbero spettate ai Goti stessi; l’ultima possibilità ovviamente aveva il rischio che i Visigoti approfittassero della situazione per impadronirsi del controllo della Spagna a scapito dell’Imperatore. Inoltre ciò intralciava anche la possibilità di intervenire in Nord Africa; da ora in poi l’intervento militare in Africa sarebbe stato possibile solo via mare. Purtroppo questa era la triste scelta per ottenere l’appoggio visigoto contro il generale ribelle. Al posto di Egidio, fu eletto magister militum per Gallias il re dei Burgundi, Gundioco, che si imparentò con Ricimero, sposando la sorella di lui; gli fu concesso di espandere il suo regno nella Valle del Rodano e gli fu consegnata la città di Lione. Ma tutte queste concessioni non bastarono per vincere Egidio: i Goti furono sconfitti da Egidio e i suoi alleati/sudditi Franchi presso Orleans, e come se non bastasse Egidio cercò un alleanza con Genserico, re dei Vandali, contro l’Imperatore. L’anno dopo, tuttavia, Egidio fu ucciso, forse in un imboscata, forse per avvelenamento. Il suo successore sul trono dei Franchi fu Childerico.

Come se non bastasse Gelimero, nel tentativo di forzare Ricimero a deporre Libio Severo e nominare imperatore il candidato dei Vandali Olibrio (con cui era “imparentato” essendo Olibrio il cognato di Eudocia, moglie di Unerico, figlio di Genserico; il re vandalo voleva imporre sul trono romano un proprio “parente” acquisito, seppur lontano), continuava a devastare ogni anno le coste della Sicilia e dell’Italia Meridionale senza trovare opposizioni, giacché l’Impero romano d’Occidente a questo punto del proprio declino era privo di una propria flotta. L’unica possibilità rimasta per difendersi dai Vandali era cercare e ottenere l’aiuto della parte orientale, ma il problema era che Costantinopoli considerava Libio Severo un “usurpatore”, per cui non era disposta ad assistere l’Impero d’Occidente contro i Vandali fintanto l'”usurpatore” Libio Severo non fosse stato sostituito da un imperatore riconosciuto come legittimo dalla corte orientale. Per tale motivo aveva negato di prestare la propria flotta alla pars occidentis contro i Vandali, adducendo come ulteriore motivo il fatto che un precedente trattato con i Vandali stipulato nel 462 obbligava la pars orientis alla neutralità nei conflitti tra i Vandali e la pars occidentis (che però questa non fosse la motivazione principale è reso evidente dal fatto che, non appena fu nominato un imperatore gradito da Bisanzio, la pars orientis non esitò ad allestire una dispendiosa spedizione contro i Vandali in aperta violazione del trattato del 462).

Fu forse a causa del fatto che Ricimero avesse bisogno dell’aiuto dell’Impero romano d’Oriente per risollevare le sorti di quello occidentale che forse tolse di mezzo Severo, morto in circostanze misteriose nel 465. Le cause della morte di Severo sono misteriose (una fonte parla di avvelenamento, un’altra di morte naturale), ma forse fu forse assassinato per opera di Ricimero che aveva bisogno di un imperatore riconosciuto dall’Oriente.

L’ULTIMA OPPORTUNITÀ
Seguirono due anni di interregno, nel corso dei quali si susseguirono trattative con la pars orientis per la nomina di un imperatore riconosciuto e “imposto” dalla corte orientale. Leone I candidò come Imperatore d’Occidente il “greco” Antemio, un generale dell’Impero romano d’Oriente che fu anche console per l’anno 455. Antemio fu riconosciuto da Ricimero e quando giunse in Italia, nel 467, si sperò che il travagliato Impero potesse risollevarsi grazie al sostegno di Costantinopoli. I federati in Gallia riconobbero subito l’Imperatore, evidentemente intimoriti dal fatto che fosse appoggiato da Costantinopoli.

L’unico modo per risollevare l’Impero era comunque recuperare l’Africa ai Vandali: una volta recuperate le province dell’Africa il gettito fiscale sarebbe aumentato a dismisura, gli eserciti di Roma sarebbero ritornati più potenti e gli Svevi avrebbero potuto essere sconfitti in Spagna, dato che non erano poi granché potenti. Una volta recuperata la Spagna, con ulteriore aumento del gettito fiscale, si sarebbero potuti ridurre in piccole enclavi Visigoti e Burgundi. Questo ovviamente solo nel caso fosse andato sempre bene. Ma i Visigoti si erano provati ostici fin dai tempi di Adrianopoli! Fatto sta che all’arrivo di Antemio il destino dell’Impero non era ancora segnato del tutto; tutto dipendeva dall’esito della spedizione contro i Vandali.

I preparativi per la partenza della spedizione per recuperare l’Africa ai Vandali erano ormai imminenti. L’Imperatore d’Oriente Leone I era seriamente intenzionato ad aiutare l’Occidente nella sua disperata lotta per la sopravvivenza e, per l’allestimento della flotta, furono spese in totale ben 103.000 libbre d’oro, una somma incredibilmente alta. La flotta comprendeva ben 1100 navi (30.000 soldati stimati). Ma non solo la flotta orientale avrebbe partecipato alla spedizione: anche Marcellino, Comes Illyrici, avrebbe giocato un ruolo decisivo cercando di recuperare Sardegna e Sicilia, mentre l’Esercito d’Egitto avrebbe cercato di recuperare la Tripolitania. Insomma, gli eserciti coinvolti dovevano sicuramente superare la cifra di 50.000 soldati.

Purtroppo si decise di affidare la flotta orientale all’incompetente generale Basilisco. Infatti i successi a breve termine di Eraclio, che riconquistò la Tripolitania, e di Marcellino, che recuperò la Sardegna e la Sicilia, furono vanificati da Basilisco, che invece di attaccare subito i Vandali, negoziò con Genserico una tregua di cinque giorni, concedendo al re vandalo il tempo di costruire una flotta di brulotti (navi incendiarie) che, lanciate contro le navi romane, distrussero la flotta romana, decretando il fallimento della spedizione. Approfittando della distruzione della flotta, i Vandali recuperarono la Sardegna, la Sicilia e la Tripolitania, mentre Marcellino fu assassinato, sembra per volere di Ricimero, che non voleva rivali in Italia, specialmente se influenzato da Costantinopoli.

Procopio accusa Basilisco di tradimento, sostenendo che si fosse fatto pagare da Genserico affinché firmasse una tregua di cinque giorni che avrebbe permesso a Genserico di adoperare i brulotti; secondo Procopio, Basilisco avrebbe tradito l’Impero anche per richiesta del generale Aspar, che voleva continuare a controllare l’Imperatore Leone I e temeva che una vittoria sui Vandali, innalzando il prestigio di Leone alle stelle, avrebbe permesso all’Imperatore di liberarsi dell’ingerenza di Aspar. Ma Heather non ritiene la notizia attendibile: infatti occorre tenere presente che successivamente, nel corso del 475-476, Basilisco usurpò il trono all’imperatore legittimo Zenone, e non è da escludere che il presunto tradimento nel 468 sia stato inventato a scopo diffamatorio in seguito al fallimento dell’usurpazione.

Tradimento o non tradimento, la spedizione era fallita. I Vandali rimasero padroni dell’Africa, e la spedizione non poteva più essere ritentata. L’Impero d’Oriente era sull’orlo del lastrico finanziario a causa delle dispendiose cifre spese, Leone I non aveva più i mezzi per aiutare l’Impero d’Occidente. Il gettito fiscale di ciò che restava dell’Impero era insufficiente per difenderne i confini da Visigoti, Burgundi, Svevi, Vandali e potentati locali. E presto in vari luoghi si cominciò a realizzare che l’Impero d’Occidente non esisteva più.

IL DISFACIMENTO: IL NORICO
Il progressivo crollo del gettito fiscale dell’Impero sembra aver portato a un progressivo calo delle truppe stanziate a difesa del Norico. La Vita di San Severino di Eugippio, pur essendo un opera agiografica piena di miracoli, è comunque interessante perché, in assenza di meglio, ci permette di comprendere la situazione del Norico tra il 450 e il 480 ca. Il Norico all’inizio del V secolo era difeso da due legioni e da tre coorti di fanteria, quattro unità di cavalleria e due di arcieri a cavallo, per un totale di 10.000 uomini. Già nel 420, a causa del crollo del gettito fiscale, due unità di lancieri limitanei vengono ritirati dal Norico e inglobati nell’esercito campale dell’Illirico. Molto probabilmente anche Ezio fu costretto a ritirare altre truppe dopo la perdite dell’Africa. Nel 460, secondo la Vita di San Severino, erano presenti solo due unità nel Norico, a Faviana e a Batavis, anche se, sostiene Heather, probabilmente Eugippio accentua troppo la carenza di truppe per dare maggiore importanza al santo, grazie al quale i Barbari vengono respinti più volte (questa è almeno la versione, di parte, della Vita). Secondo la Vita, finché i Romani pagavano i soldati a difesa del Norico, l’esercito del Norico continuò ad esistere, poi quando la paga non arrivò più, le truppe sbandarono. Si narra un aneddoto sulla guarnigione di Batavis, che non ricevendo più da tempo la paga, decise di recarsi in Italia per rivendicarla, ma durante il viaggio fu annientata dai Barbari. Un altro aneddoto narra che la guarnigione di Faviana, non avendo uomini e mezzi sufficienti, era impotente contro i predoni barbari. Insomma, a causa del calo del gettito fiscale, paga e equipaggiamenti non arrivavano più da Ravenna e a un certo punto le truppe sbandarono, anche se vari soldati continuarono a difendere comunque il Norico dagli invasori entrando a far parte delle nuove milizie cittadine. Le incursioni barbare, da parte di Eruli, Ostrogoti, Alemanni e soprattutto Rugi, colpirono il Norico. Non si poteva uscire dalle città senza il rischio di essere catturati dai Barbari. Che, soprattutto i Rugi, iniziarono a pretendere tributi. Alla fine, nonostante la strenua resistenza degli abitanti locali, il Norico fu conquistato dai Rugi.

IL DISFACIMENTO: CONQUISTE DI EURICO

Nel 466 Eurico era diventato re dei Visigoti uccidendo il precedente re Teodorico. A differenza del suo predecessore, fin dall’inizio si mostrò ostile all’Impero essendo intenzionato ad allearsi con Vandali e Svevi contro i resti dell’Impero; la notizia dell’incoronazione di Antemio gli fece cambiare idea. Ma quando la spedizione del 468 contro i Vandali fallì, Eurico si rese conto che l’Impero era troppo debole per contrastarlo e che non aveva più senso rimanere all’interno dell’Impero come federato, che se si fosse impadronito dei territori che desiderava con la forza avrebbe potuto spingere l’Imperatore a riconoscergli un regno completamente indipendente da Roma. Nel 469 Eurico iniziò ad invadere ciò che rimaneva dell’Impero in Gallia e in Spagna. Spinse i confini del regno fino alla Loira, sconfisse l’esercito romano condotto dal figlio di Antemio, Antemiolo, e tra il 471 e il 476 occupò tutta la Gallia meridionale fino alle Alpi e quasi tutta la Spagna (a parte un enclave sveva). Nel 475 ottenne il riconoscimento della propria indipendenza. Le vittorie di Eurico furono favorite in parte dal tradimento di gran parte dei proprietari terrieri, che, sperando di riuscire a conservare i propri possedimenti ottenendo il favore e la protezione di Eurico, avevano favorito le conquiste dei Visigoti. Tra i traditori di Roma che favorirono Eurico si segnalano: Arvando (prefetto delle Gallie), Vincenzo (generale in Spagna) e il viceprefetto delle Gallie Seronato (accusato di aver favorito le conquiste di Eurico nel 475 e giustiziato). Arvando in particolare scrisse al re goto una lettera

“per dissuaderlo dal fare la pace con l’Imperatore greco [Antemio], insistendo sul fatto che i Bretoni insediati a nord della Loira dovevano essere attaccati e dichiarando che le province galliche, secondo la legge delle nazioni, avrebbero dovuto essere spartite con i Burgundi e altre sciocchezze analoghe che potevano suscitare la collera in un re bellicoso e la vergogna in uno più pacifico.”

Arvando fu poi processato per tradimento e difeso dall’amico Sidonio Apollinare. Alcuni però si mantennero fedeli a Roma. Il celebre scrittore Sidonio Apollinare fece di tutto per difendere la sua città (Clermont) dai Visigoti. Eurico non gradì e lo mandò in esilio a Bordeaux, dove, narra lo scrittore, “le palpebre cadenti non riescono a prendersi nemmeno un attimo di sonno, perché accanto al lucernario della mia camera stazionano due rumorosissime vecchie gote, le più litigiose, ubriacone, vomitevoli creature che si siano mai viste al mondo”. Riuscì poi a ottenere il perdono dal sovrano con un piccolo poema di ringraziamento, una sorta di bandiera di resa in metrica e rima.

Nel 476 tutta la Gallia a sud della Loira e a ovest delle Alpi costituiva dunque un regno visigoto indipendente. Ma che non poteva fare a meno dei Romani, di cui Eurico si servì per dirigere il nuovo stato. I latifondisti, per non perdere i propri possedimenti, gli si gettavano ai piedi e Eurico li premiò, mantenendoli in una posizione di prestigio nel nuovo stato. Nel frattempo anche i Burgundi si erano resi indipendenti. Ravenna ormai controllava solo l’Italia. E anche lì scoppiò il caos a cui seguì il crollo definitivo.

IL DISFACIMENTO: RIVOLTA DI ODOACRE

In Italia regnava il disaccordo tra Antemio e Ricimero. In seguito alla perdita delle truppe inviate in Gallia per combattere i Visigoti di Eurico, Ricimero decise di approfittarne attaccando con il suo esercito Antemio. Questi si rifugiò a Roma che venne assediata e espugnata. Antemio venne ucciso l’11 luglio 472 da Gundobaldo, nipote di Ricimero. Il suo successore, Olibrio, regnò pochi mesi e perì il 2 novembre dello stesso anno (Ricimero fece la stessa sorte il 18 agosto). Seguì un altro interregno fino al marzo 473, quando Glicerio, conte dei domestici, fu scelto da Gundobaldo come imperatore fantoccio. Anche questo regno durò pochi mesi e non ottenne successi di rilievo, essendo le truppe di Videmero inviate in Gallia sconfitte dai Visigoti. Nel 474 Giulio Nepote, nipote di Marcellino e conte dell’Illirico, sbarcò in Italia con il supporto dell’Impero d’Oriente e costrinse Glicerio ad abdicare e farsi vescovo di Salona. Nel frattempo l’Imperatore d’Oriente, Zenone, firmò una tregua con i Vandali, che concluse quella che potrebbe essere definita “Quarta guerra punica”, l’unica conclusasi con la vittoria dei “Cartaginesi” (in realtà Vandali). Nel frattempo Gundobaldo, capito che era momento di cambiare aria, lasciò l’Italia per diventare re dei Burgundi.

Il nuovo imperatore non era tuttavia apprezzato dall’esercito d’Italia, che lo depose e nominò imperatore il giovane Romolo Augusto (475), figlio del generale Oreste. Giulio Nepote fuggì in Dalmazia dove continuò a regnare fino al 480. In Italia nel frattempo regnava il diciassettenne Romolo Augusto, anche se le decisioni venivano prese da suo padre Oreste, che governava al posto suo. Romolo era solo un prestanome. All’incoronazione del nuovo Augusto l’oratore disse che stava per cominciare una nuova età dell’oro sotto gli auspici di un secondo Romolo. Ma Romolo Augusto non aveva fatto i conti con l’esercito d’Italia, ormai formato praticamente solo da barbari.

Odoacre depone Romolo Augusto.

Dopo il collasso dell’Impero unno, intorno al 465 vari profughi barbari che ne facevano parte cercarono riparo in Italia. E furono arruolati nell’esercito romano d’Italia da Ricimero. Il loro capo si chiamava Odoacre. Prima di giungere in Italia, Odoacre incontrò nel Norico San Severino, il quale gli disse:
“Va’ in Italia, va’ in quella terra abitata da meschini stracci d’uomini, e vedrai che presto potrai fare molti ricchi doni.”

Secondo Severino, andando in Italia, Odoacre sarebbe diventato famoso. E aveva ragione. E arriviamo al fatidico anno 476. L’esercito italico era ancora piuttosto grosso, forse addirittura più di quanto lo stato potesse permettersi, visto il gettito fiscale ridotto ai minimi termini dopo tutte le mutilazioni territoriali subite nell’arco di un settantennio. Forse anche per questo la paga divenne irregolare, causando la rivolta dell’esercito italico che, guidato dal barbaro Odoacre, depose l’ultimo Imperatore romano d’Occidente Romolo Augusto. Procopio narra che:

Già da qualche tempo i Romani avevano cominciato ad accogliere nel loro esercito gli Sciri, gli Alani e alcune popolazioni gotiche, e da quel momento avevano dovuto soffrire per mano di Alarico e di Attila i disastri che ho narrato nei libri precedenti. E nella misura in cui aumentava in mezzo a loro il numero dei barbari, declinava il prestigio dei militari romani; sotto lo specioso nome di alleanza, essi subivano il predominio e le imposizioni degli stranieri, tanto che senza alcun ritegno, i barbari li costringevano contro la loro volontà a molte concessioni e alla fine pretesero di dividere con loro tutti i territori dell’Italia. Essi chiesero a Oreste di concedere loro un terzo delle campagne e, siccome egli non volle assolutamente cedere a questa richiesta, lo uccisero.

Odoacre dispose che 1/3 delle terre fosse assegnato ai mercenari barbari, che Romolo fosse mandato in esilio in Campania con una ricca pensione e che fossero inviate le insegne dell’Impero all’Imperatore d’Oriente Zenone, al quale l’ambasceria del senato romano (inviata da Odoacre a nome di Romolo Augusto) riferì che non erano più necessari due imperatori ma ne bastava uno solo, quello d’Oriente, e che Odoacre avrebbe governato l’Italia con il titolo di “patrizio” e a nome di Zenone.

Così cadde un impero. Ma cadde in silenzio, per una rivolta interna condotta dai barbari dell’esercito, e comunque sia rispetto agli ultimi anni dell’Impero d’Occidente cambiò ben poco. Il senato e le magistrature continuarono a essere esercitate da cittadini romani, l’unica cosa che era cambiata è che il re era un barbaro e l’Italia un regno romano-barbarico in cui romani e barbari cercavano di coesistere il più pacificamente possibile.

Infine una riflessione: sicuramente è vero che le invasioni provocarono un crollo del gettito fiscale, con inevitabili ripercussioni sulla qualità e quantità dell’esercito, ma questo non rende la caduta di un impero inevitabile: l’Impero romano d’Oriente affrontò una crisi analoga nel settimo secolo, allorché perse i Balcani, fatta eccezione per alcune città e i loro dintorni, in seguito alle invasioni slave, e le floride province di Siria ed Egitto, oltre al Nord Africa, occupate dagli Arabi. Oppure non crollò: anzi riuscì persino a riprendersi parzialmente nel corso dei secoli X e XI, sotto la dinastia macedone. Questo che vuol dire? Che l’Impero d’Oriente aveva certamente dalla sua la posizione strategica della capitale, protetta sia dal mare che dalle possenti e quasi inespugnabili mura teodosiane; ma che soprattutto in Oriente l’Imperatore non aveva perso autorità a vantaggio dei capi barbari dell’esercito, al contrario del suo collega occidentale. Se l’Imperatore d’Occidente fosse riuscito a preservare la sua effettiva autorità, forse l’Impero d’Occidente sarebbe riuscito a sopravvivere, seppur limitato alla sola Italia. In occidente invece l’Imperatore era ormai un fantoccio nelle mani dei capi dell’esercito di origine barbarica – basti pensare a Ricimero, Gundobado, ma anche Oreste era stato al servizio di Attila. Si potrebbe quindi concludere che i barbari già governavano di fatto l’Italia. Governavano usando come prestanome gli imperatori. E l’esercito romano era diventato esso stesso un esercito barbaro. Odoacre non fece che legalizzare una situazione di fatto: il fatto che l’Imperatore, essendo ormai un fantoccio, era inutile (un po’ come gli ultimi re fannulloni merovingi, controllati da dietro le quinte dai maggiordomi di palazzo; alla fine l’ultimo maggiordomo di palazzo, Pipino il Breve, resosi conto dell’inutilità del re merovingio, lo depose e ne prese il posto come re dei Franchi). Più che una caduta, la fine dell’Impero in Italia, può essere interpretata più come un cambio interno di regime, come il passaggio dalla monarchia alla repubblica o dalla Repubblica all’Impero, in cui si poneva fine a un istituzione ormai superata e che aveva perso ogni potere effettivo a vantaggio dei capi romano-barbarici. Odoacre stesso non era un nemico esterno ma un generale romano di origini barbariche. Che rispettò e mantenne le istituzioni romane, come il senato e il consolato. E continuava a governare l’Italia come funzionario dell’Imperatore d’Oriente, pur essendo di fatto indipendente.